È una strana città Napoli. Una città che inconsapevolmente si percepisce come normale. Abitata da cittadini che quotidianamente vivono la loro vita, convinti che tutto si muova in un alveo di ordinarietà. Come se nulla fosse. Poi, improvvisamente, un bel giorno la città si sveglia scossa da un qualche evento traumatico. Che sia il mare di immondizia che per anni ha bagnato la città, o una nuova faida di camorra che sparge sangue in quel quartiere lontano di nome Scampia. E d’un tratto Napoli si ritrova sbalordita, attonita, come se fin lì non avesse avuto percezione della realtà che la permeava. Una sorta di solipsismo sociologico-urbanistico.
Non si spiega altrimenti come mai Napoli scopra l’esistenza della camorra esclusivamente al cinema (proprio l’altro giorno ha avuto successo a Venezia la pellicola “L’intervallo” sui ragazzi educati dai clan) o nei libri. E ci si indigna, ci si associa, si organizzano fiaccolate, proteste. È tautologico affermare che se si scrivono libri sulla camorra (anche di grandissimo successo, come Gomorra) e si girano film incredibilmente violenti e appassionanti sulla camorra, vuol dire che la camorra esiste e prospera nella città di Napoli.
Ma allora, questa è la domanda, quando la sua esistenza sembra affiorare, perché ci si gira dall’altra parte? La risposta è fin troppo ovvia: perché la vita non è un film e nella realtà un colpo di pistola uccide, non produce una scena da brividi magistralmente girata da un regista.
E veniamo al punto. Domenica sera hanno fatto il giro del Paese, e non solo, le immagini delle condizioni pietose del manto erboso dello stadio San Paolo di Napoli. Un campo ai limiti della praticabilità. Il giorno dopo un giornalista che si occupa del Napoli da una vita, Antonio Corbo, scrive sull’edizione napoletana di Repubblica che la vecchia ditta che si occupava del manto erboso è la stessa che aveva accreditato a bordo campo, per Napoli-Parma, Antonio Lo Russo, figlio del boss Salvatore, oggi pentito. L’immagine del camorrista dietro la porta del San Paolo finì su tutti i giornali. La Procura aprì un’inchiesta. E meno di un mese dopo il cambio di ditta, scrive sempre Corbo, il pool anticamorra convocò De Laurentiis in procura.
Ora, figuriamoci, conoscendo De Laurentiis potrebbe anche rispondere al vero la tesi “economica”, e cioè che il presidente-produttore avrebbe sostituito la vecchia società perché con la nuova – omonima della precedente in realtà non è chiaro se ci sia un grado di parentela) – avrebbe stipulato un contratto più vantaggioso. Quel che non torna è come mai la nuova ditta, entrata in attività a gennaio 2012, abbia poi lasciato che il campo si riducesse in quel modo. Per quanto pochi saranno stati i soldi versati da De Laurentiis, non ci vuole un botanico di fama mondiale per rendersi conto di quello scempio. A meno che non sia stata opera di un sabotaggio.
Insomma, non bisogna essere Agatha Christie per porsi una domanda. Tanto più se si viene a sapere che la procura ha nel frattempo avviato un’altra inchiesta sulla manomissione della videosorveglianza dello stadio.
A questo punto è bene fare qualche passo indietro. E ricordare qualche episodio che in passato ha toccato direttamente la società calcio Napoli guidata da De Laurentiis. Società che, vale la pena di ricordare, è una delle principali realtà economiche della città.
Nei mesi scorsi più volte i calciatori del Napoli, o le loro consorti, sono stati oggetto di rapine, aggressioni, scippi, furti. Il più clamoroso, soprattutto per le conseguenze sulla squadra, fu lo scippo alla fidanzata di Lavezzi, Yanina, che si sfogò su Twitter scrivendo: “Napoli ciudad de mierda”. Ancora oggi tanti tifosi napoletani addebitano alla modella la volontà del Pocho di lasciare il Vesuvio per accasarsi a Parigi. Ma l’elenco dei calciatori colpiti è più ampio e, guarda caso, comprende tutti i pezzi pregiati della squadra: dalla moglie di Hamsik, a Cavani colpito due volte: la prima con un furto in casa Cavani, la seconda con uno scippo dell’orologio alla moglie del Matador, concluso con un “singolare” ritrovamento avvenuto qualche giorno dopo in un palazzo non lontano dal luogo della rapina.
Più volte le forze dell’ordine e gli inquirenti hanno negato qualsiasi tipo di collegamento tra gli atti di criminalità. E lo stesso De Laurentiis ha spesso, anche in modo sfacciatamente esagerato, minimizzato. Arrivando addirittura a una battuta poco riuscita pronunciata qualche giorno fa, in occasione del rinnovo del contratto di Cavani: “cari napoletani, mi raccomando, adesso non scippate la moglie del Matador, sennò se ne va”.
Ma gli strani episodi non finiscono qui. L’anno scorso, come raccontato su Linkiesta, a ogni partita di Champions in trasferta l’acquisto dei biglietti si trasformava in un via crucis per i napoletani onesti. Che, dopo aver trascorso diligentemente la nottata in fila, si vedevano costretti a rinunciare da signori poco raccomandabili che invitavano a far passare avanti fior di gentiluomini. I quali, magari, dopo pochi minuti, rivendevano i tagliandi al triplo del prezzo. Il tutto sotto lo sguardo delle forze dell’ordine.
Proprio evitare questi inconvenienti, la società aveva pensato di attivare la vendita dei biglietti on line. Chiudendo uno storico sodalizio con l’agenzia che da sempre si era occupata dei biglietti. Vendita che in realtà non è mai partita, tranne una volta, per una porzione limitata di biglietti e con mille problemi.
E siamo a tre indizi. A questo punto la già citata Agatha Christie avrebbe la prima prova. Ma ce n’è anche un quarto. Nei giorni precedenti la trasferta estiva di Pechino per giocare la Supercoppa italiana contro la Juventus, la città è tappezzata di scritte che invitavano il Napoli a rinunciare alla trasferta considerata troppo esosa dalle frange dei tifosi. Non a caso, dieci giorni prima dell’incontro, inspiegabilmente, De Laurentiis prova a spostare la sede del match. Sembra una delle tante uscite “folli” del presidente, ma di certo è un’esternazione cara agli ultrà. A voler essere maliziosi, quasi una recita a soggetto per poter poi giustificare che la trasferta sia stata resa obbligatoria dalla Lega calcio. Fatto sta che adesso anche il Napoli, per le gare interne, ha adottato la possibilità di stipulare abbonamenti by-passando la sottoscrizione della tessera del tifoso (che non è sottoscrivibile da chi ha precedenti per reati da stadio).
È probabile che tutti questi episodi siano isolati e non abbiano alcun collegamento tra di loro. Resta la domanda iniziale: ma perché Napoli e i napoletani si accorgono della camorra solo sul grande schermo? Possibile che nessuno si chieda se un’azienda come il Napoli possa far gola a quei brutti ceffi che al cinema ricattano e tengono in scacco gli imprenditori? O si tratta solo di una congettura giornalistica?