Mi consentoPrimarie, ma con queste regole un partito può dirsi democratico?

Primarie, ma con queste regole un partito può dirsi democratico?

Sono sempre le frasi semplici a fare la differenza. Ne abbiamo lette tante in questi giorni, soprattutto in relazione ai duelli elettorali per la Casa Bianca visto che stanotte ci sarà il primo confronto tv tra Obama e Romney. La sfida per la presidenza degli Stati Uniti ha sicuramente un altro fascino rispetto alle primarie del Pd, eppure il punto è lo stesso: la frase semplice che colpisce. E quella di Matteo Renzi a proposito della modifica al regolamento delle primarie è quanto mai efficace. «Non capisco perché non vadano bene le regole del passato, quelle che andavano bene quando hanno vinto Prodi, Veltroni, Bersani».

E ora che cosa gli risponderanno? Beh, le argomentazioni non mancheranno. Ma il sindaco di Firenze ha colto nel segno. Come mai il Pd proprio oggi, al quarto appuntamento con le primarie, sente l’esigenza di modificare un regolamento che sin qui non era mai stato messo in discussione? Ovviamente il perché è chiaro, perché Bersani ha paura di perdere. Lo capirebbe anche un bambino. Ma, come spesso accade, il rimedio rischia di essere peggiore del male. Il segretario, con questa manovra, ha di fatto certificato il proprio smarrimento, la propria condizione di insicurezza. In America sarebbe bello che sconfitto. Ma l’America, si sa, è un’altra cosa. Lì basta una fronte imperlata di sudore in un duello televisivo per giocarsi qualsiasi chance di accedere alla Casa Bianca.

In Italia è diverso, certo. Le primarie del Pd hanno indubbiamente un appeal e un seguito neanche lontanamente comparabili con la sfida presidenziale. Epperò questa smodata attenzione al regolamento parla chiaro. Fin qui, come evidenziato da Renzi, non c’è stato alcun doppio turno né tantomeno la creazione di un albo degli elettori. Così fu eletto Romano Prodi (a proposito, qualcuno sta ancora aspettando i quattro milioni di schede che suggellarono quel successo), così trionfò Walter Veltroni (su Rosy Bindi ed Enrico Letta) e così vinse lo stesso Bersani (sconfiggendo Ignazio Marino e Franceschini).

Manca poco che l’assemblea di sabato certifichi che nessuna provincia possa esprimere più di un determinato numero di elettori, in modo da limitare le truppe fiorentine.

Ancora una volta, insomma, come previsto e come ampiamente prevedibile, il Pd sta andando incontrando alla sua settimana di passione che lascerà inevitabili strascichi. E, ancora una volta, in questo duello tra il rottamatore o presunto tale e l’apparato, ha gioco facile il primo. A lui basta una frase semplice per scardinare la difesa avversaria; gli altri stanno studiando da giorni un regolamento macchinoso per disinnescare la minaccia. Per certi versi Renzi ha già vinto.  

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