Spietato e cattolico: la formula Renzi per prendersi il Pd

Spietato e cattolico: la formula Renzi per prendersi il Pd

Se c’era qualche dubbio sulla riuscita politica del sindaco di Firenze Matteo Renzi, questo è stato completamente fugato dall’alterigia con cui Eugenio Scalfari intende rimandarlo alle scuole serali perché impari qualcosa. Quanto alla politica, è notorio da qualche decennio che Scalfari (e con lui il suo epigono più brillante, Paolo Mieli) non ne ha mai imbroccata una: e quindi per Renzi, lo strano “alieno” che da qualche tempo viene terremotando la sinistra politica e intellettuale, il disprezzo scalfariano è certamente promessa di sicura fortuna.

Anche perché, se è permesso ragionare sul caso con il distacco di un lontano osservatore, la vicenda anche umana del sindaco della città del giglio suscita la curiosità e l’interesse di chiunque voglia confrontarsi con l’avvenire. D’altra parte, almeno finora, il successo elettorale e il consenso popolare che ne hanno contraddistinto l’ascesa sono sempre avvenuti “contro” : contro cioè un apparato di partito (e tutti i suoi ramificatissimi addentellati sociali e sindacali) che da oltre mezzo secolo governa e controlla la “rossa” Toscana. E ha regolarmente sconfitto tutti gli avversari che, sia in sede di “primarie” che di elezioni amministrative, le burocrazie partitiche gli hanno regolarmente contrapposto.

Fenomeno atipico, circoscritto a quel territorio, e quindi “anomalia recintabile” nell’ambito di una sola città, pur significativa e originale come Firenze, oppure espressione insieme di un disagio profondo e di una speranza più ampia e non solo generazionale ? In fondo Renzi è stato il primo, il battistrada, di un diverso rapporto tra i cittadini e le istituzioni a loro più vicine. Perché, dopo, negli anni successivi, anche altrove gli apparati della sinistra (e del PD in particolare) sono stati regolarmente battuti nelle “primarie” (e poi nel voto) dagli “outsider” a lungo osteggiati dalle locali “nomenklature”. Si potrebbero citare i più recenti voti di Genova e Palermo, ma è probabilmente Milano, con l’avventura di Pisapia e del suo “popolo arancione”, la vicenda che nel suo svolgimento e nei suoi risultati più si apparenta al precedente fiorentino, soprattutto per la passione civile e la carica emotiva di mutamento che ha portato con sè.

Eppure il sindaco di Firenze che attacca con le primarie le roccheforti della politica nazionale sembra avere qualcosa in più, a cominciare da un’idea complessiva del Paese e del progetto possibile (già anticipato in parte negli anni scorsi negli affollati incontri della Leopolda) che, con la ribalda sfrontatezza dei giovani, sfronda sin dall’inizio buona parte delle invecchiate liturgie e di molti “luoghi comuni” normalmente obbligati nella narrazione di sinistra. La sua critica radicale alla cultura sessantottina e ai cantori della “meglio gioventù del ‘68” suona insieme blasfema e inquietante per buona parte dell’”intellighentsia” impigrita e consolidata, anche perché rifiuta qualsiasi forma di “cooptazione” com’è invece quasi sempre avvenuto per le nuove figure portatori di una qualche originalità.

E il suo programma di “sinistra liberale” (per riprendere la felice espressione di Ricolfi) ha il pregio (e insieme l’incubo per molti) di spiattellare senza diplomazia idee “normali” della contemporaneità che tutti (in privato) sanno indispensabili per salvarsi dal declino ma che sono esiziali, se attuate, per gli apparati, le burocrazie e le corporazioni di ogni colore e appartenenza.

Se si volesse davvero radiografare il personaggio e verificarne la effettiva consistenza (invece di alzargli contro i soliti muri del discredito livoroso) è probabilmente è al fondo dell’anima cattolica del giovane leader che si dovrebbe investigare. Renzi è credente da sempre: non lo esibisce ma neppure lo nasconde, (come peraltro non nasconde la sua antica e meritata vincita alla “Ruota della Fortuna” di Mike Bongiorno oppure la sua visita ad Arcore per portare i problemi della sua città all’attenzione dell’allora Presidente del Consiglio).

Ed è “dentro” quell’anima cattolica che va scavata la motivazione della vocazione politica: un’anima certamente sensibile al sociale, alla tutela privilegiata dei poveri, alla creazione di opportunità di crescita per i più disagiati. Ma che, senza rinchiudere questa missione nell’ambito assistenziale e nella miriade di associazioni dedite alla carità, accetta la sfida del potere e, se necessario con spregiudicatezza, affronta le battaglie democratiche della politica con le armi dialettiche e l’equipaggiamento propri del conflitto civile. È un filone culturale di una certa “sinistra cristiana” di cui si era forse perduto anche il ricordo: e che tuttavia, storicamente, aveva sempre mantenuto una fortissima dimensione “competitiva” con la tradizionale sinistra di impronta marxista, e proprio sul terreno del riscatto sociale.

