Mi consentoGalileo non avrebbe balbettato al telefono con Bertolaso

Galileo non avrebbe balbettato al telefono con Bertolaso

Povero Galileo. Finito tra le inutili mascelle del ministro Clini che lo ha scaraventato su un paragone che magari in un altro Paese lo avrebbe condotto dritto dritto alle dimissioni. Perché, come finalmente più di un giornale ha scritto, il genio toscano – costretto dal Sant’Uffizio ad abiurare dai propri principi astronomici – non c’entra proprio nulla con i sette componenti della Commissione grandi rischi condannati a sei anni di carcere per omicidio colposo ai danni delle vittime del terremoto dell’Aquila.

Piano piano, un’altra verità sta venendo a galla. Lentamente e, come di solito accade, emerge a spizzichi e bocconi. E finché arrivi in prima serata, nei tg o sui principali quotidiani occorre che passi del tempo.

Ovviamente qui non si vuole dar vita ad alcun processo ulteriore. Il tarlo di non aver messo, nel miglior modo possibile, le proprie informazioni scientifiche al servizio di una collettività poi colpita da una tale tragedia è compagno di viaggio che non augureremmo a nessuno. Forse, però, quest’infausta occasione può essere lo spunto per un breve ragionamento, amaro, su quanto le storture della politica si siano insinuate nei gangli della società italiana.

Un doloroso esempio è la conversazione telefonica tra l’ex capo della Protezione civile Guido Bertolaso e il sismologo Enzo Boschi alla vigilia di una riunione della commissione Grandi rischi, dopo il terremoto, con l’obiettivo di tranquillizzare la popolazione. Ora, per carità, non sarà una telefonata a svelare nuove verità. Ma è anche quella telefonata a squadernare un modus vivendi, una sudditanza nei confronti della politica. Che poi è al centro della sentenza. «Agli imputati – è scritto nella sentenza – è stata contestata l’errata analisi dei rischi che ha comportato un’informazione non corretta». 

Non sarà penalmente rivelante, ribatte qualcuno. Sarà, ma quella telefonata ci spiega qualcosa in più sui motivi che hanno indotto a un’informazione non corretta. Un Paese diverso, un tempo si sarebbe detto normale, o comunque nel Paese in cui ci piacerebbe vivere (magari non esiste, eh?), ci interrogheremmo sulle modalità con cui anche fior di studiosi, persone che hanno dedicato la loro vita alla scienza, debbano “obbligatoriamente” venire a patti con la politica per occupare poltrone di prestigio.

La scoperta dell’acqua calda, si dirà. Certo. Ma una cosa è scoprire l’acqua calda della lottizzazione in Rai, dove ormai ci siamo abituati a convertire le notizie a seconda del canale informativo che ce le propina. Un’altra è rendersi conto che quella forma di sudditanza appartiene ormai anche ad altre sfere, settori della società che invece richiederebbero una verticalità, una distanza da qualsiasi ombra di pressione.

Quella sentenza, quella telefonata, dimostrano che non è così. Che ormai si fa fatica a vivere uno spazio libero da contaminazioni politiche. Uno spazio, una vita da fuori quota. Studiare musica, scienza, letteratura, senza essere in quota a nessuno. Del resto, basta osservare da quali intestine lotte di potere sono infestate le università italiane. La spintarella, la raccomandazione, non si limitano a un posto all’asilo nido, all’inserimento in una determinata sezione in una scuola, al posto letto in un ospedale, al lavoro per un disoccupato. Magari, questi sono i pilastri. Più in alto, i meccanismi non cambiano, sono solo un po’ più raffinati.

Tornando al purtroppo ministro Clini, quindi, ma voi le immaginate un Galileo in quota Udc, o in quota Pd? O, peggio ancora, ve lo immaginate Galileo balbettare al telefono che lui a quella conferenza stampa vi rinuncia. No, ministro Clini, Galileo a quella conferenza stampa ci andò. E quando rinnegò, lo fece di fronte a una prospettiva ben più dolorosa della perdita di una poltrona di un qualche prestigioso istituto scientifico. Ed è per questo che oggi parliamo ancora di lui mentre di lei, per fortuna, tra qualche tempo ci saremo dimenticati.  

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