Solo in pochi lo ammettono, ma tutti o quasi lo hanno fatto. Le maggiori società europee hanno preparato dei piani d’emergenza nel caso la Grecia dovesse abbandonare l’eurozona. Da Airbus a Volkswagen, passando per Bayer, Commerzbank, Fiat e Visa Europe, aumentano le imprese che pensano l’impensabile. Del resto, come ha rivelato un sondaggio del Financial Times lunedì scorso, cresce l’idea che Atene debba tornare alla dracma. Il 54% dei tedeschi interpellati ha ritenuto che questa è la soluzione per la Grecia. Calcolare gli effetti di una secessione di Atene, tuttavia, non è possibile.
Due giorni fa, il New York Times ha ben raccontato come le più grandi imprese statunitensi si stiano organizzando se Atene uscisse dall’area euro. Bank of America-Merrill Lynch, J.P. Morgan, più Visa, Ford, Juniper Networks e FMC hanno già analizzato cosa fare nel caso la situazione precipitasse. E così hanno fatto anche le imprese europee.
Una delle prime società che hanno ammesso l’esistenza di un piano di riserva nel caso la Grecia uscisse dal’eurozona è stata Commerzbank. La banca tedesca, come aveva anticipato Linkiesta, già in marzo era pronta per l’evento. Giusto dopo a ristrutturazione del debito ellenico presente in mano ai creditori privati, circa 206 miliardi di euro su 365 miliardi complessivi. Il lavoro, sebbene fosse teorico, aveva calcolato ogni singolo passaggio. Coadiuvata dalla Bundesverband deutscher Banken (Bdb), l’associazione delle banche tedesche, Commerzbank aveva previsto quattro fasi, come riportato dai documenti visionati da Linkiesta: “Deleveraging iniziale, riattivazione dei canali di supporto per le banche, ridenominazione dei contratti esistenti, gestione del fallout”. Il tutto con il supporto esterno del SoFFin (Sonderfonds Finanzmarktstabilisierung), il fondo governativo a protezione delle banche tedesche creato nel 2008, dopo il fallimento di Lehman Brothers.
Commerzbank non è la sola società tedesca che ha agito nell’ottica di una uscita della Grecia dalla zona euro. L’ultima in ordine di tempo, anche se in modo più implicito, è la Bayer. Il suo amministratore delegato, Marijn Dekkers, ha infatti rilasciato un’intervista al Rheinische Post la scorsa settimana, rimarcando come un’eventuale uscita di Atene dalla moneta unica potrebbe avere un influenza positiva sull’economia ellenica. Parole pesanti, che hanno fatto indignare il premier greco Antonis Samaras, il quale ha ricordato che non è in previsione questa possibilità. Eppure, secondo Dekkers, l’uscita della sola Grecia potrebbe evitare il contagio a tutto il resto dall’area. Come dire, sacrificarne uno per salvare tutti, ovvero la summa del pensiero tedesco che sta correndo per le sale trading di New York e Londra.
Anche altri big dell’industria tedesca hanno già pianificato cosa fare. Volkswagen, Siemens, Rheinmetall, ThyssenKrupp, ma anche Eurofighter e BMW. Fra marzo e giugno, infatti, sono state tante le imprese che, per voce dei loro top manager, hanno espresso dubbi sulla tenuta dell’attuale struttura dell’eurozona. Peter Löscher, numero uno di Siemens, a metà maggio si disse sicuro: «L’euro? Sono sicuro che continuerà a esistere». Diverso il discorso per Atene. «Se la Grecia farà parte dell’eurozona nel futuro non lo sa nessuno, ma questo è davvero rilevante da una prospettiva industriale?», domandò dal palco di una conferenza negli Stati Uniti. Quasi lo stesso pensiero è passato in mente a Frank Witter, capo di Volkswagen Financial Services. Parlando con il magazine Automobilwoche, Witter affermò di stare lavorando a un programma per chiudere la divisione ellenica in caso di uscita della Grecia dall’euro. «Noi chiaramente ci attendiamo che l’euro non scompaia», disse Witter, rimarcando tuttavia di non sapere quali e quanti Paesi sarebbero rimasti nella moneta unica. «Se la Grecia dovesse uscire, non sarebbe la fine dell’euro», aggiunse. Stesso discorso per BMW, che per voce del suo capo delle vendite globali Ian Robertson sottolineò come nessuno poteva essere certo della futura struttura dell’eurozona, e per Eurofighter.
