“Marcegaglia fa pratiche collusive”, l’accusa dell’Antitrust

“Marcegaglia fa pratiche collusive”, l’accusa dell’Antitrust

«Dalla documentazione agli atti emerge in maniera chiara come tra le società parti del procedimento esistesse uno strutturato ed efficace meccanismo collusivo».  È impressionante leggere il dispositivo con il quale l’Antitrust ha sanzionato una serie di imprese ree di avere fatto cartello per evitare il mercato e fissare fra loro i prezzi dei guardrail (o meglio «dispositivi metallici di sicurvia» come vengono talvolta definiti nel provvedimento). Ed è impressionante che la principale azienda coinvolta in una pratica di questo genere si chiami Marcegaglia, quella di Emma, l’ex presidente di Confindustria, quella che per Rocco Buttiglione potrebbe essere «un Mario Monti femmina».  

La vicenda riguarda il periodo 2003-2007 (Marcegaglia è diventa presidente di Viale dell’Astronomia l’anno successivo) durante il quale avrebbe agito un cartello in cui sono coinvolte anche altre sei società e che ha portato a sanzioni che complessivamente raggiungono i 40 milioni di euro, di cui 11 per il solo gruppo siderurgico mantovano (che ha chiuso il 2011 con ricavi consolidati per 4,32 miliardi). «L’intesa in questione si è sostanziata in una complessa e articolata strategia anticoncorrenziale, nella forma di pratica concertata unitaria, continuata e ripetuta nel tempo, tesa a falsare considerevolmente il corretto esplicarsi dei meccanismi di confronto concorrenziale nel suddetto mercato attraverso l’assegnazione concordata di vendite e la fissazione condivisa di prezzi di riferimento, anche mediante scambi di informazioni sensibili» si legge nel bollettino dell’Antitrust. Tradotto significa che, grazie a questo meccanismo, sono stati fissati i prezzi, riducendo così la competizione e aggravando i costi per la Pubblica amministrazione e quindi per noi tutti. Un bel podio da cui parlare di rispetto della legalità, di meritocrazia e di riforme, come faceva la ex presidente di Confindustria. 

Il cartello passava attraverso il consorzio Comast ( acronimo che sta per Consorzio Manufatti Stradali Metallici) sciolto il 18 maggio 2007 dopo un’ispezione della Guardia di finanza. I prezzi venivano decisi in questa sede: «Onde eliminare la possibilità di un esito della fornitura (o della gara) diverso da quanto concordato, il prezzo da essi offerto […] doveva necessariamente essere maggiore, in modo da coerentemente indirizzare le decisioni di acquisto della domanda (“le altre imprese non risponderanno alla richiesta d’offerta ovvero proporranno un prezzo, pattuito all’interno del Comast, più alto”, come sottolineato nell’annotazione di polizia giudiziaria)».  Il gioco era semplice: ci si metteva d’accordo, le altre aziende offtrivano un pezzo più alto e così la fornitura andava a quella che decidevano loro. Non solo ma gli incontri tra gli operatori avvenivano con considerevole frequenza «mediamente una ventina di incontri all’anno, con una frequenza pertanto all’incirca quindicinale».  

E «il meccanismo collusivo era noto a tutti». Secondo quanto riferito dal segretario del Comast, «ogni consorziata porta in dote alcune richieste d’offerta e queste vengono dibattute dalle stesse». E «le riunioni tra i membri del cartello erano finalizzate, da un lato, alla ripartizione delle vendite con la suddivisione e indicazione delle commesse a ciascuno spettanti e, dall’altro, alla definizione e periodico aggiornamento di un listino prezzi di riferimento condiviso». 

A parte l’assurdità di mettere addirittura in piedi un consorzio di tal fatta, la pratica collusiva «raggruppa il 95% dei costruttori di barriere di sicurezza stradale in Italia». Insomma una vera galleria degli orrori, che vi consigliamo di leggere per intero (ecco il link).  Il gruppo fondato da Steno Marcegaglia, non nuovo alle aule di Tribunale, ha reagito negando le accuse, dichiarando che farà appello e giudicando la sanzione «eccessiva».

La vicenda, se confermata nei successivi gradi di giudizio, ben descrive il nostro capitalismo baronale (torna infatti alla mente il termine robber barron che si usava nella Gilded Age americana) dove molto spesso, troppo spesso, le dinamiche del mercato sono lasciate al debole mentre il forte si fa proteggere. Quel sistema descritto da Massimo Mucchetti in “Licenziare i padroni” dove si racconta di gruppi nostrani (Pirelli, Fiat, Benetton) che, davanti all’avanzamento del mercato e delle sue logiche, cercano, e spesso riescono, a fuggirne per andare a rifugiarsi nel tarifatto (telecomunicazioni, elettricità, autostrade). Oppure quello analizzato nel meccanismo delle élite “estrattive” descritto da un professore del Mit e uno di Harvard (Daron Acemoglu e James Robinson) nel loro saggio “Why nations fail” dove ben definiscono il prezzo che pagano sistemi economici bloccati da cartelli, privilegi e monopoli che estraggono ricchezza dalla colletività per consegnarla a gruppi di potere chiusi. E si potrebbe continuare, sottolineando che se anche in piena crisi la nostra inflazione sale in un anno dal 2,5% al 3,4%, contro una media Ue del 2,6%, è anche perché ci sono interi settori della nostra economia che vivono di pratiche simili a queste. O ricordando che una Confindustria dove sono stati fatte entrare grandi aziende semipubbliche come Eni ed Enel, e che a capo aveva una rappresentante il cui gruppo è accusato di pratiche collusive di una tale portata, è parte del problema e non della soluzione. Ma è meglio piantarla qua. Altrimenti si rischia di invocare il ritorno dello spread: «forza, torna a spaventarci, altrimenti non ci libereremo mai del medioevo che c’è in noi». 

Twitter: @jacopobarigazzi

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