Aggiornamento 27 settembre 2012 ore 22.09
Sea entra in borsa. La corsa per la dismissione della società che gestisce gli scali di Linate e Malpensa ha superato le 28 ore di seduta consiliare a Palazzo Marino. Il voto arriva tra polemiche dell’opposizioni e perplessità interne alla maggioranza. «Manderemo un esposto alla magistratura e non voteremo per protesta», dice il consigliere Pdl Riccardo De Corato. «Solo ostruzionismo da parte dell’opposizione» risponde la maggioranza Pd.
Con 230 emendamenti presentati e la decisione di contingentare i tempi per gli interventi, l’aula si scalda già a metà pomeriggio. L’opposizione critica la mancanza di progetti per l’utilizzo dei ricavi e preme sul rischio della svendita delle partecipazioni. Il centro-destra fa le barricate. «È diverso dalle situazioni precedenti (giunta Albertini, ndr) perché con l’attuale situazione finanziaria si rischia di entrare in borsa a un prezzo molto più basso» dichiara De Corato a Linkiesta, che osserva: «Ha visto cos’è successo ieri a Piazza Affari? Si immagini vendere in questa situazione» . Allo scadere del tempo concesso tutto il gruppo consiliare del Pdl si è imbavagliato per protesta alzando cartelli che denigravano la giunta Pisapia e la mancanza di democrazia nel Comune.
C’è un vero rischio di svendita con l’entrata in borsa? «No» risponde la consigliera Pd Carmela Rozza a Linkiesta, «È chiaro che la borsa sale e scende, ma la situazione attuale è abbastanza stabile per un’operazione borsistica». Tuttavia, il peso della vicenda giudiziaria che ha coinvolto Vito Gamberale, numero uno del fondo F2i indagato per turbativa d’asta dopo la vendita del 29,7% di Sea nel novembre 2011, non è indifferente. «Non ci sono mai state remore ideologiche sull’entrata in borsa» risponde Rozza, aggiungendo: «La vendita a Gamberale era stata fatta per chiudere il buco di bilancio che le casse avevano ed evitare di sfondare il patto di stabilità e subire penalizzazioni sui trasferimenti dal governo. Nell’aprile 2011, quando era stata presentata la volontà della giunta Moratti per l’entrata in borsa, non avevamo fatto ostruzione né ci eravamo opposti»
Nel pomeriggio è arrivato il disco verde del consiglio di amministrazione di Asam Spa, detenuta per l’80% dalla Provincia e proprietaria di Serravalle al 52,9% e Sea al 14%: revoca dell’operazione di scambio dei pacchetti azionari con il Comune di Milano, e il via alla dismissione, via asta, della partecipazione di Serravalle. Inoltre, il cda – dopo aver approvato i conti 2011, che riportano una svalutazione della partecipazione nel capitale di Milano Serravalle di 235,4 milioni di euro e una perdita di 206,3 milioni – ha deciso di approfondire un’eventuale dismissione della partecipazione pari al 14,56% detenuta in Sea. L’operazione decennale sulla società di gestione aeroportuale vedrà finalmente la luce?
Una storia di veti incrociati lunga più di un decennio. Risale al 2001 il primo tentativo, da parte di Palazzo Marino, di mettere sul mercato il 30% di Sea, la società che gestisce gli scali di Linate e Malpensa. L’ultimo è storia di questi giorni: il sindaco di Milano Giuliano Pisapia e il presidente della Provincia, Guido Podestà, stanno lottando contro il tempo affinché i rispettivi consigli licenzino le delibere di vendita entro domani, giorno in cui è fissata l’assemblea di Sea. Una volta ottenuto il via libera delle due amministrazioni, infatti, toccherà al consiglio d’amministrazione della società dare l’ok all’operazione, per poi redigere in tempo il documento di registrazione e sottoporlo alla Consob. Il nodo ancora irrisolto rimane il flottante: il taglio minimo è il 25%, cifra che Basilio Rizzo, presidente del Consiglio comunale, ha proposto di ridurre al 22,7%, per consentire al Comune di mantenere il 50,01% delle quote.
Ipotesi che il numero uno di Sea Giuseppe Bonomi, intervenuto ieri in commissione partecipate, giudica risolvibile tramite una deroga alle autorità competenti. Intanto, le linee guida del piano industriale per i prossimi quattro anni vedrà risparmi per 7,5 miolioni di euro, investimenti per 500 milioni e ricavi a +15% grazie all’aumento delle tariffe che dovrebbe scaturire dal rinnovo del contratto con Enac. Il tasso di crescita dei passeggeri passerà dal 3,1 al 3,8% da qui al 2016, mentre quello merci salirà del 7% l’anno. La società aeroportuale ha chiuso lo scorso esercizio con un utile di 53,9 milioni, debiti per 320 milioni e 28 milioni di passeggeri (+4,2% sul 2010).
