BRUXELLES – Better spending. Suona meglio, ma il significato è sempre lo stesso: spendere meno e a condizioni molto più rigide per chi vuole beneficiare di fondi comunitari. È il cuore della proposta tedesca per il bilancio dell’Ue 2014-2020 – quello che in gergo comunitario si chiama multiannual financial framework (quadro finanziario multiannuale, MFF), contenuta in sei paginette di un documento dal titolo More growth through better spending: four challenges.
La partita in gioco è al centro di intensissimi negoziati, visto che si parla di cifre colossali per i sette anni di bilancio dell’Unione. Negoziati che vedono vari paesi – tra cui non solo la Germania, ma anche Italia, Francia, Olanda, Gran Bretagna, Svezia e Austria – impegnati a ridurre la richiesta della Commissione di aumentare il bilancio portandolo all’1,08% del Pil comunitario (pari a un totale di 1.033 miliardi di euro), molti chiedono invece un tetto all’1% (circa 114 milioni di euro in meno). Un negoziato difficilissimo cui sarà dedicato un summit Ue straordinario il 22 e 23 novembre.
La Germania ha calato una sua proposta draconiana che sembra eccessiva in molti punti a molti paesi. La prima cosa che i tedeschi vorrebbero cassare è la possibilità per paesi in particolari situazioni di difficoltà di godere di una percentuale più bassa di cofinanziamento (la parte di fondi che lo Stato deve aggiungere a quelli erogati dall’Ue per un determinato scopo): attualmente lo standard è pari al 15%, ma uno stato in difficoltà (come ha fatto la Grecia) ha facoltà di chiedere di scendere al 5% (così l’Ue finanzia ben il 95% del totale). La Commissione vorrebbe mantenere questa possibilità anche nel prossimo bilancio settennale, mentre la Germania vuole che si torni «allo stato pre-crisi». Tradotto: niente eccezioni, neppure per chi si trova nelle disastrate condizioni della Grecia. «Solo un’adeguata dimensione del cofinanziamento – si legge nel documento germanico – da parte degli Stati membri garantisce la necessaria individuazione di priorità nei progetti di coesione». È sempre lo stesso principio: niente sconti.
Non basta. La Germania appoggia in pieno la (controversa) proposta della Commissione di poter tagliare o decurtare fondi ai paesi che non rispettino i propri impegni nell’ambito della procedura per gli squilibri economici (introdotta dalla nuova governance economica e che punisce deviazioni non solo di finanze pubbliche ma in generale macroeconomiche). Tradotto: se un ministro delle Finanze a Roma non centra l’obiettivo di bilancio per l’anno indicato, magari la Sicilia o la Calabria potrebbero vedersi decurtare i fondi – anche se magari non hanno colpe dirette. A Berlino, però, non basta: il documento del governo tedesco chiede di poter cassare o decurtare fondi Ue anche agli Stati che violino i valori fondanti dell’Ue, come sancito dall’articolo 2 del Trattato di Lisbona (dignità umana, democrazia, parità dei sessi, Stato di diritto, rispetto delle minoranze etc.). Uno strumento con cui si potrebbero “punire”, o almeno minacciare, Stati a rischio democratico come ad esempio la Romania o l’Ungheria. Risultato: regioni povere pagherebbero il conto di manovre politiche che hanno luogo nelle rispettive capitali.
Il documento tedesco propone un’altra “innovazione”: il progressivo passaggio dal finanziamento a fondo perduto per le regioni più deboli a veri e propri prestiti, erogati a condizioni più stringenti e, soprattutto, da restituire. «Erogazioni finanziarie che non devono esser ripagate – si legge nel documento tedesco – costituiscono incentivi sbagliati e rafforzano la possibilità di abusi. In ambiti adeguati, e con un rischio attentamente calcolato per il bilancio Ue, dovrebbero dunque esser erogati prestiti anziché aiuti». Questo vorrebbe dire che le regioni del Mezzogiorno – ma anche, per dire, dell’Est tedesco, o della Polonia Orientale, o della Scozia, o del Sud della Spagna, o quasi l’intera Grecia – prima o poi dovrebbero restituire i miliardi di fondi Ue ricevuti nel corso dei decenni. Come se non bastasse, il paper tedesco propone l’introduzione di ancora un altro requisito: e cioè che «in futuro ogni regione beneficiaria sottoponga una strategia di crescita» che sia «tradotto in programmi operativi, dimostrando che i fondi sono stati concentrati in misure rilevanti per la crescita».
I tedeschi denunciano (come dar loro torto) i troppi abusi ed episodi di corruzione. Ragion per cui chiedono un maggior coinvolgimento dell’Olaf, e cioè l’authority antifrode dell’Ue. Berlino, inoltre, vuole ridurre i poteri della Commissione Europea, finora l’unica a giudicare la fattibilità dei progetti suscettibili di finanziamento. «Le valutazioni – si legge infatti nel documento – dovrebbero spettare non solo alla Commissione, ma anche al Consiglio e, quando necessario (e cioè quando non c’è intesa a livello di ministri, ndr), al Consiglio Europeo (e cioè i capi di Stato e di governo ndr)». Il percorso per ottenere un finanziamento, insomma, diverrebbe molto più complicato se anche gli Stati membri (che comunque già si fanno sentire in modo informale) devono dare il proprio avallo ufficiale per il finanziamento di singoli progetti in determinate regioni, magari arrivando ai massimi vertici. Non stupisce se un diplomatico europeo citato dal sito Euractiv abbia definito la proposta tedesca «Sangue, sudore e lacrime». È l’inevitabile pendant del Patto Fiscale e dell’ondata di ultra-rigorismo che Berlino ha imposto ai suoi partner. I risultati, almeno sul piano della crescita, non sono proprio dei migliori.