C’era una volta il mercato delle valute. Ora, invece, è stato distrutto dal principio del Risk on-risk off (Roro) e dalle banche centrali, che a una a una hanno ridotto i vantaggi di entrare nel Forex. Meno liquidità, più rischi, più incertezza: ecco quello che sta succedendo. L’allarme arriva dall’universo finanziario. Colpa della peggiore crisi dai tempi della Grande depressione, che sta cambiando profondamente i mercati.
«Quando c’erano le condizioni ordinarie, il carry trade era diverso». A dirlo, oltre agli analisti di Hsbc, è proprio il capo economista della banca anglo-asiatica, Stephen King. Era una delle pratiche abituali del mercato valutario, cioè l’approvvigionamento di monete in Paesi con un basso tasso d’interesse per poi convertirle in Paesi con tassi elevati e trarre vantaggio dal cambio. Ora questo non è più possibile. Per via della nuova normalità, con l’introduzione della Zero interest rate policy (Zirp), cioè i tassi d’interesse pari o vicino allo 0% da parte delle maggiori banche centrali mondiali, i margini si sono abbassati. In compenso, si è innalzato il rischio di cambio, il vero elemento capace di ridurre il vantaggio di questo genere di operazioni. Le principali banche centrali mondiali, in comune accordo, hanno applicato una serie di misure espansive, chi in modo più spinto chi in modo minori, per pompare liquidità dentro i sistemi finanziari. E questo ha ridotto la pratica del carry trade. «Troppo difficile trovare dei trade interessanti e con un rischio di cambio vantaggioso», sottolineava a inizio anno la banca elvetica Ubs. Inoltre, non bisogna dimenticare che, ora più che in passato, il ruolo delle banche centrali ha assunto una caratteristica che rende più complicato il carry trade. «Ci sono stati alcuni tagli dei tassi che sono stati del tutto improvvisi e non prevedibili», ha aggiunto Ubs. E questo ha mutato le carte in tavola a molti operatori, che ora ragionano solo più nell’ottica Roro.
Oltre a Hsbc, anche un’altra banca ha tracciato la nuova mappa del mondo del Forex. Già un anno fa, un’analisi del Credit Suisse aveva evidenziato come si era introdotta una variabile che prima non era stata presa in considerazione. Si tratta dell’euro break-up, il collasso dell’euro come moneta. Se è vero che adesso il rischio è mitigato dalle ultime decisioni della Banca centrale europea, come sottolineato sia da Hsbc sia da Moody’s, è altrettanto vero l’incremento è stato notevole. L’esempio di ciò è dato da tre avvenimenti che hanno segnato la vita dell’euro negli ultimo anno. Il primo riguarda CLS bank, la maggiore clearing house globale del mercato valutario, che iniziò a testare una valuta fittizia, basata sulla dracma greca, nei vari cross contro il dollaro e contro l’euro. Lo spettro di un collasso era un elemento nuovo, fin ad allora mai sperimentato. «Abbiamo bisogno di verificare il maggiore numero possibile di scenari e fra questi c’è anche quello di un collasso dell’euro», disse CLS. Più o meno il tenore del secondo evento simbolo dell’aumento del rischio di convertibilità. Poche settimane dopo CLS, anche il più importante interdealer broker mondiale, Icap, ha fatto lo stesso. Infine c’è stata Visa Europe. Quando in giugno Steve Perry, capo della divisione commerciale di Visa Europe, ha reso noto che la compagnia stava testando diversi scenari, dalla secessione della sola Grecia all’euro break-up, in tanti hanno compreso che il pericolo era reale. «Nella nostra prospettiva, è chiaro che dobbiamo essere pronti a tutto», disse Perry.
Ancora oggi, il presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi, ha ricordato l’irreversibilità della moneta unica comunitaria. Eppure, da circa un anno, il rischio di convertibilità è incrementato in modo significativo. Lo stesso Draghi, prima di lanciare il nuovo programma di protezione Outright monetary transaction (Omt), che prevede l’ingresso sui mercati obbligazionari secondari per il sostegno dei Paesi in difficoltà, aveva lanciato l’allarme. Più aumenta il rischio di convertibilità, più gli investitori chiedono rendimenti elevati durante le aste di titoli di Stato, più si riduce il margine operativo dei Paesi in difficoltà. Ed è anche per questo che i bond della Germania, ma non solo, sono stati collocati a rendimenti negativi negli ultimi mesi. «È il concetto del Risk on-risk off, che si applica a un’area, l’eurozona, considerata instabile», spiegava nel mese di maggio la banca francese Société Générale. Se a ciò si aggiunge il lancio delle due operazioni di rifinanziamento a lungo termine (Long-term refinancing operation o Ltro) da parte dell’Eurotower, la prospettiva per un operatore valutaria muta.
Diverso il discorso per il franco svizzero. Un anno fa la Banca nazionale svizzera (Bns) ha fissato la soglia minima di cambio contro l’euro a 1,20. Ed è iniziata una sorta di balletto, come lo ha definito la divisione FX di Morgan Stanley. «La soglia ha visto la Bns in azione in modo massiccio per tenere fisso il cambio, non senza prendersi rischi considerevoli in caso di collasso dell’euro», spiegavano gli analisti. Anche questo ha contribuito a cambiare le carte in tavola nei confronti degli operatori finanziari.
C’è poi la questione del dollaro statunitense. Con le varie tornate di Quantitative easing (Qe) lanciate dalla Federal Reserve la liquidità non è mancata. Ma, come evidenziato da Hsbc, gli effetti sono stati discordanti. Chi ha perso più di tutti in questa gara, per ora, è l’Europa. L’apprezzamento dell’euro nei confronti del dollaro ha ridotto la possibilità di esportazione dei Paesi dell’eurozona. La conseguenza è stata un peggioramento delle condizioni del settore manifatturiero. Eppure, per Hsbc il dollaro rimane una valuta Risk on. Colpa dell’incertezza sulle decisioni della Fed, che sta cercando di combattere la crisi a forza di Qe.
Nel nuovo mondo delle valute c’è meno divertimento? Forse no. Come ha rimarcato anche Alphaville, il blog finanziario del Financial Times, è più difficile avere delle buone posizioni sul Forex ora piuttosto che ieri. La politica monetaria della Bce, proprio come quella della Federal Reserve, è diventata sempre meno convenzionale nel corso degli ultimi dodici mesi. Anche oggi nell’area euro è stato mantenuto il più basso livello mai sperimentato per il tasso di rifinanziamento. L’inflazione non è, per ora, un problema. Anzi. È perfino possibile che entro il primo trimestre del prossimo anno avvenga un ulteriore taglio dei tassi nella zona euro. In quel caso, avvertono Hsbc e Ubs, il Risk on-risk off si consoliderebbe. L’evoluzione dei mercati finanziari continua.