Più delle offerte di Silvio Berlusconi, sarà la nuova legge elettorale a garantire un futuro in Parlamento per Mario Monti. Da domani la commissione Affari costituzionali del Senato inizierà a votare la riforma del Porcellum. Stando ai due disegni di legge presentati, nella prossima legislatura sarà quasi impossibile avere una maggioranza politica stabile e coesa. Con buona pace di chi legittimamente spera di andare a Palazzo Chigi, il rischio sempre più concreto è che dopo le elezioni i partiti dovranno cercare un accordo in Parlamento. Offrendo la guida del governo, nel caso, a una personalità esterna. Magari proprio Monti?
In serata sono stati presentati in Senato due documenti per larga parte convergenti: entrambi prevedono un sistema proporzionale, uno sbarramento al 5 per cento e un premio di governabilità del 12,5 per cento alla prima coalizione. Resta di sciogliere il nodo del rapporto tra eletti ed elettori. La proposta del centrodestra introduce le preferenze, quella del Pd i collegi uninominali (un terzo dei seggi sarà comunque attribuito con listini bloccati).
Rispetto alle indiscrezioni delle ultime settimane ci sono anche alcune novità. Norme contenute in un altro disegno di legge da approvare assieme alla riforma. Sono introdotti dei tetti alle spese elettorali, viene vietata la nascita di gruppi parlamentari che non si siano presentati alle elezioni. Regole più rigorose, infine, per il voto degli italiani all’estero.
Pd e Pdl discutono di preferenze, ma si sono già accordati sul premio di maggioranza. Un 12,5 per cento che, a detta degli esperti, difficilmente permetterà la nascita di una maggioranza politica. «Per stabilire il premio – racconta il capogruppo Api Pino Pisicchio – si è scelta la salomonica media aritmetica tra quanto chiedeva il Pd (il 15 per cento, ndr) e quello che proponeva il Pdl (10 per cento, ndr). Una scelta ottusa. Anche perché un premio di questa entità, con l’attuale assetto delle forze politiche, è chiaramente insufficiente a garantire un governo adeguato e autosufficiente». Non è il solo a pensarla così. «A bocce ferme – spiega il deputato Pd Salvatore Vassallo – una riforma di questo tipo non permette alcuna maggioranza politica».
In realtà non c’è ancora nulla di deciso. La riforma elettorale è tutt’altro che approvata. Domani la commissione sceglierà il testo di partenza, che poi sarà emendato al Senato. Senza considerare che in seguito il provvedimento dovrà essere licenziato anche dalla Camera. Al momento, però, la strada di un nuovo governo di larghe intese si fa concreta.
Il premio di maggioranza assegnato alla prima coalizione sarà del 12,5 per cento dei seggi complessivi (76 alla Camera, 37 al Senato). Basta fare alcune ipotesi per capire che difficilmente i principali partiti italiani potranno trovare una chiara maggioranza politica in Parlamento. Nella migliore delle ipotesi il Partito democratico raggiungerà il 30 per cento delle preferenze. In una coalizione con Sel potrebbe arrivare al 36 per cento. Semplificando – il criterio di assegnazione dei seggi modificherà leggermente la reale entità del premio di maggioranza – un’alleanza di centrosinistra non sarebbe in grado di superare neppure il 50 per cento. Diverso il discorso se il Pd riuscisse a mettere d’accordo Nichi Vendola e Pier Ferdinando Casini. In realtà i due diretti interessati assicurano che non saranno mai alleati. Ma se anche Bersani riuscisse nell’impresa, si potrebbe ancora parlare di una maggioranza stabile e coesa?
«Per carità – spiega Pisicchio – io ho sempre sostenuto lealmente l’esecutivo di Mario Monti. Ma ora mi chiedo: siamo sicuri che il nostro Paese, senza essere in grado di esprimere una maggioranza parlamentare autosufficiente, si possa permettere ancora una volta l’esperienza di un governo tecnico?».