I dibattiti tra vicepresidenti, solitamente, non sono eventi eccezionali: muovono pochi voti. Ma il confronto tra il numero due dell’amministrazione Obama, Joe Biden, e il suo sfidante repubblicano, Paul Ryan, è stato a suo modo straordinario. Per la prima volta nella storia dei dibattiti presidenziali a fronteggiarsi sono stati due cattolici. «Se si pensa che fino agli anni ‘60 i cattolici negli Stati Uniti erano visti come “diversi” per il ruolo predominante dei protestanti, la loro ascesa negli ultimi decenni è straordinaria. Oggi abbiamo ben sei giudici della Corte Suprema su nove che sono cattolici», spiega William Dinges, ordinario di Storia alla Catholic University of America.
Biden e Ryan, su opposte sponde, corteggiano con vigore gli elettori cattolici. Concentrati in Stati chiave per vincere le elezioni come Ohio e Wisconsin, i cattolici americani non votano in massa: sono una galassia complessa, all’interno della quale la caccia al voto è ancora aperta. «Parliamo di circa un quarto della popolazione», dice Dinges, «ma questo non è assolutamente un gruppo omogeneo. C’è un ampio ventaglio di opinioni. Non esiste quindi un blocco elettorale cattolico che sostiene un certo partito».
Vari studi mostrano come la frequenza alla messa domenicale è direttamente proporzionale alla scelta del partito repubblicano, ma se si considerano tutti coloro che si dichiarano cattolici, l’ago della bilancia pende dalla parte del partito democratico. Si pensi per esempio gli ispanici, tendenzialmente pro-Obama. Insomma, si tratta di uno “split vote”, un elettorato diviso tra le due forze in campo e molto spesso fluido, che può cambiare partito a seconda dei candidati in lizza.
Gli stessi Biden e Ryan sono una prova di questa eterogeneità. «Biden è un irlandese working-class, un cattolico liberal», spiega Francine Cardman, professoressa associata di Teologia storica al Boston College. «Il repubblicano Ryan proviene da una famiglia più benestante ed è un cattolico per così dire ratzingeriano». Nel dibattito di giovedì sera alla domanda dell’intervistatrice Martha Raddatz su come la religione cattolica abbia influenzato il loro punto di vista sul tema dell’aborto si sono mostrati su posizioni molto diverse. Ryan si è dichiarato graniticamente pro-life, Biden si è detto pro-choice. «Quando mia moglie ed io siamo andati all’ospedale per una ecografia», ha raccontato Ryan, «abbiamo visto un piccolo bambino grande come un fagiolo. Ancora oggi chiamiamo “fagiolo” la nostra prima figlia Liza. Io credo davvero che la vita cominci dal concepimento».
Ryan ha precisato di rispettare chi ha idee differenti, ma ha ribadito che la posizione di una eventuale amministrazione Romney sarebbe quella di opporsi all’aborto, fatti salvi i casi di stupro, incesto e situazioni in cui la vita della madre è in pericolo (la posizione di Ryan in passato era ancor più intransigente, faceva distiguo anche queste circostanze). Ryan ha pure attaccato la riforma sanitaria di Obama perché, ha detto in sostanza, prevede che i lavoratori dipendenti di qualsiasi ente (compresi ospedali e scuole cattoliche) abbiano un piano assicurativo che includa servizi tra cui anche il rimborso di contraccettivi, compresi quelli «di emergenza», passibili di effetti abortivi. Cosa che Biden ha negato con forza.
Biden dopo aver ricordato che la sua fede lo ha sempre spronato ad aiutare i meno fortunati, sull’aborto ha detto: «Accetto la posizione della Chiesa. L’ho accettata nella mia vita personale, ma non la voglio imporre ad altri devoti cristiani, musulmani, ebrei. Non credo che abbiamo il diritto di dire alle donne che non possono gestire il loro corpo». Queste diverse sensibilità tra Ryan e Biden riflettono la complessità della popolazione cattolica americana. Secondo Dinges, il professore di Storia alla Catholic University of America, per molto tempo negli Stati Uniti la fede dei cattolici di origine europea, gli italiani, gli irlandesi, era tutt’uno con l’identità etnica (così come accade oggi per gran parte degli ispanici). L’America era un Paese difficile per i cattolici alla luce del potere egemone dei protestanti, e quindi facevano quadrato. Oggi la società americana è molto più tollerante, e al contempo è intervenuto un forte processo di assimilazione. Questo ha gradualmente slegato l’identità cattolica da quella etnica dando luogo a tutta una serie di posizioni su temi etici, dall’aborto ai matrimoni gay.
In queste elezioni la scelta appare difficile soprattutto per i cattolici più conservatori: come molti protestanti nutrono qualche riserva più o meno dichiarata sul fatto che Romney è mormone. «Alcuni cattolici conservatori potrebbero non votare Romney per questa ragione» spiega a Linkiesta, Melissa Miller, professoressa di Scienze politiche alla Bowling Green State University dell’Ohio, uno Stato conteso in cui il 21% della popolazione è di fede cattolica. «Ma sarebbe difficile stabilire se non gli danno la preferenza perché è mormone o semplicemente perché non lo ritengono abbastanza carismatico».
«Il tema della religione di Romney sulla carta era spinoso. Tradizionalmente gli studi in proposito hanno evidenziato che le probabilità di un mormone di diventare presidente erano minori di quelle di una donna o di un afroamericano. Ma non fino a questo momento della campagna elettorale il “fattore M” non ha causato clamori. Credo che come l’appartenenza etnica non ha avuto una rilevanza spiccata nella scorsa campagna elettorale, così non sarà determinante quella religiosa in questa tornata».