Le società europee non si fidano più delle banche. Per gli investimenti, meglio chiedere soldi al mercato obbligazionario, piuttosto che agli istituti di credito. È questa l’amara conseguenza della crisi dell’eurozona. Come dimostrano uno studio di Dealogic, pubblicato in esclusiva su Euromoney, e un’analisi di Morgan Stanley, la scarsità di fiducia verso le banche è ai minimi storici. Sono troppi i rischi di controparte, come dimostrano i casi Bankia e Dexia. Allo stesso tempo, l’universo bancario è più impegnato a sostenere gli Stati nelle emissioni di debito pubblico che non ha abbastanza liquidità per aiutare anche il settore corporate. A tal punto che, per la prima volta nella storia dell’euro, le emissioni societarie hanno superato i prestiti bancari erogati verso l’intero comparto.
«C’era una volta una banca…». Potrebbe iniziare così la storia degli istituti di credito che non riescono più a fare il loro lavoro: prestare denaro alle società. Nella prima metà dell’anno, infatti, le emissioni obbligazionarie corporate nell’area euro hanno sorpassato, seppur di poco, i finanziamenti concessi dalle banche: 205 miliardi di euro contro 190 miliardi, secondo i calcoli effettuati da Dealogic, confermati anche da un’analisi di Morgan Stanley. Mai era successo. Due i motivi. Da un lato il generale sentimento di sfiducia verso l’universo bancario. Dall’altro il credit-crunch, alimentato dalle decisioni della Banca centrale europea (Bce).
Riguardo allo scetticismo, è facile capire le ragioni delle società. La volatilità dei mercati dei bond governativi è tanto elevata quanto è urgente l’esigenza di finanziamento delle big company europee. «Dato che la ripresa è data per la seconda metà del 2013, stanno aumentando le richieste di prestiti volti agli investimenti», fa notare Dealogic. Eppure, è successo qualcosa di molto particolare. In dicembre e febbraio la Bce ha lanciato due operazioni di rifinanziamento a lungo termine (Long-Term refinancing operation, o Ltro), per complessivi 1.030 miliardi di euro in linee di credito. Lo scopo primario era quello di permettere il rollover del debito sovrano esistente in portafoglio e sostenere i Paesi più pressati dagli investitori, Italia e Spagna, durante le aste di bond governativi. Operazione riuscita, ma a discapito del finanziamento delle imprese. Delle due l’una. O si rischiava di osservare un’asta di titoli di Stato italiani o si agiva in questo modo.
E proprio per via di questa particolare nuova struttura, le società hanno optato per soluzioni alternative. I mercati finanziari europei sono diventati disfunzionali. A partire dal settembre 2011, rimarca Dealogic, si è amplificato uno degli effetti collaterali della crisi che sta vivendo l’eurozona. Se fino a quella data le big corporate europee erano solite rivolgersi alle banche per ottenere finanziamenti, ora è meglio cercare di fare da soli. Il confronto con il passato è terrificante. Nel 2002 le emissioni corporate erano di poco al di sotto dei 200 miliardi di euro, mentre i prestiti superavano quota 400 miliardi, più del doppio. Poi, come sottolinea Morgan Stanley, è iniziata «l’epoca d’oro del credito facile». La liquidità era per tutti. E quindi, via libera alle richieste di finanziamento. Nel 2007, il momento migliore per le società europee, le emissioni obbligazionarie restavano fisse intorno ai 200 miliardi di euro. Erano però i prestiti bancari a subire l’effetto dell’inondazione di liquidità: 1.205 miliardi di euro di finanziamenti erogati nel solo 2007.
Poi è arrivata la crisi. Nell’agosto 2007 prima il salvataggio in extremis della banca americana Bear Stearns e poi il congelamento di tre fondi di BNP Paribas (Parvest Dynamic Abs, Bnp Paribas Euribor e Bnp Paribas Abs Eonia) gettano nel panico gli investitori e gli amministratori delegati delle società di mezzo mondo. Inizia la ritirata della liquidità e il deleveraging bancario. Nel 2008, il trend vede una contrazione netta dei finanziamenti: da 1.200 a poco più di 600 miliardi di euro. «Colpa del crack di Lehman Brothers, che ha amplificato la situazione, ma anche del delevereging Nel 2009, arriva una sostanziale parità: 500 miliardi di euro sia per le emissioni corporate sia per i prestiti. Poi, lentamente, la situazione migliora. Si arriva nel 2011 con emissioni di bond corporate di 240 miliardi di euro e finanziamenti per quasi 700 miliardi.
Poi, coi salvataggi di Grecia, Irlanda, Portogallo e il timore di un collasso dell’eurozona, il tracollo finale. L’obiettivo della Banca centrale europea è risanare la situazione. Come? Assicurando che le paure di un break-up dell’euro sono infondate. Del resto, più cresce l’incertezza, più le società europee hanno difficoltà nel raccogliere capitali. Ed è complicato muoversi in uno scenario in cui il sistema interbancario è bloccato, il mercato dei repurchase agreement (pronti contro termine) è congelato e la scarsità di liquidità sui mercati monetari non accenna a diminuire.
Come ha ricordato Natacha Valla, analista di Goldman Sachs, la disfunzionalità del sistema bancario europeo nei Paesi periferici è diventata la regola, non l’eccezione. Più il tasso di rifinanziamento della Bce scende, più i tassi retail salgono. La conseguenza di questa tendenza, ha sottolineato il numero uno della Bce Mario Draghi, è stata la rottura del meccanismo di trasmissione della politica monetaria. Ecco quindi perché è arrivato il piano di acquisto titoli attraverso le Outright monetary transaction, che ha dato un po’ di sollievo. Nel frattempo, però, le società continuano a fare da sole. «Le emissioni obbligazionarie corporate, sia normali sia high-yield, continueranno ad aumentare anche nel 2013», ha scritto Moody’s dieci giorni fa. Solo per quanto riguarda i bond ad alto rendimento, nell’agosto appena trascorso si è registrato il picco, 34 miliardi di euro. Ed entro fine anno la stima è di 52 miliardi di euro di nuove emissioni corporate high-yield. Dove non può più la banca, può ancora il mercato. Per ora.