L’esordio sul mercato, tuttavia, non può prescindere dalle mosse della Provincia. Controllata da Palazzo Marino al 54,8%, la quotazione di Sea va a braccetto con la vendita dell’80% della Milano-Serravalle. La municipalità meneghina è azionista al 18,6% della concessionaria, che detiene il 68,36% di Pedemontana, il 32% di Tem e una quota minimale (0,72%) nella società di progetto Bre.be.mi., controllata a sua volta all’88,65% da Autostrade Lombarde Spa (quest’ultima partecipata al 40% da Intesa Sanpaolo). Il sindaco Pisapia, come si legge sul testo della delibera, punta a valorizzare la quota per un importo pari a 130 milioni di euro. La Provincia, invece, ha il 14,56% di Sea, attraverso la holding Asam. Nulla di fatto, invece, sul concambio azionario approvato la scora estate dai rispettivi consigli e poi congelato, che avrebbe consentito al Comune di salire al 69% di Sea cedendo per 45 milioni di euro le sue quote in Serravalle alla Provincia, consentendole così di raggiungere il 71,5 per cento del capitale. Conguaglio che deriva dalla differenza tra il 14,56% della holding aeroportuale (190 milioni) e il 18,6% della società stradale (145 milioni) stimati dagli advisor, Kpmg e l’Università di Castellanza per conto del Comune, Arthur D. Little e Mario Minoja, professore di Economia aziendale in Bocconi.
La Società Esercizi Aeroportuali Spa nasce nel 1948 come Società per Azioni dell’Aeroporto di Busto Arsizio, e rimane privata fino al 1952, poi dal 1955 diventa a prevalente partecipazione pubblica. Dal 1962, con la legge 194, Sea è il gestore dell’aeroporto di Linate e di quello di Malpensa. Il 15 gennaio 2001, il Comune approva la privatizzazione del 30% della sua quota, dell’84,5 per cento. Il 17 luglio 2001 tocca alla Provincia che approva la vendita del suo 14,56 per cento. La proposta vira verso lo sbarco in borsa con un’offerta pubblica di vendita: secondo il progetto, il Comune avrebbe ceduto il 30% e la Provincia avrebbe trasferito al Comune il 4,55% del suo pacchetto. Per Albertini furono i veti di Tremonti e Bossi a non far decollare la quotazione. «Nonostante la Lega, si andava avanti. La valutazione della quota che il Comune intendeva cedere, il 29%, è di tutto rispetto, 600 milioni di euro. Ma gli aerei dei terroristi islamici sono in volo, si abbattono sulle Torri, uccidono più di tremila persone innocenti», scrive Albertini ne “L’onestà al potere”, libro-intervista di Roberto Gelmini (Marietti 2012).
Infatti la manovra non si rivela un successo. Roberto Caputo, all’epoca presidente del Consiglio provinciale di Milano, dice a Linkiesta: «La vendita non andò a buon fine perché l’opposizione interna del centrodestra impedì ad Albertini di portare a termine l’operazione. Di conseguenza, la provincia si adeguò e non ci fu il passaggio del pacchetto del 4,55% delle partecipazioni».
Il tentativo si ripete quattro anni dopo con un’altra gara d’appalto: in palio il 33% della società per un valore di base di 600 milioni di euro (a seguito della valutazione di Mediobanca). Quattro i nomi delle società interessate: la Baa (British Airport Authority), Goldman Sachs (che offre 630 milioni di euro, ma viene esclusa dal Comune perché ritenuta inammissibile), Hochtief airport, Babcock&Brown International.
«Dopo tutte le interdizioni dalla fase progettuale a quella attuativa, il giorno dell’apertura del bando per la vendita con asta competitiva del 33% […], bene, proprio quel giorno il governo interviene con un decreto formalmente a favore dell’Alitalia, ma nei fatti a vantaggio di tutti i vettori», ricostruisce Albertini. «Il decreto – osserva ancora l’europarlamentare – abbassava le tariffe aeroportuali, per cui la vendita perdeva valore. In poche parole, i tre concorrenti, una società tedesca, una inglese e un fondo americano-australiano, si sono ritirati. La riduzione del business plan annuale, che era di 20 milioni di euro, ha fatto fuggire chi era interessato a rilevare quel 33%, ma ha anche fatto perdere a Milano un affare da 600 milioni di euro. E oggi ne ricavano appena 385 milioni, in pratica la metà considerando l’inflazione». Albertini aveva accusato l’allora presidente di Sea, Giuseppe Bencini, di aver redatto un business plan troppo prudenziale per risultare attraente agli occhi degli investitori. Ed era corso ai ripari affiancandogli un advisor esterno. In pratica, un commissariamento.
