Mecna, vi racconto il mio cantauto-rap “senza paracadute”

Mecna, vi racconto il mio cantauto-rap "senza paracadute"

Se lo vedeste in giro, questo spilungone classe ’87, di lui pensereste probabilmente due cose: uno, gioca a basket; due, è un rapper. La seconda è quella giusta. Corrado Grilli, in arte Mecna, è un talentuoso designer, ma soprattutto uno dei maggiori esponenti della nuova classe di MC’s italiani – di cui fa parte anche Ghemon – che mescolano agevolmente rap, soul, pop e testi da cantautore. Il suo primo album, come si dice, “ha fatto il botto”, entrando dritto dritto al primo posto dei dischi più acquistati dagli utenti su iTunes. Disco Inverno il titolo, Macro Beats l’etichetta. Le canzoni, una manciata di poesie: testi nostalgici, non convenzionali, velati da una leggera aura di tristezza. Eppure lui si definisce “un uomo con il sorriso che canta cronache di uomini, è destino”.

Era davvero destino?
Beh, non saprei. Ma è andata proprio come sognavo. Sono sorpreso da tutti questi occhi puntati su di me. É una figata, la gente mi apprezza e mi vuole bene. Anche dal vivo, tutti cantano i pezzi, mi fa piacere. E dopo il concerto, quando vengono a comprare le maglie ed il disco, sono affettuosi. Sembra quasi che mi conoscano.

Forse è perché nelle tue canzoni sveli tanto di te.
Io mi metto a nudo, parlo delle mie emozioni e dei miei sentimenti. Non è facile da un lato, dall’altro penso che mi venga naturale. A volte ho pensato: cazzo, mi sto scoprendo troppo. Ma va bene così, perché alla gente piace.

Fai un rap legato a doppio filo al cantautorale. Che musica è passata dallo stereo di Mecna negli ultimi anni?
Sarò sincero: ho sempre apprezzato il rap, ma non è mai stato l’elemento portante dei miei ascolti. Quando ho conosciuto Ghemon, lui mi ha introdotto ad alcuni generi che conoscevo appena, come l’r’n’b ed il new soul. Roba che mi ha stregato completamente. Di base, comunque, sono abbastanza curioso. Cerco di assorbire tanti stimoli diversi e di risputarli nella mia musica. Cercando di avere meno confini mentali possibili.

Tu e Ghemon vi sentite alfieri di un genere, oggi, in Italia?
In un certo senso, sì. Però non abbiamo inventato nulla. In America e in Europa ci sono tanti artisti che fanno rap in questo modo. Il nostro merito, al limite, può essere quello di aver portato questo genere nel nostro Paese.

Il confine tra rap e pop è sempre più sottile. Ti senti responsabile?
In parte, ma non è solo colpa di Mecna: ultimamente il rap sta diventando un mezzo molto diffuso, al punto che è la gente a percepirlo come musica popolare. Rispetto a prima, oggi ci sono molte più persone che vengono a contatto con questo tipo di musica. Anche molti artisti pop sembrano averlo capito, e cercano di collaborare con i rapper. Della serie: tu porti la melodia, io i contenuti. Comunque credo che la commistione tra rap e pop sia cosa buona e giusta. In America succede da sempre.

La scena hip hop italiana è sempre più ricca di personaggi che potremmo definire improbabili, al limite del trash: dal capostipite Trucebaldazzi a Simoncino. Secondo te figure di questo tipo fanno bene o male al rap?
Bah… io le reputo inutili. Non li considero nemmeno rapper, a dirla tutta. Perché non contribuiscono in alcun modo alla cultura dell’hip hop, non fanno musica di qualità. Allo stesso tempo, però, rendono bene l’idea di come questo genere musicale stia diventando sempre più potente in Italia. Se si arriva al punto che nascono dei cloni, delle rap-caricature, allora vuol dire che la cosa sta funzionando.

C’è qualcuno dei tuoi colleghi più famosi che inseriresti in questo gruppo di “artisti”?
(ride) No, no, ho rispetto per più o meno tutti. Magari la musica di qualcuno può non essere quella che farei io. Ma credo sia positivo che oggi nell’hip hop si sentano un po’ tutte le campane. Loro fanno il loro rap, io faccio il mio. A ognuno il suo, e va bene così.

Il tuo rap è molto personale, dicevamo. Non hai mai avuto la tentazione di scrivere un pezzo di denuncia, che trattasse tematiche socio-politiche?

In realtà sì. Anche durante la scrittura di Disco Inverno ho provato a dirmi: ok, ora provo a parlare di quest’argomento. Cerco di scrivere un pezzo più “pensato”, più impegnato. Ma fondamentalmente non ce la faccio. Non ci sono mai riuscito. Questa cosa mi pesava, ad un certo punto ho pensato: che cosa dirà la gente, che Mecna sa parlare solo di sé e non di tutto il resto?

E poi?
E poi ho detto ‘fanculo, probabilmente io sono fatto così. A molti verrà naturale scrivere canzoni su temi politici, o sociali. Bene: non a me. Io qualche rima di denuncia ce l’ho, se leggi tra le righe. Ma il resto è tutto molto più improntato al personale.

Vieni da Foggia, non certo una città semplice per fare rap.
Foggia non offrirà le stesse possibilità di Milano, Roma, Torino o Bologna, ma ha un grande vantaggio: ti dà la possibilità di farti le ossa, impari a sgomitare. Rispetto alle grandi città, non hai gli occhi puntati addosso. Ma non appena riesci a mettere la testa fuori, e qualcuno ti nota, allora vai come un treno, ci metti tutto te stesso. 

Che consiglio daresti a un emergente che vuole farsi notare?
Primo, impara a sbagliare. Sbattici la testa, fare qualche errore è necessario. Secondo, trova qualcuno con cui condividere la tua passione. Io quando ho cominciato non ero da solo, avevo al mio fianco Nasty e Lustro. Questa cosa del gruppo ci ha aiutato molto, ci facevamo forza a vicenda e avevamo una spalla su cui piangere quando le cose andavano male. Terzo, puntate su internet. Io ci ho creduto fin dall’inizio, dicevo: ragazzi, facciamo un pezzo, mettiamolo online. Internet non ha barriere, non conta se vieni da Foggia o da chissà dove. É un modo perfetto per farsi conoscere anche fuori. Fai conto che, grazie a persone conosciute via web, il primo disco lo abbiamo registrato a Lugano, in Svizzera: una cosa impensabile per tre pugliesi. L’ultimo consiglio è quello di continuare a fare, a creare, senza arrendersi né perdersi d’animo. La perseveranza viene premiata. Sempre.

Qual è la rima che sei più orgoglioso di avere scritto?
“La città da cui provieni per te è stata un grosso aiuto, la mia mi ha avuto e fatto andare via perduto”, da Senza Paracadute. Quando la canto dal vivo mi emoziono sempre. Ogni volta è come togliersi un sassolino dalla scarpa. Chiarisco una cosa: io sono orgoglioso di portare avanti il nome di Foggia, mi sento foggiano al cento per cento. Ma ci sono delle situazioni che non mi sono andate giù, e quella frase le riassume tutte. 

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