«Ma lei è sicura di sapere bene l’inglese?» chiese l’esaminatore alla studentessa americana, cercando disperatamente tra le carte della sua application un qualche certificato di conoscenza linguistica. Purtroppo non è uno stralcio della sceneggiatura dell’ultima commedia di Woody Allen, ma una storia accaduta davvero, che la dice lunga sullo stato in cui versa l’università italiana. E soprattutto sulla sua capacità di attrarre studenti stranieri. Il ministro Profumo, che si è impegnato in prima persona per rendere appetibili i nostri atenei alle intelligenze del mondo, ha ancora molto lavoro da fare.
Katy (nome di fantasia, ndr), fidanzata di un mio amico originaria del Montana, è sbarcata da qualche settimana a Milano. Educatrice di formazione, ha deciso di iscriversi a una laurea specialistica in Relazioni internazionali, in lingua inglese, all’Università Statale. Il suo colloquio di selezione era fissato per il primo ottobre. Al 25 settembre ancora non sapeva nulla del piano di studi che sarebbe andata a frequentare – online non c’era alcuna indicazione – ma tant’è, la ragazza non si perde d’animo. Il fatidico primo ottobre si presenta puntuale davanti alla commissione chiamata a decidere del suo destino, nelle buie stanze di via Festa del Perdono. «Vedrai che non c’è problema», gli dicono dalla segreteria studenti internazionali, che in teoria – in teoria – dovrebbe provvedere al permesso di soggiorno per studenti, evitandole tutta la trafila all’ufficio immigrazione spesso immortalata dalle telecamere dei telegiornali. (Per inciso, Katy ha il visto ufficiale del consolato Usa, ma il permesso di soggiorno lo ha richiesto da sola, alle Poste). In effetti non c’è problema, purchè tu abbia il documento giusto. Eppure il colloquio sarebbe dovuto servire a valutare l’idoneità a frequentare un corso interamente in inglese.
Qui arriva il bello. L’esaminatore chiede, pretende un documento: l’Ielts, il Toefl, insomma un appiglio, una carta, qualsiasi cosa dica che effettivamente Katy dal Montana conosce bene l’inglese. Nota bene, avere un certificato internazionale non era tra i requisiti richiesti per frequentare il corso di laurea. Katy comincia a sudare freddo, e pensa tra sé: «no, non può succedere davvero». Invece sì, benvenuta in Italia. Sembra davvero finita, ma con la lucidità dei momenti di disperazione più nera Katy estrae dal plico dei documenti gli essay dei paper preparati per gli esami della sua laurea americana. Il professore li guarda accigliato per un tempo indefinito, i secondi sembrano giorni. Alza gli occhi, e sentenzia: «Per me va bene, sai l’inglese». Tirando un sospiro di sollievo, la madrelingua Katy può ufficialmente iniziare la sua nuova vita da studente a Milano.
Sembra finita, invece no. Passano due giorni, e iniziano le lezioni. E Katy, con sommo disappunto, scopre che in realtà i corsi, nonostante nella sua classe ci siano una quindicina di studenti da tutto il mondo, sono in italiano, tranne un paio in lingua inglese. Fortunatamente l’entusiasmo per la sua nuova avventura prevale sulla frustrazione. Nota a margine: il giorno della sua prima lezione di Politica italiana l’assessore lombardo Zambetti, accusato di voto di scambio, viene arrestato. Si parla di Formigoni, di Berlusconi, e di Nicole Minetti. Si parla anche di Tangentopoli. Dice di avere in testa una domanda, non ha capito bene la lezione, essendo per l’appunto in italiano: «Ma perchè voi italiani non vi indignate di fronte a tutto questo?».