Non solo tenevano in pugno e minacciavano l’assessore alla Casa Domenico Zambetti, scherzando pure sul suo stato di salute. Le cosche calabresi di stanza a Milano che lo avevano mandato al Pirellone, vendendogli i voti, insultavano i politici, chiedevano loro appalti e posti di lavoro in Expo 2015 e Aler, ma soprattutto raccontavano di come avessero in mano le istituzioni, da Bergamo fino a Rho, passando per i comuni dell’hinterland, per arrivare persino in piazza della Scala a Milano. La Lombardia era cosa loro. Della ‘ndrangheta, a tutti i livelli. Perché i partiti, da destra a sinistra si rendevano complici del loro gioco. È questo il quadro che emerge dall’ordinanza di custodia cautelare spiccata ieri contro 20 persone dalla procura di Milano.
Ha detto bene il pm Ilda Boccassini durante la conferenza stampa nella mattinata di ieri: «Il voto di scambio è«devastante per la democrazia, il procacciamento di voti provoca l’inquinamento dell’agire democratico di un Paese». Boccassini ha spiegato che è stato dimostrato «per la prima volta» su questo territorio l’esistenza del voto di scambio e soprattutto si è applicato «l’articolo 416 ter del codice penale che punisce chi chiede i voti alle cosche e in cambio paga». E Mimmo Zambetti era complice, perché «consapevole di rivolgersi a dei mafiosi per essere eletto nelle istituzioni lombarde», quasi come se la ‘ndrangheta fosse un’associazione di imprenditori: esempio, quest’ultimo, che fanno pure gli ‘ndranghetisti in diverse intercettazioni telefoniche.
È proprio tramite la pressione esercitata tramite il metodo mafioso che le organizzazioni criminali «si mettono nelle mani» i politici. Così è capitato, stando alle indagini della Dda di Milano, suffragate da prove fin troppo chiare, a Domenico Zambetti, a cui le cosche della ‘ndrangheta avrebbero procurato circa 4 mila voti in cambio di 200mila euro. Quattromila voti praticamente decisivi per l’elezione di Zambetti alle consultazioni regionali del 2010, che altrimenti avrebbe rischiato di non entrare al Pirellone, arrivando a occupare poi la posizione di assessore all’interno della giunta guidata da Roberto Formigoni.
A procacciare voti e, di conseguenza, favori, perché come ricorda Boccassini «nel momento in cui un pubblico funzionario si indirizza verso un gruppo criminale, resta conglomerato all’interno di un meccanismo ed è obbligato a restituire il favore», sono stati Giuseppe d’Agostino, appartenente alla cosca Morabito-Bruzzaniti, già coinvolto e condannato per traffico di droga nell’inchiesta sull’ortomercato e oggi gestore di alcuni locali notturni, e Costantino Eugenio del clan Mancuso di Palmi. I due si interfacciavano poi nell’hinterland di Milano con una vecchia conoscenza di quelle zone, cioè il clan Barbaro Papalia di Platì, dove faceva capolino anche la figura di Ambrogio Crespi, fratello di Luigi, l’ex sondaggista di Berlusconi condannato nel dicembre 2011 in primo grado a 7 anni per la bancarotta Hdc.
Così Zambetti paga 200mila euro, va ad insediarsi all’assessorato alla cosa della Regione Lombardia e da quel momento diventa, come vengono definite queste figure, «capitale sociale» della ‘ndrangheta. Per un momento è lo stesso Zambetti che prova a rifiutare il pagamento del dovuto, ma la consorteria criminale si fa subito sentire. Prima mostrando un «pizzino»: ricordando l’episodio, Costantino dice mentre si trova sotto intercettazione: «Piangeva (Zambetti, ndr)… per la miseria… si è cagato sotto, cagato completo… totale… Ogni tanto, solo così possiamo prenderci qualche soddisfazione, altrimenti non ne avrei mai nella vita soddisfazioni… perché il potere lo hanno i politici e la legge. Però ogni tanto vaffanculo, con l’aiuto degli amici una soddisfazione ogni tanto ce la prendiamo. Lui lo sai quante persone fa piangere? … e ogni tanto piangono anche loro, ma solo così, Ciro, non c’è altra alternativa che puoi farli piangere … ecco perché io sarò sempre dalla parte della delinquenza».
