Con 40,3 milioni di ettolitri di vino, l’annata di quest’anno sarà la più povera dal 1950. Una quantità inferiore del 5,6% rispetto al 2011 e del 10% rispetto alla media dell’ultimo quinquennio. I motivi? «Il gran caldo e il tempo secco non hanno permesso all’uva di maturare bene, causando una minore quantità della raccolta», spiega Claudio Riponi, Direttore del Crive, preside del corso di laurea in Viticoltura ed enologia dell’Università di Bologna. Che, però, assicura: «La qualità dovrebbe essere buona, grazie al tempo caldo e secco che ha permesso di proteggere l’uva dalla diffusione delle malattie».
Allora, professore, è andata così male la vendemmia di quest’anno?
Sì, quest’anno il caldo non ha permesso una grande vendemmia. Negli ultimi tempi l’andamento climatico è cambiato: questo incide sull’agricoltura e anche sulla vendemmia. Le “epoche della vendemmia”, ossia i momenti in cui l’uva può esser raccolta, sono state accorciate e anticipate. Non si ha la stessa resa quantitativa. Infatti, ora, si stanno studiando varietà diverse di piante di vite che possano essere più adattabili ai climi diversi.
Quest’anno c’è stata un’inflessione del 5,6% rispetto all’anno scorso. Perché?
Quest’anno, in particolare, un periodo prolungato di assenza di piogge e la poca differenza tra temperatura notturna e diurna non hanno permesso una normale maturazione della pianta. Questo ha portato a volumi di vendemmia più bassi, senza però avere necessariamente un impatto per forza negativo sulla qualità del vino. Il caldo secco, in effetti, ha protetto le uve dalla diffusione di malattie. Quindi abbiamo avuto un’uva sana che può darci vini di buona qualità.
Come si misura la qualità di un’annata?
Per misurare la qualità di un annata bisogna tenere in considerazione una serie di parametri, come la composizione chimica del vino, la maturazione della pianta, quanto incidono l’umidità e la temperatura. Naturalmente, bisogna tenere conto dei diversi microclimi in cui crescono le piante, che influiscono in modo differente sulla crescita.
E la raccolta come avviene?
Tra i piccoli produttori, la raccolta è ovviamente svolta a mano. Tra i grandi produttori, in ogni caso, non è raro che la raccolta avvenga anche manualmente. Un discorso completamente diverso vale, naturalmente, per la trasformazione dell’uva in vino in cantina: nella vinificazione ormai è quasi tutto meccanizzato, sono pochi quelli che ancora usano il torchio a mano.
Che importanza riveste l’enologia per la nostra agricoltura?
L’enologia è una voce considerevole nel nostro settore agricolo. Il prodotto è esportato in tutto il mondo ed è parte della nostra tradizione. Noi esportiamo soprattutto verso Stati Uniti, Inghilterra, paese che non ha mai avuto una tradizione vinicola, l’Est-Europa, la Germania e, in generale, l’intera Europa. L’anno scorso abbiamo esportato vini per 31,42 miliardi di euro, a fronte di importazioni per 29,97 miliardi di euro.
Da quali Paesi, invece, importiamo di più?
Naturalmente dalla Francia, non solo spumanti, ma anche vini fermi. Ma ai nostri vicini d’oltralpe si sono aggiunti altri produttori: in particolare, ora stiamo importando molto anche da Argentina, Australia e Sud Africa.
Quali sono le regioni italiane che producono più vino?
Se la giocano Veneto con 8,3 milioni di ettolitri al 2010, la Puglia con 7,2 milioni e l’Emilia Romagna con 6,6 milioni. Segue la Sicilia con 5,6 milioni di ettolitri di vino prodotto.
E nel mondo? Quali sono i Paesi produttori più importanti?
Naturalmente Francia e Italia, che prima detenevano il duopolio. Ora non sono più le uniche del mercato: si sono aggiunti Stati Uniti, Cile, Sud-Africa, Nuova Zelanda, Australia, e adesso si sta affacciando anche la Cina.
Dettaglio fondamentale: quali elementi vengono aggiunti al vino prima dell’imbottigliamento?
In tutto l’arco del processo si aggiungono additivi o coadiuvanti. I coadiuvanti sono elementi che vengono utilizzati e poi tolti. Gli additivi più importanti sono, ad esempio, l’anidride solforosa, aggiunta per molteplici funzioni, come la protezione dall’ossidazione e quindi la migliore conservazione del vino.
Ma a fronte di additivi e coadiuvanti, come si può distinguere un vino qualsiasi da uno cosiddetto “biologico”?
Prima il vino aveva l’etichetta con denominazione “da uva biologica”. Ora il vino, a seguito della normativa europea di quest’anno, può essere denominato “biologico” se rispetta alcune regole e parametri sulla quantità degli elementi contenuti.
Che differenza c’è tra il “biologico” e il “biodinamico”?
Il biodinamico è una cosa completamente diversa. Le darò il mio giudizio. Io lo considero un po’ alla stregua di un tipo di esoterismo perché adotta pratiche di concimazione e di coltivazione che sfruttano l’influenza di stelle, sole, luna, eccetera. Non hanno nessun tipo di trattamento: per questo il vino biodinamico va ben oltre il vino biologico, ma, ripeto, non ho un’opinione favorevole a riguardo.
Però sulle etichette del vino non vengono inserite tutte le voci. Si può parlare d’informazione incompleta per i consumatori?
Sarebbe impossibile inserire tutti gli elementi perché sono troppi. A giugno è stato deciso, per decreto, che l’etichetta deve presentare un pittogramma con sostanze allergeniche, come i derivati da latte e uova, e naturalmente, l’anidride solforosa contenuta. In realtà, gli altri elementi sono quasi tutti coadiuvanti, cioè vengono tolti dal vino una volta prodotto. Per il consumatore, la mancanza degli elementi in etichetta è un po’ un falso problema perché, non essendo in generale un esperto, non saprebbe tradurre quel che trova scritto e quindi sarebbe totalmente inutile. L’unica cosa importante è scrivere se ci sono elementi derivanti da sostanze allergeniche.
Come si può distinguere un vino di qualità da un altro?
Come si capisce se un vino è buono o no? Non certo dal prezzo. Bisogna conoscere bene la materia, la cantina di provenienza o dare ascolto ai consigli del proprietario dell’enoteca da cui si acquista. Il prezzo non è assolutamente un termine di discrimine.
Quando vedremo sulle nostre tavole il vino della vendemmia di quest’anno?
Ci sono i vini novelli, che per legge sono inseriti nel mercato prima della fine della vendemmia, poi i vini giovani, cioè quelli che entreranno nel mercato nella primavera o nell’estate successiva. Per tutti gli altri non ci sono regole: dipende dalla tecnologia usata, dalla tipologia del vino e dell’uva. Alcuni, ad esempio, devono aspettare cinque se non dieci anni prima di essere imbottigliati.