Lo scandalo esploso in seno alla Regione Lazio e la progressiva emersione, anche altrove, di pratiche poco commendevoli, in materia di indennità e rimborsi spese, sta finalmente spostando il baricentro dell’attenzione dei media e della pubblica opinione, sino ad oggi ossessivamente mantenuto sul versante della sola evasione fiscale, verso l’altrettanto grave problema della dissipazione di risorse pubbliche.
Una dissipazione che costituisce a volte il risultato di fenomeni di corruzione, a volte l’esito di veri e propri “furti legalizzati”. Anzi, possiamo proprio dire che la corruzione nel settore pubblico sta all’evasione fiscale del settore privato, come le leggi e leggine che veicolano fondi ai partiti per la loro successiva redistribuzione agli eletti stanno all’elusione fiscale.
Soprattutto in quest’ultimo anno, affermare la necessità di una pari determinazione sui due fronti è stato sovente considerato un tentativo di delegittimazione della battaglia a senso unico che stava e sta venendo portata avanti contro l’evasione fiscale, quella sì davvero senza esclusione di colpi e a prezzo anche di adeguate garanzie per i contribuenti onesti. Non era e non è così, ovviamente; e i recenti accadimenti lo dimostrano.
Pensare di instaurare una teocrazia fiscale, attribuendo massima rilevanza etica all’obbligazione tributaria del cittadino verso lo Stato, in un contesto in cui, per il resto, si prosegue senza soluzione di continuità in una degenerazione inaudita di ciò che dovrebbe essere lo spirito di servizio che dovrebbe contraddistinguere la politica e la pubblica amministrazione, equivale a pretendere di costruire una casa partendo dal tetto, invece che dalle fondamenta.
Nel cercare ora di rimettere la barra al centro, sarà importante avere chiare alcune semplici coordinate.
> La prima: non basta un ricambio particolarmente ampio della classe politica, ne serve uno altrettanto e forse ancora più incisivo degli alti dirigenti della pubblica amministrazione.
> La seconda: basta indennità forfettarie, quando si tratta di soldi pubblici; solo stipendi e rimborsi a piè di lista, sulla base della documentazione presentata, fino a un tetto massimo prestabilito.
> La terza: avanti tutta con leggi come quella contro la corruzione, ma avanti anche con il disegno di legge, già depositato in Senato, per l’istituzione di un’Agenzia delle uscite con poteri analoghi a quelli dell’Agenzia delle entrate, a cominciare dalla natura esecutiva delle contestazioni.
Senza queste coordinate, non andremo lontano. Avremo magari una nuova classe politica, ma essa sarà ostaggio di burocrati selezionati dalla precedente, con la quale evidentemente hanno saputo trovare affinità tali da fare carriera e prosperare. Avremo formali rimborsi, ma sostanziali remunerazioni aggiuntive che continueranno a stravolgere il giusto principio del “non è possibile che solo i ricchi possano fare politica” nel devastante risultato che con la politica si può diventare più ricchi (o meno poveri) di quanto lo si fosse prima.
Avremo pene più severe e nuove fattispecie di reato, ma continueremo ad avere una Corte dei Conti con poteri di controllo spuntatissimi e poteri esecutivi di riscossione dell’accertato inesistenti.
Sempre che non ci si fermi ancora prima e, passata la buriana, si lasci tutto come sta e si torni a martellare esclusivamente sull’evasione fiscale, ossia sull’unico aspetto che sta veramente a cuore di chi, vivendo sulle istituzioni, prima ancora che credendo in esse, maschera da senso civico il tutt’altro che civile desiderio di avere i soldi perché tutto continui così come lo stiamo ammirando in questi giorni.