Castiglioni, storia di uno speculatore d’altri tempi

Castiglioni, storia di uno speculatore d’altri tempi

Se George Soros ha speculato contro la sterlina e la lira, lui l’aveva fatto contro il franco francese, facendogli perdere un quarto del suo valore. Se George Soros fa il filantropo con la sua fondazione, lui aveva finanziato il festival di Salisburgo e restaurato per Max Reinhardt il Theater in der Josefstadt, a Vienna. Ma George Soros non ha mai fatto saltare una banca, Camillo Castiglioni invece sì, nel 1924, sempre a Vienna, dove fallisce la Depositen Bank.

Castiglioni è uno dei personaggi più oscuri e affascinanti della storia della finanza europea. Non voleva mai apparire e c’è riuscito così bene che più nessuno si ricorda di lui. Eppure è stato uno degli uomini più ricchi del continente fra le due guerre (qualcuno dice il più ricco), è stato un finanziere di prima grandezza, un inarrivabile collezionista d’arte. Tra le varie cose che ha fatto a un certo punto, nel 1922, si è ritrovato a essere proprietario della Bmw, nella sua vita è riuscito a finanziare prima Francesco Giuseppe, poi Benito Mussolini e infine pure Tito.

Nasce a Trieste – quindi cittadino austroungarico – nel 1879, figlio del rabbino Vittorio che poi diventerà rabbino maggiore a Roma. Sarebbe troppo lungo raccontare quel che Camillo ha fatto nei 78 anni della sua vita (muore a Roma nel 1957). Concentriamoci sul fallimento della banca viennese. Castiglioni diventa il più importante fornitore di aerei all’Austria-Ungheria e alla Germania durante la Prima guerra mondiale. La sconfitta degli imperi centrali dovrebbe metterlo in ginocchio, invece no. Diventa sempre più ricco, tanto che va in giro nella carrozza ferroviaria appartenuta all’ormai ex imperatore Carlo d’Asburgo e mette insieme una clamorosa collezione d’arte comprando le opere svendute dall’aristocrazia viennese ormai sul lastrico. Vive a Vienna, ma sceglie la cittadinanza italiana, cosa per lui possibile in quanto nato a Trieste, e si avvicina al fascismo.

All’inizio del 1924, assieme al banchiere tedesco Fritz Mannheimer, pure lui collezionista d’arte, comincia la spettacolare speculazione contro il franco francese che in un solo mese perde un quarto del suo valore. A questo punto la Banca di Francia decide di averne abbastanza, si accorda con Bank Lazard che, spalleggiata da J.P. Morgan, acquista franchi per un controvalore di 100 milioni di dollari. La moneta francese risale e Castiglioni perde i milioni che aveva guadagnato un mese prima.

Nel frattempo il finanziere triestino viene coinvolto in uno scandalo, accusato di aver distratto fondi da una società cecoslovacca che produceva alcolici. Tutto questo si riverbera sulla Depositen Bank, l’istituto di credito viennese di cui Castiglioni era presidente.
La vicenda del fallimento è romanzesca, se ne occupa persino il New York Times. In un articolo pubblicato il 29 settembre 1929 dal titolo «L’Austria è scossa da un grande fallimento bancario», spiega che Castiglioni è scappato in Italia e che «tutti i precedenti scandali a Vienna erano solo schermaglie preliminari in confronto a questo grande e definitivo fallimento». A un certo punto l’indagine promossa dal governo austriaco si arena perché spariscono all’improvviso alcuni importanti documenti che i giudici dovevano esaminare. Investigando sulla questione viene scoperta nella Depositen Bank una porta segreta che conduce nei locali della società Orion Match, pure quella legata a Castiglioni.

Ci sarebbe anche da sorridere se non ci fossero di mezzo due suicidi, uno subito dopo la fine della speculazione sul franco e uno quando la banca fallisce. Nel secondo caso si toglie la vita un direttore, Oswald Pick, per la vergogna di essersi auto aumentato lo stipendio e di aver gonfiato i rimborsi spesa.
Il crac della Depositen Bank coinvolge anche la Banca commerciale italiana, tanto che Giuseppe Toeplitz, il suo amministratore, si trova costretto a smentire (La Stampa del 1° ottobre 1929 pubblica una sua lettera) che la Comit sia nei guai. L’istituto di credito milanese partecipava a una cordata di cinque banche che avevano dato a Castiglioni fondi per tirarsi fuori dai pasticci, solo che con ogni probabilità quel denaro era stato utilizzato per ampliarli, i problemi. Sembra però che il finanziere triestino a causa del fallimento Depositen si sia giocato l’accesso al consiglio d’amministrazione della Comit, che doveva essere prossimo, mentre al suo posto viene nominato Olindo Malagodi.

Per recuperare la liquidità perduta Camillo Castiglioni mette in vendita la sua immensa collezione d’arte. I cataloghi dell’asta, tenuta nel 1926 ad Amsterdam, testimoniano di opere del Donatello, di vedutisti veneziani, di soffitti toscani a cassettoni del Cinquecento, e quant’altro. Numerosi musei avrebbero approfittato di quell’asta per accaparrarsi qualche capolavoro.

Non è la prima volta che Castiglioni cade e non è la prima volta che si rialza, è già accaduto e accadrà ancora. Dopo le leggi razziali del 1938 fugge in Svizzera, da dove sarà espulso, nel 1943, per contrabbando di valuta. Si rifugia a San Marino e lì vive vestito da frate, ma indossando calze di seta sui sandali. Nel dopoguerra mette a frutto i contatti che aveva stabilito negli Stati Uniti quando c’era stato, nel novembre 1927 (intervistato e celebrato dal New York Times) per far avere a Tito, che nel frattempo era uscito dal Cominform, un finanziamento di 40 milioni di dollari dalla Export-Import Bank di Washington. Siccome Belgrado non gli riconosce la percentuale d’uso, nel 1952 fa causa alla Jugoslavia e ne fa sequestrare il consolato a Milano. Muore nel dicembre 1957; nella pagina dei necrologi del Messaggero la sua dipartita passa quasi inosservata, esattamente come lui avrebbe voluto.
 

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