Solo il 30% del debito italiano è in mano estera. L’appeal dei titoli di Stato italiani non è mai stato così basso. Una ricerca di Morgan Stanley ha sottolineato una tendenza che va avanti da mesi. Sui 1.648 miliardi di euro che rappresentano il valore dei bond italiani circolanti, solo 492 sono detenuti da stranieri. La fetta maggiore, 1.046 miliardi di euro (il 63% del totale), è nei portafogli italiani. Non solo. La Banca centrale europea (Bce) è in possesso di 110 miliardi di euro, il 7% del circolante, in obbligazioni italiane. Una quota destinata ad aumentare una volta che l’istituzione guidata da Mario Draghi ricomincerà a rastrellare titoli di Stato italiani sul mercato obbligazionario secondario.
Le rassicurazioni, i road show e gli inviti agli acquisti non sono serviti. Sul mercato obbligazionario, l’Italia diventa sempre più autarchica. L’ultima occasione in ordine temporale è stato il viaggio del cancelliere tedesco Angela Merkel in Cina, nel quale ha esortato Pechino a sostenere l’eurozona, ricevendo un rifiuto in cambio. La ricerca di Morgan Stanley evidenzia come, senza le banche italiane, non sarebbe stato possibile per l’Italia collocare il proprio debito pubblico.
A fine 2011 il debito pubblico italiano in mani straniere era al 38 per cento. Il dato, evidenziato da Eurostat, è però in costante calo. Stando ai calcoli di Morgan Stanley, la quota è scesa al 30% a fine agosto. Nello specifico, c’è poco da stare allegri. Su 1.648 miliardi di euro di debito pubblico circolante, quelli detenuti da banche estere sono 161 miliardi. Quelli in mano ad altre istituzioni finanziarie estere, più quelli detenuti dai singoli, sono 330. Nel complesso, 492 miliardi di euro di debito pubblico italiano sono all’estero. Tutto il resto, no.
L’autarchia è ormai un fenomeno consolidato in Italia. Le banche italiane detengono 336 miliardi di euro di debito pubblico. Poco, se si guarda all’intero circolante, molto se si effettua un confronto con la quota degli ultimi anni. A fine 2011 nei bilanci delle istituzioni finanziarie italiane c’era il 45% del debito pubblico italiano presente sui mercati finanziari. Ora il livello è salito al 63 per cento. Le prospettive per i prossimi mesi, spiega invece Goldman Sachs, non vedono cambi di rotta: «Da qui a fine anno, anche in presenza di un intervento della Bce, ci aspettiamo che la quota di debito pubblico italiano detenuta dalle istituzioni finanziarie domestiche possa aumentare ancora». La fuga degli stranieri continua.
Come mai si è arrivati a questa situazione? La nazionalizzazione dei mercati obbligazionari non è una novità nell’eurozona. Se non fosse intervenuta la Bce, paesi come Italia e Spagna avrebbero rischiato di perdere l’accesso a questi mercati. Per tal ragione sono arrivate le due operazioni di rifinanziamento a lungo termine (Long-Term refinancing operation, o Ltro) di dicembre e febbraio. Così, si sono aperte linee di credito triennali per circa 1.000 miliardi di euro, con le quali le banche italiane (ma anche le spagnole), hanno potuto effettuare il rollover del debito pubblico esistente in portafoglio. Non solo. Hanno anche sostenuto le aste di titoli italiane che sono avvenute nella prima parte dell’anno, contribuendo ad abbassare i rendimenti dei bond in emissione.
Per i Btp a dieci anni il miglioramento è stato notevole. Il rendimento è calato in modo significativo in pochi mesi. Dal 7,16% del 9 gennaio scorso, si è passati al 4,81% dell’8 marzo. Nello stesso periodo il rally positivo aveva coinvolto anche le altre maturity dei bond italiani. Il tasso d’interesse delle obbligazioni con scadenza a due anni passarono dal 5,09% all’1,88%, mentre quelle a 5 anni dal 6,40% al 3,54 per cento. Operazione riuscita per la Bce? Non proprio. Come ha ricordato più volte il presidente dell’Eurotower, la rottura del meccanismo di trasmissione della politica monetaria della banca centrale è stata netta. All’abbassarsi del tasso di rifinanziamento della Bce – l’ultimo taglio a luglio – non ha fatto seguito il sollievo sui tassi retail delle banche dei Paesi periferici. Colpa proprio dell’incredibile mole di titoli governativi italiani comprati dalle banche domestiche. Più comprano Bot e Btp e più questi vanno sotto pressione, più le banche italiane soffrono. Eppure, come ha sottolineato la banca anglo-asiatica HSBC a fine luglio, non c’erano margini per fare in modo differente. «L’Italia non poteva permettersi di scendere sui mercati obbligazionari e non trovare compratori», spiegavano gli analisti. Dato che l’accesso ai due fondi salva-Stati europei, lo European financial stability facility (Efsf) e lo European stability mechanism (Esm), è subordinato alla firma di un memorandum d’intesa da parte del Paese richiedente aiuto, l’avvio delle due Ltro da parte della Bce ha dato respiro all’eurozona a fronte di minori rischi.
Fra pochi giorni Draghi forse svelerà il suo piano per sostenere ancora una volta Roma e Madrid nel caso arrivasse una richiesta di aiuto. Parlando a porte chiuse al Parlamento europeo, ha riferito il parlamentare del PPE Jean-Paul Gauzès, il numero uno della Bce ha rimarcato che l’acquisto di titoli di Stato con scadenza fino a tre anni non costituisce una violazione dei trattati comunitari. Come prevedibile, il sollievo dei bond italiani e spagnoli è stato ampio. Tuttavia, come ha ricordato una nota di Royal Bank of Scotland, «l’intervento della Bce sui mercati obbligazionari servirà a prendere tempo, non a risolvere i problemi di Italia e Spagna». Per quelli, la palla passa ai governi.