L’assegnazione del Nobel per la Pace all’Ue era ancora un’ipotesi, e già stamattina la polemica dilagava sul web. I più sferzanti, ancora una volta, restano gli utenti di Twitter. C’è chi assegna al Norwegian Nobel Committee il premio Perrier, e chi rimpiange i tempi in cui lo stesso premio lo vincevano Madre Teresa di Calcutta e Nelson Mandela. Non manca neppure un «Vallo a dire ai Greci…!», o qualcuno che si chiede se anche all’estremo Nord stiano pensando di chiedere un bailout, o se siano rimasti a corto di candidati. Qualche voce, tutto sommato, si mantiene ottimista: «Ho appena saputo di aver vinto il Nobel per la Pace. Certo, insieme a altri cinquecento milioni di persone. A testa fanno 0,001791 euro».
Non è la prima volta che il premio non va a una persona fisica, ma a un’organizzazione. Nel 1904 fu l’Istituto Internazionale di Diritto, poi nel 1917 la Croce Rossa (replicato nel 1944 e nel 1963), e l’Unhcr (l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati) nel 1954. Il 1965 è stata la volta dell’Unicef, e il 1977 quella di Amnesty International. Nel 2001, il premio è andato alle Nazioni Unite. È la prima volta, però, che a ricevere il Nobel per la Pace è un’istituzione così marcatamente politica. La decisione è stata presa all’unanimità, come ha detto nel suo discorso il presidente del comitato, Thorbjørn Jagland. L’Unione europea è stata premiata per avere trasformato un continente di guerra in un contenente di pace, per i progressi ottenuti nella riconciliazione (anche in aree difficili come i Balcani), e per aver garantito la democrazia e i diritti umani nel Vecchio Continente.
Un altro tema fondamentale, naturalmente, è quello della crisi economica. Cosa ha voluto significare la decisione del Norwegian Nobel Committee? Si tratta di un endorsement a un’istituzione attualmente in crisi, lacerata da un presunto conflitto tra gli Stati virtuosi e quelli accusati di non saper gestire i propri bilanci, e di aver vissuto negli ultimi anni al di sopra delle proprie possibilità? Ad alcuni appare come una sorta di deja vu del premio assegnato a Barack Obama, ma in chiave completamente opposta. Se quella era un’assegnazione in un certo senso “preventiva”, questa avrebbe il sapore di un riconoscimento postumo, un po’ un premio alla carriera.
Un’ultima domanda, infine, riguarda l’opportunità di assegnare un premio di questo tipo a un’istituzione che dispone già di cospicue risorse. La somma è di circa 8 milioni di corone, ossia poco meno di 900 mila euro. Un cifra che forse sarebbe servita di più altrove. Lo scorso anno, a questo proposito, è il premio è andato a Ellen Johnson Sirleaf, Leymah Gbowee e Tawakkol Karman, per il loro impegno in difesa dei diritti delle donne in Liberia, e per la Primavera araba nello Yemen.