TORREGLIA (Padova) – Nell’ottobre del 2010 Antonio Barbiero, all’epoca amministratore delegato della Carrier di Torreglia (ex Criosbanc, azienda attiva nel settore della refrigerazione commerciale con sede in provincia di Padova), si è visto costretto a firmare la lettera di licenziamento di 190 dipendenti e tre dirigenti – lui compreso. L’impresa, nata nel 1965, era un vero e proprio gioiello locale. Nel 1979, infatti, è la prima del comparto a esportare negli Stati Uniti, negli anni Ottanta ha distributori in tutta Europa. Verso la fine degli anni Novanta la proprietà cede le sue quote alla Linde, multinazionale tedesca, per poi essere a sua volta rilevata nel 2004 dalla Carrier, società americana parte del colosso Utc (United Technologies Corporation, 48 miliardi di dollari di fatturato annuo e 200mila dipendenti). Dall’inizio del 2008, però, la crisi erode il 35 per cento del fatturato dello stabilimento padovano.
«I gruppi multinazionali hanno delle strutture organizzative che riproducono ovunque, e si giustificano soltanto con una dimensione di un certo tipo – spiega Barbiero, 49 anni, a Linkiesta – evidentemente questo calo ha fatto preoccupare la multinazionale, che ha voluto concentrare la produzione in un Paese dove aveva uno stabilimento non saturo. Da qui la decisione di trasferire in Ungheria». I sindacati rimangono sbigottiti. «L’azienda è sana – dice al Gazzettino Gianni Castellan, segretario provinciale di Fim-Cisl – ci sono state pochissime ore di cassa integrazione, non vi è stato un uso massiccio degli ammortizzatori sociali come è avvenuto per realtà aziendali davvero in crisi». La decisione della Carrier è però irrevocabile: si delocalizza a Est. Mentre gli operai occupano la fabbrica, la vertenza arriva sul tavolo dell’allora ministro Sacconi, che conferma l’impegno del governo a sostenere la cassa integrazione per 24 mesi, avvertendo al contempo: «Le regole del sistema Italia prevedono che nessuna azienda possa andarsene dal nostro Paese senza prevedere strumenti alternativi al licenziamento».
Per Barbiero, tuttavia, è proprio il «sistema Italia» ad aver convinto la multinazionale a lasciare il Paese – e non tanto la prospettiva di un abbattimento del costo del lavoro, come potrebbe sembrare a prima vista. Tra la pressione fiscale «al di fuori del normale», una burocrazia opprimente e una legislazione giuslavorista ingessata e ipertrofica, il dirigente era sicuro che «prima o poi ci avrebbero chiuso: c’erano mille motivi per dare questo tipo di segnale». Di parere concorde è Michele Consolani, ex dirigente 41enne della Criosbanc: «Siamo legati al settore alimentare: è chiaro che la crisi si è sentita, però non così marcata come altri settori. Se si guarda il panorama delle aziende operative anche in ambito locale, nessuna di queste è morta o ha chiuso. Si sono ridimensionate, certo, ma sono ancora tutte attive. Il vero motivo va ricercato nell’inaffidabilità del “Sistema Italia”». Le ultime commesse vengono terminate nel febbraio del 2011, in un clima di amarezza e smobilitazione. Nello stesso periodo, una trentina di tecnici specializzati chiedono la fine anticipata del rapporto e trasferiscono le loro competenze ai diretti concorrenti della Carrier.
Provincia e Regione si attivano per verificare la disponibilità degli ex dirigenti al riavvio dell’azienda. I tre dirigenti accettano la sfida. Anche Veneto Sviluppo, la finanziaria della Regione, viene coinvolta. Nell’aprile del 2012 nasce così la start-up Galilei Refrigerazione Spa, con capitale iniziale di un milione e 150mila euro, detenuto al 39% dai tre ex dirigenti (che hanno messo circa 450mila euro della loro liquidazione), al 35% da Veneto Sviluppo (400mila euro, quota arrivata per ragioni tecniche solo nel giugno scorso) e per il restante 26% da una cordata di imprenditori locali. «Qualcuno si potrebbe chiedere: perché siete ripartiti qui in Italia? È una domanda che ci siamo fatti anche noi», precisa Consolani. «Nel nostro caso, la risposta che ci siamo dati è di tipo tecnico. Il nostro settore, il distretto industriale del freddo nato nel 2003 proprio nel nostro territorio, è il più importante al mondo. Conta su di un tessuto imprenditoriale locale con competenze specifiche, su università e istituti di ricerca e certificazione. Quindi spostare l’azienda in altri posti – eventualità che non abbiamo considerato anche emotivamente, per attaccamento al territorio e alla voglia di rinascere – sarebbe stato probabilmente un flop».
