Ti svegli una certa mattina di novembre e vedi che c’è una bella ragazza appiccicata per tutta Roma. Mitragliate di manifesti, ordinatamente uno appresso all’altro, avvolgono le cancellate dei cantieri della metropolitana, ma in altri luoghi più raccolti il manifesto è unico come un fiore di campo. Lei ti guarda fiera e sorridente e ti rimanda a un ardimentoso proponimento, un po’ nipotino di una retorica sentimental fascista: «SENZA PAURA». Con tanto di hashtag «verso il futuro» e inevitabile comitato elettorale che risponde allo 06-70.49.46.50. E a che cosa dobbiamo questo impeto da cartellonistica politica? Ma alle primarie, baby.
No, non a quelle del centro-sinistra, di cui immaginiamo avrete avuto notizia. Proprio di quelle di cui non avete avuto ancora notizia, le primarie del Pdl (che non c’è più), e di cui probabilmente nulla riuscirete a sapere, stante la ferrea volontà del Capo di evitarsi una figuraccia epocale. E allora come è possibile che la Capitale intera, ancora ignara se l’oggetto misteriosissimo avrà mai una definizione pratica, sia già allegramente fasciata nel sorriso di Giorgia Meloni? Un minuto dopo la comunicazione di Angy Alfano, che sin troppo ottimisticamente ne dava conto, la macchina organizzativa del Meloni-day era già incredibilmente in moto e il sospetto è che lo fosse pienamente sin da quando il mumble mumble tra segretario e presidente era poco più di un’ipotesi.
Non nascondiamo un certo fastidio, quasi un’amarezza politica, per un’aggressione cartacea così mirata e diffusa, che lascia il sospetto che sacche di apparato – quel vecchio (e capillare) arnese organizzativo che segnava il tempo che fu – abbiano ancora pienissimo riscontro in certi ambienti. E la freschezza della candidata Meloni, che si presenterebbe come venticello abbastanza nuovo, mal si concilia con la disciplina militare con cui i cittadini della Capitale hanno dovuto «subire» la sua immagine appiccicata per tutta la città. Ci riporta ad altri tempi, ad altre sensibilità, ad altre costrizioni estetiche che pensavamo facessero parte di un’archeologia politica ormai gloriosamente in soffitta.
Persino le primarie del centro-sinistra, ma che più evidentemente riguardavano il Partito Democratico, non hanno giocato sulla protervia della cartellonistica, affidando ad altre piattaforme sociali il centro di una tenzone così delicata. C’è stato, da questo un punto di vista, un cambio di passo molto significativo nella pubblicistica elettorale, che potrebbe forse preludere al definitivo abbandono di un certo tipo di marketing. Il profumo antico del ciclostile e delle sezioni di partito è giusto faccia parte ormai di quei cari ricordi da affidare semplicemente ai racconti di chi c’era.
Ma poi c’è un duplice aspetto estetico-politico che un soggetto navigato come la Meloni dovrebbe tenere abbondantemente sotto controllo: il rischio che un sottile senso del ridicolo si depositi al fondo di un’iniziativa come quella di allagare Roma di manifesti, quando magari nulla di ciò che si annuncia mai accadrà, e soprattutto la sua (in)consapevolezza politica che l’ha portata a ignorare il grado di estrema diffidenza di Berlusconi nei confronti dello strumento primarie.
Tutto questo ci porta alla dolorosa conclusione che se non avessimo per la donna Giorgia Meloni, per il suo stile e per il suo garbo, un’altissima considerazione, questa operazione rischia di consegnarla ai cittadini come una vecchia ciabatta da vecchia politica.