L’abisso spagnolo non si ferma, in arrivo la cura della Troika

L’abisso spagnolo non si ferma, in arrivo la cura della Troika

Quasi 170 miliardi di euro. Per la precisione, 169,3 miliardi di euro. È la quota dei crediti non performanti in pancia alle banche spagnole. Tanti, troppi e in aumento. Nello specifico i dati del Banco de España per luglio hanno evidenziato che si tratta del 9,86% degli asset complessivi degli istituti di credito iberici, in aumento rispetto al 9,42% fatto registrare in giugno. E dire che a fine 2008, quindi immediatamente dopo il fallimento di Lehman Brothers, i crediti inesigibili erano a quota 63,057 miliardi di euro. L’abisso della Spagna sembra essere senza fondo.

Nessuna richiesta di aiuto completo. Almeno per ora. Almeno fino a quando non saranno chiari i dettagli delle condizionalità a cui è sottoposto l’intervento della Banca centrale europea (Bce), che avverrà tramite le Outright monetary transaction (Omt). Questa è la linea dettata da Mariano Rajoy, premier di quella Spagna che deve fare i conti con se stessa e con la profondità del pozzo in cui è entrata.

Nel frattempo, la progressione dei debiti è sempre più marcata. Secondo il Banco de España, le regioni autonome a fine 2008 avevano 72,625 miliardi di euro di indebitamento complessivo. Nel secondo trimestre dell’anno in corso, quattro anni dopo, si è sfondata quota 150 miliardi di euro, arrivando a 150,578 miliardi. La Cataluña, la comunità più ricca della penisola iberica, ha raddoppiato il proprio debito in quattro anni, passando dai 20,825 miliardi di euro del 2008 ai 43,954 miliardi del secondo trimestre del 2012. E anche un’altra regione storicamente forte, come la Comunidad Valenciana è in forte rosso: a fine 2008 i debiti erano di 13,052 miliardi di euro, a fine del secondo trimestre 2012 erano a 21,364 miliardi. E la lista è ancora lunga.

All’aumentare della sofferenza, la Spagna si sta rendendo sempre più dipendente dalla Bce. In agosto i prestiti ottenuti dalle banche spagnole dall’istituzione di Francoforte sono cresciuti fino a quota 388,736 miliardi di euro. Un anno prima, nell’agosto 2011, questo valore era fermo a 69,918 miliardi di euro. Più crescono le passività, più aumentano le richieste di supporto del Banco de España, più s’incrementa il processo di trasferimento dei rischi.

Il debito pubblico complessivo della Spagna non conosce freni. Nel finale del 2008, come evidenzia il Banco de España, era al 40,2% del Pil. A fine 2010 era già salito oltre il 60% del Pil, fermandosi al 61,4 per cento. Nei primi sei mesi dell’anno l’ultimo incremento. L’ultimo dato di riferimento è quello del secondo trimestre 2012, quando il rapporto debito/Pil è salito al massimo storico, il 75,9 per cento. Tradotto in valori assoluti, il debito pubblico spagnolo è passati dai 436,984 miliardi di euro di fine 2008 ai 804,388 miliardi del secondo trimestre dall’anno in corso. Nello stesso periodo storico il Pil è invece passato da 1.087,788 miliardi di euro a 1.059,33 miliardi. E in tutto questo calderone, bisogna aggiungere il maggior costo per interessi che Madrid paga sulle proprie emissioni obbligazionarie. Prendendo solo in esame il titolo di Stato decennale, a inizio gennaio 2009 la Spagna pagava circa il 3,9% di interessi. A fine novembre 2010 la prima vampata, oltre quota 5,2 per cento. Si arriva poi ai picchi oltre il 7,6% di fine luglio 2012. Nel mezzo, non è mai calato sotto quota 4,7 per cento.

Che la Spagna abbia bisogno di soldi, è palese. Con la richiesta di sostegno avanzata dalla Cataluña si è compreso, spiega Citigroup, che l’abisso di Madrid è indecifrabile. Ai debiti calcolati finora vanno infatti aggiunte le esposizioni del sistema bancario iberico al mercato immobiliare. Sul finale del 2008 il governatore del Banco de España, Miguel Ángel Fernández Ordóñez, mise in guardia l’allora premier José Luiz Rodriguez Zapatero sulle possibili perdite degli istituti bancari spagnoli. «Ci sono circa 450 miliardi di euro nei bilanci che sono da riferire al settore immobiliare e il 20% di questi è già deteriorato», disse Ordóñez. Non è un caso che pochi mesi dopo arrivò il Fondo de Reestructuración Ordenada Bancaria (Frob), il piano governativo di ristrutturazione bancaria con una dotazione di 90 miliardi di euro. I prezzi degli immobili crollarono ancora, le insolvenze aumentarono e i bilanci delle banche si appesantirono ancora di più.

L’ultimo rapporto della banca centrale spagnola, ora guidata da Luis María Linde, ha evidenziato che l’esposizione è salita fino a 610 miliardi di euro. Il tutto contando solo le prime 14 banche del Paese, le stesse che sono state oggetto degli stress test di Roland Berger e Oliver Wyman negli scorsi mesi: Santander, BBVA, Popular & Pastor, Sabadell, Bankinter, Caixabank & Cívica, Bankia, KutxaBank, Ibercaja & Caja3 & Liberbank, Unicaja & CEISS, B. Mare Nostrum, CatalunyaBank, NCG Bank e Banco Valencia. Queste saranno l’oggetto del piano di aiuti da 100 miliardi di euro varato in estate. «Non un programma di sostegno totale, non ne abbiamo bisogno», disse il ministro dell’Economia Luis de Guindos il 20 luglio scorso, quando fu sottoscritto il memorandum of understanding per gli aiuti.

La questione fondamentale è capire quando e come la Spagna alzerà bandiera bianca. Francia e Germania stanno tessendo fitti intrecci diplomatici al fine di convincere la Moncloa a chiedere gli aiuti a Bce, Commissione europea e Fondo monetario internazionale (Fmi) quanto prima possibile. L’obiettivo è evitare una reazione a catena potenzialmente distruttiva per la già precaria stabilità dell’eurozona. Dopo l’Eurogruppo informale a Cipro dello scorso weekend, conclusosi senza novità, Rajoy sta guardando al prossimo Consiglio europeo, previsto per il 18 e 19 ottobre. L’occasione sarà propizia. Il 4 ottobre la Bce si riunirà a Ljubljana per la consueta riunione del Consiglio direttivo. È probabile che vengano forniti ulteriori specifiche sulle modalità di accesso al sostegno tramite le Omt. Per Madrid ci saranno poi una decina di giorni per decidere che cosa fare. O vita o muerte.

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