Con in più il segreto sentimento interiore di ritrovarsi “migliori”: meno condizionati dall’ideologia dello statalismo pesante e meno costretti a parteggiare per le dittature comuniste, in sostanza oggettivamente molto più liberi e immaginifici nel combattere per un mondo più giusto. E proprio a Firenze quel “sindaco santo” di Giorgio La Pira aveva segnato la vita della città con la sua apertura profetica all’intero pianeta, quando aveva cercato da solo di far fare la pace nella guerra del Vietnam.

Matteo Renzi, scanzonato, allegro e pure un po’ gaudente, è tutto il contrario della sofferta e spoglia cifra conventuale di La Pira: e tuttavia a suo modo ne riprende e ne rielabora lo spirito, con il coraggio temerario di “sognare in grande”, di disegnare comunque un progetto di Paese che si liberi dai macigni del passato e tenti di essere al passo nella complicata modernità.

Dall’ “humus” del popolo cattolico nel quale è immerso e si è formato viene poi un’astuzia dialettica che ben pochi hanno colto e che forse non è estranea al suo “appeal” sulla base. Un cristiano coerente e impegnato piace molto al popolo indistinto dei semplici fedeli quando ha il coraggio di “parlar male dei preti”, segnalando, quando c’è, l’ipocrisia o l’ignavia alla don Abbondio. Perché dice le cose che tutti pensano e che non hanno la forza di manifestare, anche se magari ai loro preti continuano a voler bene lo stesso…

Renzi si è limitato ad applicare la stessa modalità alla politica e a un partito completamente ingessato, addirittura chiedendo la rottamazione dei dirigenti. Certo sfrontato, talvolta ingeneroso: ma la sua carica dirompente (e il successo di popolo che ne deriva) dimostrano che non solo ha colto nel segno, ma ha trasmesso una paura fottuta ai benpensanti e ai parrucconi che abitano comodamente le casematte della sinistra, quella intellettuale compresa. Ed è consapevole che non può fare a meno di essere spietato. Un solo esempio: la feroce critica alla radice della controriforma delle pensioni introdotta al tempo dell’ultimo governo Prodi dall’allora ministro del Lavoro Cesare Damiano che, guarda caso, è tutt’ora titolare del Welfare nell’attuale Pd. Oppure il giudizio su Veltroni, “meglio riuscito come romanziere che come politico”. Un modo, come nell’antica favola, che ha l’innocente bambino di proclamare che “il Re è nudo” e che quindi tutti gli orpelli di una sinistra priva di spinta propulsiva e innamorata del proprio ombelico vanno archiviati nella soffitta della Storia.

C’è infine un altro aspetto (anche questo sottovalutato e nascosto) che intriga del giovane ma non inesperto virgulto della politica, e cioè “l’Esprit Florentin”, ovvero l’anima di appartenenza locale e il portato secolare di un originale e straordinario “mix” di cultura. Anche il sindaco ha bevuto dalla nascita latte e bellezza, ed è cresciuto a pane ed arte. Ed è portatore come impronta genetica del gusto, della creatività e della bellezza che sono il vero patrimonio inimitabile della civiltà italiana ammirata nel mondo (Non è un caso, al di là delle facili ironie, che segua con cura il comparto della moda e partecipi alle sfilate degli stilisti). Ma insieme all’imprinting della creatività e della bellezza c’è, inscindibile, il corrispettivo sociale. Ovvero che una comunità indirizzata al “bello” naturalmente costruiva dal basso (fin dal tempo delle antiche Misericordie) quel tessuto volontario di sensibilità sociale, quel carattere ospitale e compassionevole che era l’altra insostituibile faccia della medaglia del genio fiorentino e italiano. Un “welfare dal basso”, più efficiente e meno costoso di quello costruito e gestito (male) dallo Stato. E non un caso che lo statalismo burocratico sia l’altro vero bersaglio della polemica e della predicazione di Renzi.

Con queste radici e queste sensibilità è evidente che l’avventura nazionale del Rottamatore sia insieme scandalosa e dirompente. E non è certo escluso che gli arrivi addosso, come a tutti gli innovatori, qualche inchiesta, magari per reati generici e sfuggenti come l’abusato “abuso d’ufficio”. Così da fornire ai moralisti in servizio permanente effettivo (come il funereo Travaglio) l’occasione di stracciarsi le vesti. Intanto il ribelle sindaco di Firenze ha già smosso la morta gora della politica e dell’informazione, ben più di un sasso nello stagno. E se ancora deve dimostrare compiutamente che ha dentro ben di più di un prodotto di immagine, certo è che la politica e la sinistra non saranno comunque più quelle di prima. Oggi si annusa il paradosso che alle elezioni “vere” potrebbe già vincere, mentre alle “primarie” è più che possibile che finisca per perdere.

Le newsletter de Linkiesta

X

Un altro formidabile modo di approfondire l’attualità politica, economica, culturale italiana e internazionale.

Iscriviti alle newsletter