Premessa: non mi è mai piaciuto Lance Armstrong. Non mi è mai piaciuto il suo modo di interpretare il ciclismo. Non ho mai sopportato l’idea che lui corresse in pratica solo e soltanto una corsa all’anno – il Tour – e la vincesse con arroganza e superiorità sospetta. Ne ho scritto in tempi lontani, quando sul texano che tutto può e tutto muove, si levarono voci di malcontento per una pomata sospetta per lenire dolori al soprassella, e per questo sono stato bollato come avvoltoio da autorevoli colleghi. Ora che la favola è finita, non mi piace questo modo di interpretare la giustizia, che calpesta il buonsenso e la giustizia stessa.
Lance Armstrong è stato cancellato con un colpo di spugna all’ora di pranzo di ieri dal governo mondiale della bicicletta. «Nel ciclismo non c’è più posto per Lance Armstrong», ha tuonato fiero il grande capo mondiale dell’Uci Pat Mc Quaid, annunciando che l’Uci accoglie totalmente le decisioni dell’Usada di radiare il ciclista texano per aver allestito «il sistema doping più sofisticato della storia dello sport».
Dopo l’Usada, l’agenzia antidoping americana, ecco l’Uci. La decisione è comune: via tutti i titoli di Lance Armstrong conquistati dal 1° agosto 1998 al 2005. Via tutto, via soprattutto lui, Lance Armstrong, per anni simbolo del ciclismo mondiale e ora simbolo da demolire senza pietà, prima che sia troppo tardi.
Albo d’oro profanato, con un buco nero che diventerà tale se gli organizzatori del Tour decideranno di non riassegnare le vittorie tolte all’americano: l’ultima parola, però, spetta all’Uci, che si pronuncerà venerdì prossimo, anche se il compito appare quantomeno imbarazzante, perché chi si è piazzato alle spalle di Armstrong in quei Tour è finito a sua volta nella rete dell’antidoping.
Armstrong, messo sotto accusa da numerosi suoi ex compagni (ben 15 hanno testimoniato contro di lui), ha sempre proclamato la sua innocenza, accusando l’Usada di caccia alle streghe, e resta da vedere se il texano deciderà di portare il suo caso al Tribunale di Losanna (Tas). Tanti i nodi da sciogliere: dalla prescrizione (da regolamento Wada, dopo 8 anni il risultato acquisito non può essere più impugnato) alla credibilità dei pentiti e della stessa Uci, che per l’Usada e non solo per loro, è stata per lo meno accondiscendente. Ma andiamo per ordine.
Seguitemi in un ragionamento che non tende ad assolvere Armstrong – anzi -, ma può aiutarvi a comprendere come questa vicenda puzza dalla testa: dal governo della bicicletta, che è molto peggio dei suoi tesserati.
TUTTO PARTE DA UN’ASSICURAZIONE
La società di assicurazioni SCA Promotions chiederà a Lance Amstrong il versamento di 7,5 milioni di dollari per “frode”. A darne notizia è il New York Times. Dal 2004, la US Postal aveva promesso al texano di versargli un bonus di 5 milioni di dollari per i suoi risultati al Tour de France. Nel 2006, dopo la pubblicazione di un libro che accusava Lance di pratiche dopanti, lo sponsor aveva cercato di recuperare questi premi affidandosi ad una società specializzata, la SCA. Ma in mancanza di prove, Armstrong aveva tenuto i 5 milioni aggiungendone altri 2,5 per indennità e spese giudiziarie.
Alla luce di quanto è emerso nelle ultime settimane, l’avvocato della SCA, Jeffrey M. Tillotson, ha spiegato al New York Times che «all’epoca noi avevamo dubbi, ma Armstrong ci aveva attaccato chiedendo come osassimo dubitare di lui. Ora conosciamo i suoi errori e sappiamo che ci deve restituire quei soldi».
LA CORTE FEDERALE LO ASSOLVE
Nel febbraio di quest’anno, la giustizia ordinaria chiude il suo procedimento sul cow boy della bici, dopo due anni e mezzo di indagini da parte di Jeff Nowitzky, il detective che quattro anni fa ha smantellato il sistema di doping nell’atletica statunitense e spedito in carcere l’olimpionica Marion Jones. A sentire gli esperti di diritto americani, la riapertura di un’inchiesta su Armstrong è improbabile, ma non impossibile. Dovesse accadere, il texano potrebbe essere accusato di aver mentito nel novembre 2005, quando giurò di non aver mai fatto uso di sostanze proibite: nel caso, rischia fino a 30 anni di carcere e una multa di 1,5 milioni di dollari.
