«Mitt Romney sembra disperato». Ryan Lizza, giornalista politico del New Yorker e analista alla CNN, commenta così le accuse che Romney ha rivolto a Obama dopo la tragica morte dell’ambasciatore Chris Stevens in Libia. La tensione si sta cominciando a far sentire: siamo nella fase finale della campagna elettorale americana e a ottobre i due candidati alla Casa Bianca si scontreranno nei tre dibattiti televisivi. Per ora i sondaggi danno Barack Obama in testa di pochi punti. Per Lizza, «chi è in vantaggio ora sarà con ogni probabilità il prossimo presidente degli Stati Uniti d’America».
Com’era prevedibile la morte dell’ambasciatore americano Chris Stevens a Bengasi sta avendo delle ripercussioni anche nel dibattito politico interno. Mitt Romney in un comunicato stampa ha accusato Obama di simpatizzare con gli aggressori. Un passo falso.
Sì, è stato il primo politico ad aver commentato la morte dell’ambasciatore ma ha commesso un errore grossolano. Prima di tutto, se vuoi attaccare il presidente degli Stati uniti nel mezzo di una crisi di sicurezza nazionale devi obbligatoriamente conoscere i fatti e conoscerli bene.
Brutto vizio. Romney e il suo team sembrano avere dei problemi nel controllare l’esattezza dei fatti.
Così sembra. I media qui in America lo stanno mettendo sulla graticola sia per l’assurdità del contenuto della dichiarazione – nessuno può credere che il Presidente degli Stati Uniti d’America sia in combutta con gli esecutori dell’omicidio di un americano – sia perché ha chiaramente tentato di strumentalizzare una vicenda così delicata. E lo ha pure fatto male.
Qualcuno ha azzardato il paragone tra Obama e l’omicidio Stevens con Carter e la crisi degli ostaggi a Tehran nel ’79.
C’è sempre qualche analista che forza le associazioni. All’epoca, nel 1979, la questione degli ostaggi fu una storia lunga che la rete televisiva ABC mandava e rimandava in onda 24 ore su 24. Ora i media sono più frammentari nel dare le notizie e poi nessuno dei due candidati penso sia interessato a parlarne troppo. Di certo non Romney, visto cosa ha detto. E di sicuro assicuro che già lunedì – mi dispiace dirlo – non se ne parlerà più.
Romney appare come un politico sprovvisto di un’identità ben precisa: a volte si presenta come un moderato, a volte evoca i toni aggressivi alla Sarah Palin.
Questo è il problema di Romney. Non è ideologico. Per lui la politica è un mezzo per risolvere i problemi. Per darsi una connotazione si appiattisce sul pensiero unico del partito. Cosa fa allora? Durante le primarie, rilascia dichiarazioni molto forti sull’immigrazione perché è questo quello che il partito si aspetta da lui. Nell’elezione generale, dopo le convention, i toni cominciano a variare. Un giorno attacca Obama sui temi sociali, alla Sarah Palin per intenderci. Un altro giorno dichiara che metterebbe mano solo ad alcune parti della riforma sanitaria di Obama. In sostanza, questa mutevolezza dei pensieri e dei toni, fa apparire la campagna dei repubblicani disperata: cercano di fare due cose simultaneamente, galvanizzare la base repubblicana lanciando qua e là dichiarazioni al vetriolo contro il Presidente, e allo stesso tempo corteggiano gli indecisi.
Per te allora i giochi sono fatti. Vincerà Obama?
Nella politica americana, settembre coincide con la chiusura delle convention e generalmente chi è in vantaggio nei sondaggi sarà il vincitore all’elezione generale. Dopo Charlotte, Barack Obama ha guadagnato qualche punto in più rispetto a Romney che da tempo è fermo. Alcuni danno il Presidente oltre il 50% dei consensi. Ora non so se i numeri rimarranno inalterati fino al giorno delle elezioni, ma quel 50% significa che c’è una maggioranza che avrebbe intenzione di rieleggerlo per il secondo mandato.
I dibattiti presidenziali che si terranno in ottobre potrebbero ribaltare la situazione?
Potrebbero. Ma storicamente i dibattiti non sono stati mai risolutivi. Il punto è che gli americani non pensano che Romney non sia adatto a fare il Presidente, cosa che pensavano di Ronald Reagan, George W. Bush e in un certo senso anche di Obama. Gli americani non riescono a entrare in contatto con lui, manca tutta la parte emozionale che politici come Obama o Bill Clinton sono bravissimi a tirar fuori.
Allora per riprendere una battuta di Reagan, “State meglio ora di quattro anni fa?”
Secondo me le aspettative degli americani sono molto più basse rispetto a prima. All’epoca quella frase di Reagan ebbe una certa risonanza. Reagan offriva all’elettorato americano un’azione politica e una filosofia economica completamente nuova. Romney dice le stesse cose senza quel quid in più che lo potrebbe portare allo Studio Ovale. Lo diciamo da tempo ormai, se i repubblicani dovessero perdere queste elezioni dovranno ricostruire il partito.
E come potrebbe essere il partito repubblicano del futuro?
Se perdono le elezioni Romney potrebbe essere accusato di essere stato eccessivamente moderato e di non aver voluto sottoscrivere un’agenda più aggressiva. In questo caso si sposteranno a destra e cercheranno uomini come Paul Ryan, Rick Santorum o Mike Huckabee. E per me sbagliano di grosso. Altrimenti c’è l’opzione Condoleeza Rice che a Tampa durante la convention repubblicana è stata molto convincente e ha riscosso un grande successo. Sono in molti a volerla come candidata nel 2016.