Registri tumori, in Italia coprono solo il 40% della popolazione

Registri tumori, in Italia coprono solo il 40% della popolazione

Fondamentali per il personale sanitario, a livello governativo sembra esserci invece poca consapevolezza sull’importanza dei Registri tumori. Tanto che quelli attivi coprono solo il 40 per cento della popolazione nazionale. E la normativa sulla privacy ne ostacola fortemente l’attività. I Registri tumori sono strutture che raccolgono informazioni sui malati di cancro residenti in un determinato territorio. Utilizzano molteplici fonti informative come le schede di dimissione ospedaliera, i referti anatomopatologici, i certificati di morte, e così via, e fanno ricorso a regole ben precise per la loro integrazione. «Ogni fonte informativa aumenta il livello di completezza e integra le informazioni degli altri flussi, contribuendo a costruire il percorso diagnostico-terapeurtico e il follow-up dei pazienti», spiega il dottor Emanuele Crocetti, responsabile Banca dati dell’Associazione Italiana Registri tumori (Airtum). Quello che sorprende è che i Registri tumori a livello nazionale non sono presenti ovunque, tanto meno in alcune aree fortemente inquinate. Benedetto Terracini, epidemiologo, cita Gela e Priolo in Sicilia con i relativi poli petrolchimici, oppure l’area del Sulcis-Iglesiente nella Sardegna sud occidentale, con la centrale termoelettrica Grazia Deledda di Portoscuro, la peggiore in assoluto tra le centrali a carbone secondo il Wwf. Non a caso tutte queste zone rientrano nella mappa dei siti industriali più inquinati d’Italia in base al rapporto 2011 dell’Agenzia europea per l’ambiente. 

Attualmente sono attivi 37 Registri che monitorano circa 22 milioni di abitanti, il 40% della popolazione nazionale. Come sottolinea il dottor Stefano Ferretti, segretario Airtum, «le informazioni raccolte includono il tipo di cancro diagnosticato, la data di diagnosi, l’età, il sesso dei pazienti, le condizioni cliniche in cui si trovano, i trattamenti che ricevono e l’evoluzione della malattia». Dati non trascurabili per il male del secolo. L’obiettivo è sorvegliare l’andamento della patologia oncologica attraverso la ricerca attiva delle informazioni, la loro codifica, l’archiviazione e l’aggiornamento per scopi di studio e ricerca in campo clinico e di sanità pubblica.

I Registri non sono nati per iniziativa di organismi nazionali né a seguito di precisi programmi sanitari, ma hanno avuto origine dalla spontanea motivazione scientifica di singoli clinici, patologi, epidemiologi e più in generale medici della sanità pubblica. «Così anche la loro distribuzione geografica ha risentito di questa spontaneità – commenta Ferretti – con una copertura inizialmente più sviluppata nelle aree del nord-Italia che solo recentemente ha registrato un discreto riequilibrio, ed è tutt’ora in fase di espansione».

Perché non c’è una copertura totale a livello nazionale? Terracini sottolinea come per aprire una struttura di Registro tumori serva «in primis una competenza professionale per poterla mantenere, oltre che consapevolezza delle potenzialità scientifiche e risorse finanziarie, non sempre disponibili». Di opinione differente il dottor Gaetano Rivezzi, dell’Associazione medici per l’ambiente (Isde) che si è fortemente battuto per avere il Registro anche a Napoli, secondo cui l’assenza di tale struttura «avvantaggia dati parziali e contestabili che permettono la persistenza delle cause di inquinamento, in attesa, forse, di affrontarle. Inoltre, fa comodo mantenere il lutto della patologia oncologica a livello familiare, anziché sociale».

Episodio singolare il caso campano. Nonostante il forte aumento percentuale di morti tumorali in provincia di Napoli e Caserta (dati studio Istituto Pascale), erano riusciti a ottenerlo solo a fine agosto 2012. Ma, a distanza di pochi giorni, era stata prevista l’abolizione per un disavanzo sanitario della Regione. A placare gli animi il varo di un decreto commissariale da parte del governatore Caldoro. Eppure, precisa Rivezzi, è importante l’istituzione di un Registro tumori perché dimostrerebbe «una correlazione con i venti anni di smaltimento di rifiuti tossici e industriali provenienti dal Nord che hanno inquinato moltissime zone delle province di Caserta e Napoli, oltre il diffuso smaltimento indifferenziato dei rifiuti nelle discariche». Prosegue aggiungendo: «Vogliamo i dati provinciali differenziati, per utili studi di correlazione con decine di problematiche territoriali e per confrontarli con i dati veterinari, sociali, delinquenziali e così via. Con questa struttura, inoltre, ci sarebbe meno rischio di manipolazione dei dati. Infine, si potrebbe finalmente programmare l’assistenza sanitaria e oncologica (molto scadente in Campania) e fare prevenzione».

Prevenire per curare non è solo uno slogan. Se il registro tumori è uno strumento essenziale al controllo dell’andamento delle patologie oncologiche – utile alla valutazione dei trattamenti terapeutici, dei programmi di prevenzione, e alla programmazione e ottimizzazione delle spese sanitarie – il dottor Terracini mette in guardia. «È vero che se ci fossero più Registri avremmo più dati, però nel momento in cui si decide di aprirne un nuovo prima di poter utilizzare i dati devono passare almeno cinque anni». Attenzione a non intendere la mancanza di Registro come scusa per non fare. «Anche in assenza bisogna approfondire le problematiche di salute locali, andare a studiare le statistiche di mortalità, sentire l’esperienza della gente che vive nel posto e così via. Non è l’unico strumento a disposizione». Ad esempio ci sono le schede di morte, «fonte altrettanto importante anche se di qualità meno buona rispetto al Registro».

Tante complessità attorno a uno strumento utile. «Attualmente il principale problema che affligge lo sviluppo quantitativo e qualitativo dei Registri in Italia, a parte le diffuse carenze di risorse, è costituito dalla perdurante mancanza di una legge che li riconosca e ne autorizzi il funzionamento nel rispetto dei principi sanciti dal Codice in materia di protezione dei dati personali, (Dlgs 196/2003)», sottolinea Ferretti. «Da ciò deriva l’attuale impossibilità di accedere a essenziali informazioni cliniche dei pazienti per la strutturazione degli archivi di incidenza, sopravvivenza e prevalenza». Il Parlamento è da tempo impegnato nella risoluzione di questo problema. Inserito nel decreto legge presentato dal ministro Balduzzi, è stato spostato dal ministro della Salute, in accordo con quello dello Sviluppo economico Corrado Passera, nel prossimo Decreto Sviluppo, rimandando così la risoluzione di questa annosa questione. 

A questo va aggiunto che il materiale fornito dal Registro tumori non viene sufficientemente utilizzato. «Si potrebbe usare di più e meglio da parte delle autorità sanitarie, dalle Asl, dagli osservatori epidemiologici, dal mondo della ricerca. In generale lo stesso personale del Registro tumori guarda con attenzione ai propri dati, ma si potrebbe fare di più nel senso che potrebbe esserci più attenzione», commenta Terracini.

Appare chiaro che solo una maggiore copertura territoriale dei Registri e una maggiore specializzazione della loro attività, con un miglioramento progressivo del monitoraggio di tutte le fasi di sviluppo e percorso assistenziale della malattia, offrirebbero all’ambito clinico e della sanità pubblica, strumenti di valutazione di impatto per assicurare efficacia ed efficienza delle diverse strategie di cura. Oltre che costruire una rete di monitoraggio all’altezza delle migliori esperienze internazionali. La salute ringrazierebbe.    

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