LE ACCUSE DEL PERITO
Michael Ashenden, medico specializzato in antidoping, rilascia al sito “Velonation” dichiarazioni al vetriolo, non solo all’indirizzo del campione americano, ma soprattutto contro i suoi ex datori di lavoro: l’Unione Ciclistica Internazionale. Ashenden assicura al sito inglese di aver sollevato preoccupazioni circa i valori ematici di Lance Armstrong pubblicati tre anni fa riguardanti il Tour de France 2009 (quindi sotto la presidente Mc Quaid). Il componente australiano del gruppo di esperti dell’UCI, che avevano il compito di valutare il «passaporto biologico» dei corridori, sottolinea che non essendogli stata sottoposta la cartella di Armstrong, lui come i suoi colleghi non aveva potere di fare nulla, se non sottolineare le sue perplessità.
«Non posso affermarlo con certezza – ha detto qualche giorno fa il luminare australiano -, ma credo che a nessun “esperto” sia mai stato chiesto di analizzare i file del texano, anche perché a occhio erano visibili almeno due variazioni anomale che in altri casi sono state sufficienti per condannare un atleta». Parole pesanti, suffragate da prove: «La sua emoglobina non è diminuita dal 10 per cento o giù di lì, come accade in genere durante una gara di tre settimane. Questa anomalia era stata riscontrata nel caso di Franco Pellizotti ed è stata ritenuta sufficiente dal TAS per ritenere che il corridore avesse fatto ricorso a pratiche dopanti. Inoltre, il livello dei suoi reticolociti dai test effettuati durante quel Tour erano al di sotto della media del resto dei suoi valori riportati. Entrambe queste anomalie sono coerenti con trasfusioni di sangue».
Le inquietanti affermazioni di Ashenden, dimessosi all’inizio di quest’anno dal suo ruolo di esperto Uci perché in disaccordo con la clausola di riservatezza che per otto anni non gli avrebbe permesso di esprimersi pubblicamente su vicende di doping, sono supportate anche dal parere di un altro esperto del passaporto biologico Robin Parisotto, che sostenendo le analoghe convinzioni conferma come gli esperti senza l’avvallo dell’Uci non potessero indagare oltre a quanto hanno fatto negli anni di attività di Armstrong.
LA NIKE HA PAGATO?
Fino a che punto la Nike ha aiutato Lance Armstrong? Non sarebbe stata solo un semplice sponsor, fedele a dispetto del rapporto della Usada, ma sarebbe stata addirittura implicata nel sistema doping. Secondo il quotidiano New York Daily News, lo sponsor avrebbe contribuito versando 500.000 euro all’ex presidente dell’Uci Hein Verbruggen per coprire un controllo positivo.
Nike e Thom Weisel, un banchiere sponsor di Armstrong, avrebbero versato la somma su un conto svizzero intestato a Verbruggen. Il giornale fa riferimento alle parole di Kathy LeMond, moglie di Greg LeMond, primo campione americano vincitore di due Tour, rilasciata nel 2006 durante uno dei tanti procedimenti tra Armstrong e la compagnia assicurativa SCA.
La testimonianza potrebbe fare riferimento ad un presunto controllo positivo di Lance Armstrong ai corticoidi al Tour de France 1999. Secondo l’ex massaggiatrice Emma O’Reilly, testimone chiave della Usada, il medico del team Luis Garcia del Moral avrebbe redatto in quella occasione una prescrizione antedatata.
ACCUSE DALLA WADA
Il dubbio per lui non esiste. L’Uci ha chiuso gli occhi sulle pratiche dopanti di Lance Armstrong e dei suoi compagni di squadra. A dirlo a chiare lettere alla agenzia AFP è Richard Pound, direttore della Wada dal 1999 al 2007. «Non è credibile pensare che non sapessero quello che accadeva. Per anni me ne sono lamentato direttamente con i vertici dell’Uci. Quella squadra aveva sempre i controlli per ultimi, erano avvisati, avevano tutto il tempo che volevano a loro disposizione».
VIA TUTTI
Insomma, da una parte c’è un corridore arrogante e spietato, che dice di non aver mai fatto ricorso a pratiche illecite e dall’altra 25 persone che hanno testimoniato contro di lui. Da una parte c’è l’Usada che produce un dossier di oltre mille pagine e dall’altra un tribunale americano che chiude dopo quasi tre anni tutto con un nulla di fatto. Poi però il dossier diventa di dominio pubblico e si scatena la battaglia: tutti hanno qualcosa da raccontare e dire. Esiste un regolamento Wada che parla di prescrizione, ma c’è il Cio che assicura che di fronte a tali menzogne anche la prescrizione può andare a farsi benedire. Dal dossier, ma anche dalla Wada – come avete potuto leggere – piovono dure accuse all’indirizzo dell’Uci e il governo mondiale della bicicletta ineffabile non esita a giudicare il texano maledetto. Insomma, regna l’ipocrisia più totale. E quindi? Direte voi. Quindi via l’americano che vinceva ingannando, ma via anche un governo che per anni ha esibito la bandiera del candeggio, facendosi però sfuggire la macchia più grossa.
* direttore di tuttoBICI e tuttobiciweb.it