Un professore è per sempre, verrebbe da dire. Un po’ come un diamante, fatte le dovute proporzioni sia chiaro. Un professore resta un professore, sempre. E quel tratto da cattedratico, distante ma un po’ più in alto, non lo elimini. Mai. Nemmeno quando il docente prova a fare il simpatico. Mario Monti ne è una dimostrazione vivente e non puoi fare a meno di pensare al suo senso di superiorità persino quando rilascia un’intervista al Washington Post.
Che cosa dice il presidente del Consiglio? Più o meno quello che ha sempre dichiarato. Più o meno. Perché ripete che, sì, «non ho ancora riflettuto sul futuro. Sono molto impegnato a guidare il Paese in questi mesi difficili, il mio futuro politico su cui mi sto concentrando finisce nella primavera del prossimo anno con le elezioni», ma stavolta aggiunge anche che «ci vorranno anni prima di completare il processo delle riforme» e, ancora, «sono preoccupato che nella politica italiana possa tornare tutto come prima». Insomma, il timore – dichiarato – è che senza il professore gli alunni tornino a fare i discoli. E provochino nuovi danni alla scuola.
E allora che si fa? In un Paese che non viva il confronto con gli elettori come un sopruso, ci si preparerebbe in vista delle elezioni, si appronterebbe il miglior programma possibile, si allestirebbe una campagna elettorale la più intensa che possa esserci, e poi si darebbe il via alla competizione. Ma in Italia non è proprio così. Da noi la competizione è un po’ roba per sfigati, diciamocelo chiaramente. Buona per il popolino. A meno che…
A meno che… vista l’eccezionalità della situazione, il Paese ancora una volta non richiami il professore per continuare la cura. Perché è ovvio che il pensiero di Monti sia quello. Di fare una campagna elettorale, di girare l’Italia su e giù, il presidente del consiglio non sembra avere tanta voglia. E magari non ha nemmeno il fisico per farlo. Però, certo, se dovessero richiamarlo, lui non si esimerebbe. Come, del resto, ha fatto dieci mesi fa. Siamo un po’ alla canzone di Battisti-Mogol, “io vorrei, non vorrei, ma se vuoi…”
La domanda, a questo punto, è ineludibile: quegli italiani che vorrebbero ancora Monti al governo, ma non lo troveranno sulla scheda elettorale, come dovranno comportarsi? Mica si può apporre un’opzione “voto vago al fine di favorire un altro governo tecnico guidato da Monti”? Sembra una boutade, detta anche in tono scanzonato, ma non lo è. La politica ha le sue regole. E derogare è pericoloso. Provate a spiegare agli americani che chi vince le elezioni poi non governa perché unfit, e vedrete che cosa succede.
Sarebbe un precedente importante (per non dire altro) andare a votare per poi, praticamente, saltare un giro. Casini sorriderà pure al pensiero di Renzi che andrebbe a un vertice europeo con Angela Merkel, però non si può nemmeno trattare dall’alto in basso chi girerà il Paese in lungo e in largo per illustrare agli italiani il suo programma di governo. Sarà dura, dopo le primarie e dopo le elezioni, dire “vabbè, abbiamo scherzato, a questo punto la soluzione migliore è un ritorno di Monti a Palazzo Chigi”. Perché è dura, anzi è impossibile vincere in politica senza metterci la faccia. Non è previsto dal regolamento.
Può sembrare paradossale, ma siamo al punto in cui una parte del Paese si chiede se queste elezioni si debbano proprio fare. E non è mai un bel momento. L’agenda Monti ha un suo valore, un suo peso specifico, una sua importanza, ma forse è il caso che qualcuno si prenda anche la briga di portarla un po’ in giro, di divulgarla. E magari di rischiare l’impopolarità. Perché le regole democratiche sono queste. E varrebbe la pena dare a quegli italiani – che non sono pochi – desiderosi di sottoscriverla, la possibilità di apporvi una ics sopra. È il caso che chi desidera continuare l’esperienza Monti batta forte un colpo. Forse il professore è proprio questo che chiede.