La vendita non si conclude. Intanto, a novembre, il presidente della Provincia di Varese, Marco Reguzzoni, annuncia un ricorso presso il Tar lombardo, spiegando che Malpensa, trovandosi in territorio varesino, è un affare della Provincia, esclusa, per regola del Comune, dalla gara. Annuncio che arriva insieme alla bocciatura del ricorso del consigliere Udc Emilio Santomauro contro la vendita della pacchetto per vizi nel procedimento di formazione dell’atto deliberativo e incongruità e irragionevolezza del prezzo di vendita. «Santomauro portava avanti una sua personale opposizione alla vendita di Sea» ricorda il vicepresidente del Consiglio comunale Riccardo De Corato, aggiungendo: «C’era un’opposizione da parte della Lega, ma il vero motivo del fallimento della vendita è stata l’opposizione in Consiglio comunale, che ha alzato le barricate contro il progetto».
Nel gennaio del 2006 l’opposizione in Consiglio comunale presenta un altro ricorso al Tar contro il prolungamento delle gare per la privatizzazione della società e la distribuzione di un dividendo straordinario agli azionisti. Il Tar accoglie il ricorso e sospende la gara, ma il Consiglio di Stato a febbraio boccia la sospensiva. Motivo: i consiglieri comunali che avevano presentato il ricorso non erano legittimati a farlo.
Stessa sorte capita a Filippo Penati, al tempo presidente della provincia di Milano, che a febbraio ricorre al Tar contro il prolungamento dei termini della vendita e il maxi-dividendo da 200 milioni di euro (di questi, 170 per il Comune, corrispondenti alla sua quota di capitale) deciso dall’assemblea di Sea a gennaio. Secondo Palazzo Isimbardi, la delibera per il dividendo straordinario non era stata assunta con regolare approvazione del bilancio e l’assemblea non era stata convocata regolarmente. L’8 marzo, comunica il Comune, il Consiglio di Stato boccia la sospensione decisa nuovamente dal Tar.
Nel marzo 2006, complice la doppia bocciatura, i progetti della giunta Albertini per la vendita del pacchetto Sea naufragano definitivamente: per riparlare di privatizzazione della società di gestione aeroportuale, si deve aspettare la giunta Pisapia. La giunta di Letizia Moratti, osserva ancora De Corato, «stava pensando a una quotazione in borsa per Sea, ma ne parlò solamente alla fine del mandato e mancavano i tempi tecnici per procedere».
Tanto su Serravalle che su Sea pesano le inchieste giudiziarie. La prima da parte della Procura di Monza è quella che ha coinvolto l’ex presidente della Provincia Filippo Penati. Se si va verso il processo per il cosiddetto “sistema Sesto”, continuano le indagini sul filone del sovrapprezzo con cui la Provincia ha acquistato dal gruppo Gavio il 15% della Milano-Serravalle. Asam, holding che controlla la Milano-Serravalle, ha in carico le azioni a un valore di 5,8 euro, ma per l’80% della concessionaria è stato ipotizzato dal bando un prezzo di 640 milioni di euro, cioè 4,45 euro per azione. Il che implica una svalutazione. Per quanto riguarda Sea, la procura di Milano ha iscritto lo scorso maggio sul registro degli indagati il numero uno del fondo F2i, Vito Gamberale, per turbativa d’asta nell’ambito della cessione, da parte del Comune, del 29,75% di Sea per 385 milioni di euro. Operazione che ha portato i pm ad accendere un faro anche su Alessandro Profumo (uno dei circa 80 soci de Linkiesta), ora presidente di Mps e allora a capo della Appeal Strategy & Finance, società di consulenza che ha fornito un parere pagato 100mila euro direttamente da Sea invece che dal Comune di Milano, circostanza che ha fatto insospettire il pm Alfredo Robledo, titolare del fascicolo. Mentre prosegue il lavoro dei magistrati, la politica potrebbe mettere oggi la parola fine a una telenovela lunga due lustri, che ha fatto perdere tempo e soldi a tutti i cittadini milanesi.