Non solo la Germania ha messo in conto che Atene possa abbandonare l’eurozona. Fra i grandi europei troviamo British Airways, che nello scorso maggio ha detto senza troppe remore di essere pronta nel caso la Grecia uscisse dall’area euro, e Fiat. Fu infatti l’amministratore delegato della casa torinese, Sergio Marchionne, a mettere in guardia su questa opportunità. «Stiamo valutando la possibilità di un’uscita della Grecia, ma la consideriamo veramente remota», disse Marchionne a maggio durante una conference call con gli investitori. Chi invece ha già finito tutti i suoi calcoli, decidendo di andarsene dal Paese, è Carrefour. Il principale operatore europeo della grande distribuzione organizzata optò per questa soluzione poco prima dell’ultima tornata elettorale ellenica. A metà giugno, Carrefour comunicò di aver venduto la sua quota della joint-venture al partner commerciale greco, Marinopoulos. «Troppi rischi», disse a denti stretti il nuovo capo della società, Georges Plassat. Meglio vendere, che rischiare una ridenominazione dei sistemi operativi. «Una visione pragmatica, specie nell’ottica del contenimento dei costi», dissero gli analisti del Crédit Agricole.
Uno degli scenari più pesanti lo ha delineato EADS, il colosso aerospaziale europeo. Nello scorso maggio il numero uno Louis Gallois ha spiegato, durante un’intervista alla Welt am Sonntag, che EADS sarebbe sicuramente colpita da ingenti perdite economiche nel caso un Paese uscisse dalla zona euro. «Lavoriamo soprattutto in Germania, Francia e Spagna ed è chiaro che vogliamo che l’euro resti in essere, dato che il nostro piano industriale è basato sulla moneta unica», disse Gallois. Tuttavia, l’amministratore delegato di EADS non ha escluso la possibile nascita di nuove valute. «In teoria, possiamo lavorare con tre differenti valute ma bisognerebbe ripensare la nostra struttura dei costi», ha aggiunto. Le tre diverse monete sono il marco tedesco, che secondo Gallois potrebbe diventare «nel breve termine molto forte contro il dollaro statunitense, ma nel lungo più debole, dato il presumibile collasso del commercio estero della Germania», il franco francese e la peseta, considerati fin dalla loro reintroduzione «troppo deboli».
C’è infine Airbus. I gigante dell’aeronautica mondiale, secondo fonti bancarie interpellate da Linkiesta, ha pronto un piano di contingenza dallo scorso dicembre. Il motivo? In caso di secessione della Grecia dalla zona euro, spiegano le fonti, è possibile che debbano essere rivisti gli ordini all’interno dell’eurozona, date le conseguenze dell’evento. «Non è una novità che le compagnie abbiano iniziato a prezzare questa possibilità – continuano le fonti bancarie – e purtroppo cresce l’idea che una secessione della Grecia sia gestibile». Contattata da Linkiesta, la compagnia europea non ha risposto.
E i servizi finanziari? I primi ad agire sono stati CLS bank, la maggiore clearing house globale del mercato valutario e ICAP, il più importante interdealer broker mondiale. Entrambe hanno cominciato, nello scorso autunno, test su nuovi cross valutari, come dracma-euro e dracma-dollaro. E poi c’è Visa Europe. A fine giugno Steve Perry, capo della divisione commerciale di Visa Europe, ha spiegato che la compagnia stava testando diversi scenari, fra cui quello di una secessione della sola Grecia e di un collasso dell’eurozona nella sua totalità. «Nella nostra prospettiva, è chiaro che dobbiamo essere pronti a tutto», disse Perry. Una frase che ha ricordato quella pronunciata dal commissario europeo al Commercio, Karel De Gucht, a metà maggio, quando comunicò che Commissione europea e Banca centrale europea stavano lavorando su diversi piani d’emergenza per l’uscita di Atene dall’euro.
Uscire o non uscire? Anche volendo, non si può fare. Questa soluzione non è contemplata dal Trattato di Lisbona, che disciplina solamente la secessione dall’Europa e non dall’area euro. Inoltre, non si sanno i costi. Come ha rimarcato due mesi fa uno studio di Lombard Street Research, quelli sulla uscita della Grecia dall’euro «sono calcoli che non si possono fare, le conseguenze potrebbero essere quelle di una guerra mondiale». Dello stesso avviso BNP Paribas: «Non ci sono parametri per valutare concretamente questo scenario, che sarebbe comunque devastante». Eppure, tanto per le società americane quanto per quelle europee, prevenire è sempre meglio che curare.