Attualmente nello stabilimento di 8mila metri quadri di Torreglia – lo stesso della ex Criosbanc – sono impiegate sette persone, inclusi i dirigenti. Il piano industriale prevede l’assunzione di 14 dipendenti per il primo anno, 27 nel secondo, 40 nel terzo, 57 nel quarto e 69 nel quinto. L’obiettivo è di rimanere intorno all’85% di volume d’affari con l’estero. Per quanto riguarda i prodotti, «il primo banco nato dalla competenza locale lo abbiamo chiamato Giano – ha spiegato Barbiero al Mattino di Padova – dal latino Ianus, il bifronte, perché da un lato guarda indietro verso l’esperienza del passato e dall’altro punta dritto verso il futuro. Poi ci sono Libra, la bilancia, un mobile frigo, e Aries, ariete, per i banchi servizi, simbolo di perseveranza. La nostra produzione è composta da materie prime italiane perché ci teniamo a rimarcare la qualità del prodotto della nostra nazione, che all’estero da sempre ci invidiano».
Lo scorso 19 agosto, in un’intervista alla Stampa, il ministro del Lavoro Elsa Fornero aveva dichiarato: «Il governo ha risanato il Paese. Ora tocca alle imprese». Barbiero risponde così all’affermazione del ministro: «Io penso che le imprese il loro lavoro l’abbiano sempre fatto. Ho vissuto la mia esperienza lavorativa in multinazionali. Ho avuto capi svedesi, tedeschi, americani. Le imprese che conosco sono avanti anni luce al “Sistema Italia”. Non credo che le imprese italiane abbiano moltissimo altro da fare». Michele Consolani, dal canto suo, non saprebbe «cosa chiedere di più alle aziende in questo periodo. Nel nostro caso, a parte Veneto Sviluppo, non vedo grossa disponibilità da parte delle strutture pubbliche. Nel quotidiano è veramente una battaglia con la burocrazia. La gestione burocratico-amministrativa è un piccolo macigno». I primi mesi di vita della Galilei Refrigerazione, in effetti, sono stati segnati da disfunzioni e farraginosità burocratiche di ogni genere.
Il telefono e l’Adsl, ad esempio, sono arrivati solo la settimana scorsa a fronte di una richiesta di allacciamento datata aprile 2012. Consolani racconta che «Telecom ha effettuato il sopraluogo e ha dichiarato che non c’erano i fili del telefono all’interno dell’azienda. Abbiamo quindi provveduto al taglio del pavimento del piazzale – cosa che dovevamo in parte realizzare anche per altri motivi – e così abbiamo scoperto che i cavi in realtà c’erano. Insomma abbiamo sostenuto inutilmente una parte della spesa sopravvivendo i primi mesi con chiavette Internet e cellulari». Ancora più grottesca è la vicenda legata all’insegna della società. L’installazione di un semplice pannello metallico (100×60 centimetri, costo 180 euro) appena all’interno del cancello di ingresso, richiede i seguenti adempimenti: «Inoltro richiesta di autorizzazione agli enti, eseguita in carta bollata e completa degli elaborati grafici e fotografici richiesti, escluso versamenti diritti di segreteria, eventuali firme di tecnico abilitato (se richiesto dall’ente), denuncia inizio attività (se richiesto dall’ente), eventuali nulla osta di altri enti o privati, solleciti e ritiro dell’autorizzazione». In pratica, nella migliore delle ipotesi l’insegna potrà essere affissa tra sei mesi. «Che senso ha tutto ciò? – sbotta Barbiero – Siamo nel 2012, con Internet che connette il mondo in pochi secondi, e noi parliamo di mesi e mesi per mettere fuori un cartello con scritto chi siamo e cosa facciamo».
Potrebbe passare la voglia, insomma. «Devo dire che l’entusiasmo è l’unica cosa che ti fa veramente andare avanti – dice Consolani a Linkiesta – Io non avrei mai pensato di trovare delle difficoltà burocratiche di questo tipo, con cui ti scontri e difficilmente risolvi in tempi brevi ». Pur calate in simile contesto, ad avviso del dirigente le aziende italiane «sono molto più forti delle altre. È come se in una gara podistica di resistenza, tipo maratona, il partecipante tedesco e quello francese portassero uno zaino di 20 chili, quello inglese uno di 15 e l’italiano uno di 50. Nonostante questo, in alcuni settori gli italiani sono così bravi da riuscire a competere alla pari». Prima di congedarsi, Antonio Barbiero indica i macchinari, gli attrezzi, gli scaffali e i banchi sparsi sulla superficie del capannone, e afferma: «Il Pil è qua. Io credo e spero che il sistema Italia cambierà. Il cambiamento è vivere, tutto ciò che vive cambia. L’Italia non può andare avanti così». E aggiunge: «La crisi farà tornare il mondo ai giusti valori, lentamente».
Nel saggio I padroni del Veneto, l’autore Renzo Mazzaro ricorda che il radiocronista sportivo Paolo Rosi «amava dire che i pugili sul ring, quando sono all’angolo e piovono pugni da tutte le parti, per non cadere “fanno appello alle risorse morali”. Sembra una frase fatta, aria fritta. Invece rinvia ai fondamentali: è la molla dentro, se ce l’hai, che ti tiene in piedi quando tutto crolla attorno». E quella stessa «molla», come dimostra la storia della Galilei Refrigerazione, ti può anche far rialzare quando tutto è già crollato.