Dai telefonini alle auto ibride, controllare le terre rare è determinante

Dai telefonini alle auto ibride, controllare le terre rare è determinante

Basta prendere in mano un qualsiasi manuale specialistico per venirne a conoscenza: la scarsità, intesa come insufficienza quantitativa di un bene in confronto al fabbisogno, è una delle condizioni di esistenza dell’economia. La scarsità di un bene o di una risorsa determina anche il prezzo che un operatore economico deve pagare per entrarne in possesso. Talvolta accade, però, che il bene venga definito non solo scarso, ma addirittura raro. Chi ne detiene il possesso gode, di conseguenza, di un grande potere di condizionamento all’interno del mercato.

Con l’espressione “terre rare” si intendono diciassette elementi della tavola periodica, utilizzati nella produzione di beni ad altissima tecnologia, come gli smartphone o le macchine ibride. Fino a qualche tempo fa si riteneva che il 90 per cento di questi minerali si trovasse in Cina. Lo scorso anno Pechino mise un freno all’export e i prezzi schizzarono verso l’alto, con una crescita a tripla cifra. Poi la bolla è scoppiata. Sono stati trovati nuovi giacimenti, l’offerta è aumentata, i prezzi sono crollati. Un esempio? Il lantano, utilizzato nelle batterie ricaricabili per auto ibride, è passato dai 5,15 dollari al chilo del gennaio 2010 ai 140 del giugno 2011. Adesso, però, il costo è di 20, 50 dollari al chilo, ed è destinato a calare ulteriormente.

Le terre rare non sono più così rare. L’aumento dei prezzi ha stimolato l’avvio di nuovi progetti minerari, in tutto il mondo. La Molycorp, la più grande azienda del settore, al di fuori della Cina, ha riaperto la miniera di Mountain Pass, in California, con un balzo della produzione da 3.500 a 20.000 tonnellate. L’australiana Lynas sta per lanciare un grande progetto in Malesia: ottocento milioni di dollari per una fornitura annua iniziale di 11.000 tonnellate, destinate a raddoppiare nel breve periodo.

La conseguenza è logica, come ricorda Michael Gambardella, analista di JP Morgan: «Siamo molto attenti alla dinamica dei prezzi delle terre rare, che sono in calo, perché le forniture crescenti di Molycorp e Lynas incontrano una domanda che non mantiene lo stesso ritmo».

A questo punto occorre fare una distinzione. Le terre rare sono chiamate così non tanto per la loro quantità, ma per le difficoltà oggettive nel processo di estrazione e separazione dei minerali, mescolati nei depositi, con una maggiore proporzione di elementi leggeri rispetto a quelli pesanti. Le terre rare cosiddette leggere, come il cerio e il lantano, in realtà, non sono affatto rare, anzi si stima che siano presenti in quantità maggiori rispetto ad altri minerali più noti, quali il rame. Il problema è che spesso risulta costoso separarle dagli elementi pesanti, come il disprosio, utilizzato nei reattori nucleari e negli hard disk dei computer.

Con l’ampliamento dell’offerta e il miglioramento delle tecniche di estrazione il futuro delle terre rare leggere è quello di uscire dalla nicchia di rarità e di attestarsi su prezzi piuttosto bassi. L’ossido di cerio, per fare un esempio, nel 2010 è schizzato alle stelle per via della decisione della Fob China di ridurre l’export, passando da 4,15 dollari al chilo a 150 dollari, nel giro di soli sei mesi. Oggi il valore si è ridotto a 21 dollari il chilo e la mossa della Molycorp produrrà ulteriori effetti. Edward Otto, analista di Cormark Securities, prevede che nel lungo termine il prezzo dell’ossido di cerio si attesterà sui cinquanta cent al chilo e quello dell’ossido di lantano ad un dollaro al chilo, lontano dai venti dollari attuali.

Il rallentamento dell’economia cinese, passata dalla crescita a doppie cifre degli ultimi venti anni al 7,5 per cento del 2012, è un’ulteriore causa della caduta dei prezzi, perché Pechino non è solo il primo produttore di questi minerali, ma anche il più grande consumatore. Anche il valore delle terre pesanti, come l’ossido di terbio, usato per le lampade a Led, è destinato a calare, seppure in maniera meno consistente. Ma la sfida lanciata da Australia e Stati Uniti ha soprattutto un altro significato: il Dragone non può più esercitare la propria arma di ricatto, perché il campo dei produttori si è allargato. Senza trascurare il lato del consumo: c’è chi, come la giapponese Toyota, sta cercando strade alternative alle terre rare, per evitare qualsiasi forma di dipendenza da Pechino. Un tentativo rispetto al quale le recenti tensioni tra i due Paesi non sembrano essere estranee. Così come non sembra estraneo a questo quadro che Pechino, come scrive oggi il Financial Times,  ha deciso di cambiare strategie, smettendo di porre restrizioni e anzi mettendo sul piatto dei sussidi, che il giornale della City stima fra i 35 e i 40 milioni di dollari, per ridisegnare il settore dando allo stato un controllo maggiore su prezzi e forniture.  
 

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