BRUXELLES- «Pratiche fuorvianti di mercato», del tutto «inaccettabili». Non usa mezzi termini il commissario Ue Viviane Reding, competente per la Giustizia e diritti fondamentali dei cittadini, per attaccare frontalmente, proprio nel bel mezzo del lancio dell’iPhone5, Apple e soprattutto la famosa (o famigerata) “Apple Care”: l’”estensione” della garanzia oltre un anno. Un attacco contenuto in una lettera inviata dalla Reding a tutti e 27 gli stati membri dell’Ue che in sostanza lancia un messaggio molto chiaro: nonostante i 900.000 euro di multa inflitti dall’Italia proprio per “Apple Care”, la casa di Cupertino continua a ignorare, di fatto, che, secondo la direttiva Ue 1999/44, articolo 5, «il venditore è responsabile (…) quando il difetto di conformità si manifesta entro il termine di due anni dalla consegna del bene». Due anni, appunto, non uno.
La società guidata da Tim Cook si è difesa affermando che sulla sua homepage vi è ampia informazione sulle norme Ue sui consumatori. C’è da chiedersi quanti fan dei prodotti della Mela vadano a leggersi le informazioni sul diritto comunitario nell’homepage di Apple prima di passare all’acquisto. Del resto, per la Commissione quello che non va è la prassi attuata nei fatti nei negozi: «per rendere più attraente le garanzie commerciali – denuncia Reding nella missiva – i rivenditori Apple omettono di informare i consumatori in modo chiaro, veritiero e completo, sulle garanzie legali cui hanno diritto in base alla normativa Ue». La quale, tuona ancora il commissario europeo «prevede che i rivenditori non forniscano informazioni fuorvianti ai propri clienti sui propri diritti di fronte al venditore».
E invece Apple, scrive Reding, «ha omesso di dichiarare chiaramente il diritto automatico e gratuito a una garanzia minima di 2 anni». Tradotto: sul sito può esser scritto quel che si vuole, sta di fatto che gli Apple Store e gli altri rivenditori della Mela morsicata continuano a far pensare ai propri clienti che dopo 12 mesi, senza “Apple Care” il proprio prodotto sarà praticamente scoperto da qualsiasi forma di garanzia.
Non è un caso che a Bruxelles siano piovute proteste nei confronti di Apple da parte di 11 paesi (Italia, Belgio, Germania, Danimarca, Grecia, Lussemburgo, Olanda, Polonia, Portogallo, Slovania e Spagna) nonché da numerosi membri del Parlamento Europeo. Secondo Bruxelles, insomma, si riconosce una “strategia” a livello Ue di disinformazione perseguita da Apple, visto che, scrive ancora Viviane Reding, «i rivenditori Apple stanno chiaramente offrendo le stesse garanzie a pagamento e utilizzando le stesse tecniche fuorvianti di marketing in altri stati membri. Queste sono pratiche inaccettabili di marketing».
Bruxelles ha già allertato la Rete di cooperazione per la protezione dei consumatori (in sigla inglese Cpcn), una sorta di coordinamento a livello Ue delle authority nazionali soprattutto sul fronte delle frodi transfrontaliere ai danni dei consumatori. E adesso, rivolta soprattutto agli altri stati membri che ancora non hanno segnalato problemi, la Commissione esorta «le autorità (nazionali, ndr) a prestare particolare attenzione alla questione nell’applicare la normativa sui consumatori».
Il problema, infatti, è che Bruxelles in questo caso non può intervenire direttamente, visto che l’applicazione del diritto Ue sui consumatori è di competenza nazionale. Qualcosa, però, Bruxelles può farlo, almeno indirettamente: aprire una procedura di infrazione se dovesse ritenere che uno Stato membro non applica a dovere le norme Ue nel settore. In altre parole, se qualche stato membro si dimostra troppo compiacente o almeno distratto nei confronti delle dubbie pratiche commerciali di Apple, potrà finire esso stesso nel mirino di Bruxelles. Ritrovandosi, magari, di fronte ai giudici della Corte di Giustizia Ue e a pagare una salata multa.
Quello di Reding, insomma, è al tempo stesso un’esortazione e un monito da non sottovalutare: o rimettete in riga Apple, come ha cercato di fare l’Italia, oppure ce la prenderemo con voi.