Portineria Milano“Meno tasse”, la Lega di Maroni prova l’asse con Confindustria

“Meno tasse”, la Lega di Maroni prova l’asse con Confindustria

Gli obiettivi sono ambiziosi: trattenere il 75% delle tasse pagate dai cittadini nelle regioni del Nord e interrompere i sussidi per le aziende decotte che non hanno futuro. Ma Roberto Maroni, segretario federale della Lega Nord, ci crede nella «rivoluzione», come l’ha definita oggi agli Stati Generali del Lingotto di Torino. Sarà che va in controtendenza con quello che diceva Mao Tze Tung («La Rivoluzione non è un pranzo di gala»), ma la Lega in cravatta e doppiopetto by Isabella Votino (spin doctor di Bobo) – con il servizio di catering tra carotine e cremine -ha deciso di cavalcare questa nuova battaglia, ben lontana dalla Padania e dalla secessione. Per arrivarci Bobo ha trovato già un alleato di tutto rispetto. Si tratta di Giorgio Squinzi, presidente di Confindustria, che al termine dell’anomala assise padana, tra cravatte e gessati, ha spiegato «di condividere buona parte» del manifesto di Maroni.

Se Corrado Passera, ministro per lo Sviluppo Economica, è stato applaudito dai leghisti solo nel passaggio sulle regioni «non serie da commissariare» – ma non ha risposto a Bobo quando gli chiedeva se fosse d’accordo con il Manifesto («Sì e no») -, è stato proprio l’imprenditore milanese di piazza Maciachini a Milano a condividere la nuova politica della Lega 2.0. Il rinnovamento maroniano, insomma, non sembra dispiacere a Confindustria. Tra la scomparsa del simbolo di Alberto Da GIussano – con i deputati della Lega che accennano il colore del verde padano solo con la pochette o con i braccialetti -, lo stile è davvero cambiato in via Bellerio. 

Non è la prima volta che Squinzi e Maroni si trovano d’accordo. Entrambi tifosi del Milan, quando il patron della Mapei fu nominato numero uno di viale dell’Astronomia, l’ex ministro dell’Interno fu il primo a recapitare gli auguri per il nuovo incarico. Ora però si inizia a fare sul serio. Come spiega proprio Squinzi, «nella prossima legislatura non possiamo andare avanti in questo modo: abbiamo bisogno di politica, di una politica vera». In sostanza, basta demagogia e false promesse, di cui sono spesso stati accusati i leghisti, sostenitori di un federalismo «annacquato» che poi si è arenato in Parlamento.

Maroni – alle prese con le richieste del vecchio capo Umberto Bossi di essere candidato in parlamento – sembra però voler rispondere alle esigenze della Confindustria di Squinzi. La base leghista, quella del pratone di Pontida, ancora fedele dopo gli scandali dell’ex tesoriere Francesco Belsito, è rimasta lontano da Torino, ma – spiega un maroniano di ferro come Matteo Salvini – «è sempre con noi: i diamanti sono i nostri militanti». Per questo motivo, Bobo, che ha capito di non poter più intercettare un semplice voto di protesta delle lande padane, sta cercando di ampliare il suo raggio d’azione, forte della sua nuova classe dirigente, con contenuti e argomenti più convincenti. 

C’è da intercettare un malumore cocente tra le valli padane. Quello di laureati, piccoli imprenditori e lavoratori che stanno soffrendo la crisi economica e non si riconoscono più nei partiti. Tra Veneto e Lombardia si assiste al crollo del Popolo della Libertà, mentre Beppe Grillo del Movimento Cinque Stelle continua a mantenersi stabile. La Lega vuole arrivare lì, pronta a sostenere fino all’ultimo l’inno «Prima il Nord», tanto da levare agli Stati Generali di Torino il vecchio simbolo dell’Alberto da Giussano dai cartelloni. 

Il segretario vuole provarci. Maroni lo ha spiegato declinando i 12 punti del manifesto dal palco. Si parla di Euroregione, ma soprattutto di come la ricchezza «del nord deve far crescere solo il nord». Poi di eliminare i sussidi alle imprese senza futuro, per incentivare l’innovazione, le esportazioni e la ricerca. Quindi si chiedono «imprese più forti al nord», introducendo subito una fiscalità di vantaggio per i territori, per contrastare la delocalizzazione delle imprese. E quindi «burocrazia zero», «solo banche vere che danno soldi alle imprese mentre le altre vanno commmissariate come la Bank of Scotland», poi dimezzare i parlamentali e passare da contratti collettivi nazionali a quelli territoriali.

Su questo punto, sul welfare, Squinzi non ha convenuto. È l’unico punto del programma di Maroni su cui il presidente di Confindustria non ha voluto cedere, ricordando comunque in maniera positiva i contratti nazionali stipulati negli anni passati anche dalla sua azienda. Ma sul resto, il numero uno di viale dell’Astronomia viaggia di pari passo al nuovo Carroccio. «No all’accanimento terapeutico, condivido in pieno – ha detto Squinzi -il punto tre del manifesto di Maroni»

E quindi il fisco. Seppur in cravatta e gessato, Maroni non ha perso lo stile di parlare ai militanti. «Un conto è essere solidali, un conto è continuare a essere dei fessi», insiste. «Dobbiamo trattenere il 75% delle imposte pagate dai cittadini. Il 25% può andare allo stato, ma se noi ci teniamo il 75% avremo un risarcimento di decenni e decenni. Con questa proposta che noi risolviamo tutti i nostri problemi. Adesso arrivamo a mala pena al 35% solo in Piemonte e Lombardia, se passiamo dal 35% al 75% lo potremo dare ai comuni e ai territori: con questo enorme quantità di risorse possiamo davvero cambiare le cose». 

Squinzi è dello stesso parere.  «Stiamo morendo sotto il carico fiscale: l’incidenza fisco è del 57 per cento, in Germania venti punti in meno. Stiamo morendo di questo» ha ripetuto il numero uno di Confindustria. Alla fine Maroni ha ringraziato: «Mi ha fatto piacere che alcuni dei punti del nostro manifesto siano stati condivisi». 

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