Caro Zeman, allontani i ribelli. Oppure si dimetta

Caro Zeman, allontani i ribelli. Oppure si dimetta

Mister Zeman, si dimetta. Per favore si faccia da parte. Questa è una richiesta meditata, non è una reazione di istinto alla brutta partita di sabato contro la Juventus. È un invito persino doloroso, per chi ha sempre ammirato il suo coraggio, in campo e fuori. Personalmente non smetterò mai di ringraziarla per essere tornato a Roma dopo 13 anni. Ma adesso, per cortesia, si dimetta. Dopo la gara di Torino ha ammesso, con grande signorilità, la netta superiorità degli avversari (e dopo le quattro sveglie ricevute sarebbe stato difficile altrimenti). Poi però si è lasciato andare. A bassa voce. Quasi mormorando, con quella parlata a cui ci ha abituato negli anni. «Le mie idee superate? – ha risposto a un cronista – Quando vedrò giocare con le mie idee allora lo potrò dire».

Passi il risultato (quattro gol a Torino non si prendono a cuor leggero). E passi l’umiliazione di vedere l’avversario smettere di giocare con un tempo di anticipo. È stata questa la nota più dolorosa della serata. Mister Zeman, l’ha detto senza troppi giri di parole: questa non è la sua Roma. I calciatori che allena non si adattano alla sua filosofia di gioco. Peggio, forse non si vogliono adattare. E allora la faccia finita qui, si dimetta. Se ne vada. Oppure allontani a calci dallo spogliatoio chi le rema contro. Io sarò con lei, per quel che può valere. Ma nessun compromesso. Per cortesia, da adesso in poi ci risparmi qualsiasi ambiguità. Si comporti in linea con il suo stile – di vita e di calcio – intransigente ed estremo.

E poi mister, lasci perdere quello che scrivono da due giorni sui giornali. Che i problemi della squadra non siano legati alla sua filosofia di gioco è evidente. Fin troppo facile dire oggi – e lo stanno facendo in molti – che il suo modo di allenare è antiquato. Il suo è un sistema troppo vecchio, attaccano. Curiosamente non era così obsoleto qualche settimana fa, quando al Meazza ha offerto una lezione di pallone all’Inter. Né era così démodé la scorsa stagione. Quando tra gli applausi di tutti i commentatori ha portato in serie A il Pescara (non proprio uno squadrone).

Eppure poniamo anche solo per un momento l’ipotesi – si fa per finta – che la sua filosofia di calcio sia stata superata dai tempi. Forse la società non conosceva il suo modo di allenare quando l’ha richiamata? No. Più semplicemente, la dirigenza della Roma ha fatto una scelta. Radicale e drastica, certo. Come può esserlo la decisione di puntare su un allenatore scomodo come lei. Ma in piena consapevolezza. Ecco perché non avrebbe senso scaricare il tecnico dopo solo sei partite dall’inizio del campionato (solo cinque giocate).

La verità è un’altra. Zeman oggi è un capro espiatorio. Paga i conti di una dirigenza che non ha saputo mettere in piedi una squadra all’altezza (è colpa dell’allenatore se contro la Juve è stato costretto a schierare due ex giocatori come Taddei e Perrotta?). Ma paga anche le incapacità dei calciatori. Professionisti di dubbio livello, a cui sono mancati carattere e motivazioni al momento di scendere in campo contro la prima in classifica. Oppure peggio. Come sostengono i bene informati, colpevoli di una prestazione opaca perché non pienamente convinti dell’allenatore. Bene. Se è davvero così, mister Zeman, li metta in panchina. Anzi in tribuna. Li faccia fuori. Si prenda tutte le responsabilità e tolga ogni alibi a questa seconda avventura in giallorosso. La sua ultima esperienza, forse, a grandi livelli.


Oggi ovviamente tutti sparano contro di lei, mister. Non tanto per la sconfitta contro la Juventus (in una disfatta del genere qualche responsabilità non può non averla anche l’allenatore). Ma perché non aspettavano altro. Era da almeno tre mesi che qualcuno non vedeva l’ora di mettere in discussione il suo calcio e la sua filosofia. Zeman? Un attaccabrighe. Ora tutti a scrivere che ha sbagliato l’approccio alla gara di Torino, perché da due settimane cerca la polemica con la Juve (antica nemica dai tempi del doping e di calciopoli). E nessuno ricorda che la polemica, lei, non l’ha mai cercata. Semmai si è limitato a rispondere a precisa domanda dei giornalisti. Poteva rimanere in silenzio? Forse. Ma la coerenza è anche questo.


Ma certo, criticare Zeman oggi è comodo. Ascoltando le radio romane si scopre così che già da questa estate la società puntava su un altro allenatore. Il boemo? Un ripiego. Tutti si stupiscono. Chi si aspettava una squadra così altalenante? Come se le squadre di Zeman fossero sempre state noiose e costanti. Tutte vittorie, tutti uno a zero. Eh no. La Roma di Zeman è una squadra che prende anche quattro reti a partita (ma spesso vince lo stesso). E nessuno oggi può dire che non lo sapeva. È una squadra che gioca all’attacco, in velocità, con ritmo, senza paura. Una squadra che fa innamorare. Ecco perché fino all’altro giorno a Roma nessuno aveva da ridire.


E invece si sono svegliati tutti adesso. Persino l’ex presidente Rosella Sensi è tornata a parlare. Ha aspettato la sconfitta con la Juve per dire che in fondo, lei, avrebbe tenuto come allenatore Vincenzo Montella. Uno bravo. Ecco, anche per questo, io sto con Zeman. Sbatta i pugni sul tavolo, mister. Si prenda, come sempre, le sue responsabilità. Si dimetta, se non riesce a farsi seguire. Oppure cacci a pedate chi non le permette di portare avanti le sue idee. 

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