Nell’ordinanza firmata dal gip Alessandro Santangelo, i rapporti delle cosche con la politica ricorrono per tutte le 544 pagine del documento, così come si rincorrono anche i nomi di politici noti e meno noti. Ma è il modo in cui i boss trattano i secondi a impressionare. «Sti politici è merda, piccoli e grandi, sono uno peggio dell’altro», si legge tra le righe dell’ordinanza. Li chiamano «pisciaturi», li insultano, «li vogliono ammazzare», li cercano dopo averli votati per saldare il conto. Vogliono piazzare la figlia in un posto vicino casa perché «deve fare troppi chilometri la mattina».
E poi parlano del potere che hanno conquistato sul territorio. «Rho è il paese più interessante», spiega un certo punto Costantino parlando del voto nella città dell’hinterland milanese «che c’è, un paese ricco … c’è la Fiera … le cose …, tanto noi il tempo non lo sprechiamo questa volta, anche se dobbiamo perdere un paio di giorni, con le spese ci siamo … se gli sta bene, altrimenti se la può andare a prendere nel culo .. anzi gli faccio votare contro». Poi raccontavano che «volevano riprendersi Bergamo».
Era quasi un «lavoro» quello di raccattare voti. Aveva i suoi costi specifici. («5mila euro per 100 voti»). Costantino è esperto «guarda – riferisce al telefono mentre gli investigatori lo intercettano – io sto facendo parecchie campagne elettorali, e ti dico che ne sto vedendo di tutti i colori. Io per l’assessore (Zambetti, ndr) ho fatto la campagna elettorale per le provinciali, per quelle del comune di Milano, perchè dove ci sono mi chiamano ormai. Perché ormai – specifica – più che organizzare cene non si fa, non voglio esagerare ho forse organizzato duecento cene».
É sempre lui a far sapere degli oltre quattro milioni spesi in campagna elettorale per “l’assessore”. Incuriosita, l’interlocutrice chiede chi sia a pagare, «allora un po’ il partito diciamo se è la sinistra, se è il Pdl chi li paga siamo noi contribuenti e poi gli investitori e gli industriali perché hanno il loro tornaconto».
«L’Expo – esclama uno degli indagati – è una cosa milionaria!», chi va a comandare a Rho, prosegue più avanti, si prende il pacchetto più ricco che esiste in Lombardia. Così quando alle elezioni a Rho il centro-sinistra va al ballottaggio con la Lega Nord occorre puntare sul cavallo vincente, che pare essere il candidato sindaco leghista Fabrizio Cecchetti (oggi presidente del Consiglio Regionale, subentrato a Davide Boni, dopo le dimissioni in seguito alle indagini per truffa e peculato a suo carico). Si fa avanti allora il chirurgo Marco Scalambra, che oltre a operare negli ospedali opera pure dietro le quinte della politica del centrodestra lombardo
Avvicinano così l’esponente di una lista civica Marco Tizzoni per trattare un pacchetto di voti, anche se Monica Culicchi, in lista con lo stesso Tizzoni e in contatto con la persona che cerca il contatto con Tizzoni, dice che «i voti dei calabresi se li è comprati tutti il Pd». Tizzoni però rifiuta il pacchetto di voti della “lobby calabrese”, propostogli dal chirurgo Marco Scalambra. È con lo stesso Scalambra che viene coinvolto nell’inchiesta un altro politico: Alfredo Celeste, sindaco di Sedriano, finisce ai domiciliari accusato di corruzione proprio perchè sotto l’influenza di Eugenio Costantino e Marco Scalambra nella gestione amministrativa del comune di Sedriano.
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