Audito ieri dalla Commissione Bilancio della Camera, il ministro dell’Economia Vittorio Grilli ha difeso la bontà del disegno di legge di stabilità, con particolare riguardo agli interventi che esso propone in materia di Irpef. Secondo il ministro, l’effetto combinato del taglio di un punto percentuale delle aliquote Irpef relative ai primi due scaglioni di reddito avrebbe effetti positivi per il 99% dei contribuenti anche tenendo conto degli effetti peggiorativi derivanti dalla parallela rimodulazione delle deduzioni e detrazioni.
Scendendo nel dettaglio, il ministro Grilli ha specificato che «il vantaggio complessivo va per il 54% a favore di contribuenti con lavoro dipendente, per il 34% a pensionati, il 10% ai cittadini con reddito da lavoro autonomo, il restante 2% agli altri», con un «beneficio medio pro capite è di 160 euro» e punte massime 220-230 euro in corrispondenza dei contribuenti che si collocano nella fascia di reddito tra 25mila e 45mila euro.
Per contestare questo quadro idilliaco, non serve spingersi, come ha fatto a caldo il segretario del Pd, Pierluigi Bersani, sino a mettere in dubbio la veridicità di questi dati. Basta e avanza evidenziarne la natura volutamente parziale. Questa riduzione dell’Irpef, infatti, non è priva di un significativo costo opportunità e ben poco senso ha valutarne gli effetti senza tenere anch’esso in debito conto.
Il governo si era impegnato a utilizzare i timidi risparmi di spesa sin qui raggranellati in questa prima fase di spending review per scongiurare l’aumento dell’Iva di due punti percentuali che, dall’iniziale previsione dell’1 ottobre 2012, era stato slittato all’1 luglio 2013. La scelta ad effetto di intervenire sull’Irpef ha comportato che sul fronte dell’Iva l’aumento non è stato scongiurato, ma soltanto dimezzato da due a un punto percentuale.
In questo scambio, per altro, lo Stato ci ha pure guadagnato, perché le risorse che avrebbe dovuto trasferire ai cittadini per azzerare l’aumento dell’Iva già messo a bilancio sarebbero state maggiori di quelle che trasferirà loro se sarà confermato l’impianto attuale del ddl stabilità.
Ecco che, se si considera questo aspetto, non solo il governo non ha fatto di più di quanto si era impegnato a fare, ma ha semmai fatto un po’ di meno. Inoltre, sempre considerando questo aspetto, diviene evidente che la percentuale di contribuenti che beneficeranno di questa «sterzata sull’Irpef con parziale retromarcia sull’Iva» è di gran lunga inferiore a quel 99% rivendicato dal ministro Grilli, così come di gran lunga inferiore è l’entità dei benefici medi.
Nulla da dire sulla coerenza qualitativa di questa scelta al principio sovente ripetuto (e, a parole, da tutti condiviso) dello spostamento della tassazione dalle persone alle cose, ma molto, anzi moltissimo da dire sulla furbizia quantitativa di questa scelta in questo momento. Si restituisce complessivamente di meno ai cittadini di quanto ci si era impegnati a trasferire e lo si fa con modalità volte a enfatizzare invece il raggiungimento di un risultato ulteriore e maggiore rispetto a quello che ci si era prefissi. Le elezioni 2013 si avvicinano per tutti: tecnici e politici.