Un anno e un milione di firme non bastano a cambiare il Porcellum

Un anno e un milione di firme non bastano a cambiare il Porcellum

Esattamente un anno fa il comitato promotore del referendum anti-Porcellum consegnava in Cassazione un milione e duecentomila firme per abrogare l’attuale legge elettorale. Un’iniziativa nata pochi mesi prima, senza troppa pubblicità e senza il sostegno dei principali partiti. Sarebbe bastata l’adesione di cinquecentomila cittadini, ma tra agosto e settembre gli organizzatori riuscirono quasi a triplicare quella cifra. Se la Corte Costituzionale non avesse bocciato il referendum chissà, forse oggi gli italiani avrebbero già una nuova legge elettorale (il voto era previsto per la scorsa primavera).

E invece a un anno di distanza prosegue il balletto di finte intese, promesse e ripensamenti dei nostri politici. Anche quel giorno, davanti ai 200 scatoloni di firme portati in Cassazione, i partiti avevano preso un impegno solenne. Avevano assicurato che avrebbero riformato il Porcellum in tempi rapidi. In Parlamento, certo, perché quella era la sede adatta. Materia da costituzionalisti, mica da elettori. Si sono dimostrati incapaci. La riforma del Porcellum era l’unico grande obiettivo che la politica si era imposta – per tutto il resto era stato scelto un governo tecnico – non è riuscita a raggiungere neppure quello.

Disattese una dopo l’altra le decine di scadenze fissate nel corso dei mesi, domani i partiti riprendono le trattative. La commissione Affari costituzionali del Senato dovrà votare un testo base da presentare all’Aula. Le posizioni sono lontane. C’è chi punta sulle liste bloccate, chi sulle preferenze e chi preferisce i collegi uninominali. Le dichiarazioni del premier Mario Monti, che pochi giorni fa ha dato la sua disponibilità a un secondo mandato, hanno allontanato un accordo in extremis. I sostenitori del Professore adesso puntano su un impianto proporzionale, con un premio di maggioranza il più limitato possibile. Si cerca di rendere difficile l’affermazione di un candidato premier, per obbligare i partiti ad accordarsi in Parlamento dopo il voto. Una garanzia per le prospettive di un Monti bis.

D’altra parte chi teme un nuovo incarico del presidente del Consiglio punta su una legge diversa. Maggiore sarà il premio di maggioranza, minore la necessità di cercare alleati dopo le urne. Per chi si trova in questa condizioni, come il segretario Pd Pier Luigi Bersani, la soluzione più vantaggiosa sarebbe una conferma del Porcellum. Ma come si può difendere una riforma dopo averne chiesto per oltre un anno la cancellazione? In pochi disperano. Domani una bozza da approvare forse si troverà (ne sono state presentate una cinquantina). Ma non sfugge a nessuno che senza un accordo convinto da parte dei principali partiti, difficilmente la riforma supererà l’esame dell’Aula. Un’approvazione che a Montecitorio sarà ostacolata anche dall’eventualità di alcuni voti segreti. «Senza una maggioranza solida e senza un accordo politico – ha chiarito pochi giorni fa il presidente della commissione Carlo Vizzini – tutto questo dura l’arco di un giorno, finiamo diritto su un binario morto, come è successo per la riforma costituzionale».

Il rischio è quello di rimanere con il Porcellum. Non per scelta, sia chiaro. Ma per l’incapacità politica di trovare un’alternativa. A un anno di distanza la vicenda di quel referendum rende evidente la debolezza dei nostri partiti. E dire che la soluzione offerta al Parlamento era di facile attuazione. Il referendum proposto da Arturo Parisi, Italia dei Valori, Sinistra Ecologia e Libertà, Partito Liberale, Mariotto Segni e Unione Popolare proponeva semplicemente di abrogare l’attuale legge elettorale per tornare alla precedente. Il Mattarellum. Un sistema maggioritario che aveva già dimostrato di funzionare correttamente e di garantire l’alternanza (con quelle norme andarono al governo tanto il centrodestra che il centrosinistra). Un sistema elettorale che permetteva di scegliere i propri parlamentari con i collegi uninominali. Ma che dava anche la possibilità di conoscere il nome del vincitore la sera stessa delle elezioni. Un sistema forse non perfetto. Ma sicuramente meglio del nulla assoluto.  

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