«L’Italia si trova a un bivio e deve decidere se andare avanti o se restare ancorata al passato». Stuart Milk, consigliere di Barack Obama per i diritti civili, porta con sé un cognome famosissimo: quello del nonno Harvey, primo gay dichiarato ad accedere ad una carica pubblica negli Stati Uniti d’America, diventato un’icona grazie anche al film diretto nel 2008 da Gus Van Sant, con Sean Penn nei panni dell’ex consigliere comunale del 5° distretto di San Francisco. Stuart Milk, seguendo le orme del progenitore, è oggi una delle figure più importanti e considerate del movimento LGBT americano, fondatore della Harvey Milk Foundation, conosciuto anche nel resto del mondo per le numerose battaglie combattute in Europa, in America Latina e nel Medio Oriente.
Qualche mese fa, Stuart Milk si trovava a Milano, per parlare delle problematiche della discriminazione agli studenti universitari ed ai politici del capoluogo lombardo. Prima alla Statale, dove ha tenuto una lezione, poi alla Bocconi, dove ha incontrato un’associazione di studenti. Infine, in un incontro istituzionale con i dirigenti regionali del Partito Democratico, quello stesso partito che nella questione dei diritti ai gay, recentemente, ha trovato un nuovo terreno di divisione. Proprio le due università milanesi sono tra i pochissimi atenei italiani a disporre di gruppi associativi che difendono i diritti degli studenti omosessuali: “Gay Statale” per l’università pubblica, “B.E.ST – Bocconi Equal Students” per quella privata. Due realtà che all’interno degli atenei organizzano attività, dibattiti, mostre, cineforum ed offrono supporto alla comunità LGBT studentesca, troppo spesso ancora emarginata all’interno delle aule universitarie italiane.
Con qualche brutta sorpresa dietro l’angolo: come nel maggio 2011, quando uno dei membri di B.E.St. fu minacciato e aggredito nei corridoi della Bocconi. Il ragazzo, che aveva sorpreso uno studente mentre strappava un poster dell’associazione, è stato aggredito verbalmente (apostrofato come «frocio» e «ricchione») subito dopo aver chiesto spiegazioni. Un episodio che ebbe una notevole eco sulla stampa e che è figlio, secondo alcuni, di una mentalità più estesa, radicata anche ai piani più alti degli atenei della Penisola. In molti ricordano con disappunto quanto avvenne nel 2010, quando il rettore de La Sapienza di Roma, Luigi Frati, ritirò il permesso di svolgimento ad una rassegna cinematografica sul cinema gay, “Queer in Action”, il giorno prima di quello stabilito per l’inaugurazione. Una scelta motivata, al tempo, con la volontà di “evitare attacchi omofobi” da parte di esponenti dell’estrema destra cittadina: per gli organizzatori, però, si trattò di un gesto, che di fatto, «legittimava la cultura discriminante».
La manifestazione cinematografica trovò nuova accoglienza al teatro Paganini, nelle vicinanze dell’ateneo, e si svolse regolarmente. Per l’ennesima volta, però, non si era riusciti – come nelle intenzioni degli organizzatori -, a «portare le tematiche LGTBQ in un luogo di cultura come l’università». In Italia, il tema della lotta alla discriminazione basata sull’orientamento sessuale nei luoghi di studio, ancora oggi, è affrontato poco, male e frettolosamente. Un situazione che risulta complessa e “arretrata”, soprattutto se raffrontata con quella dei Paesi europei più attenti alla questione. La Gran Bretagna, ad esempio: nella terra della Regina, negli ultimi anni sono nate un gran numero di associazioni universitarie in difesa degli studenti omosessuali. E qui è nata anche “Gay By Degree“, una guida che classifica gli atenei in base alla loro apertura e disponibilità nei confronti degli studenti gay.
Realizzata dagli attivisti di Stonewall, in collaborazione con la National Union Of Students, la guida è arrivata alla sua terza edizione. “Gay By Degree” offre una valutazione delle università secondo 10 fattori, tra i quali la presenza o meno di associazioni LGBT nell’ateneo, il livello di preparazione dei membri dello staff sulla problematica, l’esistenza di linee guida ufficiali che vietino il bullismo. Si tratta, in pratica, di un database consultabile gratuitamente online che raccoglie una serie di informazioni e dati e li analizza in un ranking aggiornato di anno in anno. «Pensiamo sia davvero importante che gli studenti gay sappiano quanto le loro future università siano aperte nei loro confronti» spiega Wes Streeting, direttrice del comparto educativo di Stonewall, uno dei gruppi più importanti di tutta la Gran Bretagna per i diritti del mondo LGBT, all’International Herald Tribune. Nato nel 2010, “Gay by Degree” ha acquisito progressivamente sempre più considerazione: oggi sono sempre di più gli atenei che contattano Stonewall con l’intento di fare qualcosa per migliorare i propri punteggi sulla guida.
«Per molti anni, l’educazione universitaria ha rappresentato una sorta di forza liberatoria», ha spiegato Streeting. «Ora noi cerchiamo di rendere ogni università un esempio di come la società dovrebbe essere». Fino a questo momento sono quattro le università ad aver raggiunto il punteggio massimo in tutto il Paese. I punteggi, in generale, sono comunque abbastanza alti, in particolare nelle città più gay-friendly del Paese: Londra, Manchester e Brighton. Secondo Jordan Long, International Lesbian Gay Bisexual Transgender, Queer Youth and Student Organization di Bruxelles, «la Gran Bretagna è all’avanguardia. Nel resto d’Europa, sono molte meno le università che offrono gruppi specifici o linee guida chiare sulla questione dei diritti civili». In Italia il tema è ancora di nicchia. Secondo Milk, per due ragioni: «La Chiesa in primo luogo. E la visibilità: se ci fossero più persone dichiaratamente gay o lesbiche la situazione sarebbe diversa. Bisogna avere il coraggio di fare coming out, per quanto sia difficile. Questo era il messaggio di Harvey Milk».