Mezzo miliardo di euro per sostenere e sviluppare le imprese locali. Mentre le Fiamme Gialle perquisiscono la Regione Piemonte, un altro assessore della giunta Formigoni finisce agli arresti, alla Regione Lazio è indagato un altro esponente della giunta Polverini, e in Sicilia Raffaele Lombardo nomina l’ennesimo dirigente, il Trentino Alto-Adige crea il suo fondo strategico.
L’annuncio arriva direttamente dal governatore Lorenzo Dellai nel corso della presentazione della Finanziaria 2013, che prevede risparmi di spesa di circa 40 milioni in cinque anni. Nonostante la spending review e gli effetti delle manovre 2010 e 2011, che secondo i calcoli del Centro studi Sintesi pesano per quasi mille euro sulle spalle di ogni trentino e altoatesino, le due provincie autonome hanno deciso di investire. Secondo i bene informati, Dellai avrebbe letteralmente colto al balzo l’apertura di Antonello Briosi, presidente di Laborfonds, fondo previdenziale parte del sistema Pensplan, progetto regionale che promuove la previdenza complementare – che vanta un attivo di 1,4 miliardi di euro –a reinvestire parte della liquidità sul territorio, esplicitata nel corso di una colazione di lavoro due giorni fa. Una mossa per lasciare un’eredità consistente in vista delle dimissioni, alcuni dicono che lascerà la poltrona già il mese prossimo, per correre alle politiche del 2013.
Il navigato Dellai, che non ha dato seguito alle domande de Linkiesta, aveva già iniziato a preparare il terreno la scorsa estate, inviando al ministero dell’Economia una richiesta di modifica del regolamento ministeriale sui criteri d’investimento per i fondi pensione «per poter utilizzare le risorse del fondo Laborfonds (1,3 miliardi di euro) per investimenti che avrebbero ricadute positive sul territorio. In particolare, la sottoscrizione di titoli di emittenti locali da parte dei fondi pensione consentirebbe di valorizzare al meglio il rating della Provincia autonoma di Trento, superiore come noto a quello dello Stato».
Detto, fatto. La ratio è semplice: dal momento che gli istituti di credito non prestano denaro, le imprese bisognose di liquidità per finanziare gli investimenti emettono obbligazioni garantite dalle due provincie, sottoscritte da investitori istituzionali, ovviamente contro un rendimento periodico di lungo periodo. Oltre a Laborfonds, gli altri tre soggetti potenzialmente interessati sono l’Istituto atesino di sviluppo (Isa), holding controllata dalla curia azionista di minoranza della Mittel di Bazoli, di Ubi, del Creval, di Cattolica Assicuraizoni e del quotidiano Avvenire; la Finanziaria Trentina, public company considerata il salotto buono di Trento, e la Fondazione cassa di risparmio di Trento e Rovereto.
Soggetti che non solo non sono stati ancora contattati da Dellai, ma che non hanno nemmeno la potenza di fuoco necessaria a sostenere un impegno finanziario così consistente senza il traino di Laborfonds (Isa ha un patrimonio di 134 milioni e ha chiuso il 2011 con un utile di 4, Finanziaria Trentina ha un patrimonio di 56 milioni e un utile di 1,5, mentre la Fondazione ha un avanzo di 14 milioni ma ha dovuto svalutare asset per 2 milioni di euro).
«È da anni che ci tirano in mezzo, soprattutto quando lo Stato ha iniziato a tirare la cinghia sui trasferimenti», spiega a Linkiesta Giorgio Valzolgher, direttore generale di Laborfonds, che continua: «Undici anni fa il primo documento approvato dal consiglio d’amministrazione sulla politica d’investimento già prevedeva la possibilità di destinare piccole quote su investimenti a ricaduta locale». Sul coinvolgimento di Laborfonds, pur non confermando le cifre fornite da Dellai, Valzolgher osserva: «In linea generale più diversifico e più riduco il livello di rischio. La precondizione è la garanzia del pubblico, se questa c’è e il rendimento è equiparabile a quello delle nostre linee d’investimento (3-4%, ndr), otteniamo due risultati positivi insieme». Ovvero sviluppare il territorio e incrementare il rendimento del patrimonio degli associati. Anche perché se non ci sono occupati non ci sono nemmeno sottoscrittori dei fondi Laborfonds.
Massimo Pedrizzi, direttore della Finanziaria Trentina, mette le mani avanti: «Per ora non c’è stata alcuna informativa ufficiale, c’è da dire che il bando per Trentino Sviluppo, braccio operativo della politica economica locale, è andato deserto, e si parlava di decine di milioni di euro, non certo centinaia». Guardando ai previsionali 2012, i trasferimenti statali a Trento e Bolzano ammontano a circa 7,3 miliardi, a fronte di entrate pari a cinque miliardi. Detta in altri termini, 500 milioni sono numeri che solo la Cassa depositi e prestiti è in grado di garantire.
Michele Andreaus, ordinario di Economia aziendale all’Università di Trento, è piuttosto scettico sul progetto: «Primo, i fondi pensione devono garantire per statuto un rendimento crescente sul lungo termine unito a un basso profilo di rischio, quindi un intervento con una dinamica di private equity è molto complicato. Secondo, i trasferimenti si sono ridotti quindi la politica non può più permettersi di destinare fondi a perdere. Terzo, qualora le obbligazioni garantite emesse dalle Pmi aprissero al canale retail, distrarrebbero risorse dalla raccolta bancaria, composta prevalentemente da casse rurali». Per Andreaus, in questo momento non ci sono grandi operazioni all’orizzonte in Trentino. La filiera del legno per la riqualificazione edilizia (ma del patrimonio esistente, ndr), la metalmeccanica ad alto valore aggiunto e la ricerca nell’abbigliamento sportivo sono alcuni dei comparti dove un intervento pubblico a sostegno degli investimenti può dare dei risultati a conto economico in un’ottica di lungo periodo. A patto di non cercare di replicare, come è avvenuto con le startup digitali, il modello Silicon Valley. Insomma, l’eredità politico-economica di Dellai non si misurerà sulla quantità, ma sulla qualità delle imprese da accompagnare a diventare grandi.