Le leggi per definizione sono “generali e astratte”, non calibrate sul caso singolo. Ma non sempre è così. Dalle norme ad personam per Berlusconi a quelle nate sull’onda dell’emergenza sicurezza, sono molti i provvedimenti dettati dalla cronaca poi puntualmente censurati dalla Consulta. Una fine che potrebbe capitare anche alla cosiddetta legge “Salva-Sallusti” o, nella sua attuale formulazione, “Salva-direttori”.
Anche in questo caso il Parlamento ha deciso di legiferare in seguito ad un episodio isolato: la condanna di Alessandro Sallusti per aver pubblicato un articolo anonimo diffamatorio quando era direttore di Libero. Non avendo mai rettificato le notizie false diffuse, non avendo esercitato il controllo (prerogativa del direttore) su quanto pubblicava e dovendo rispondere direttamente per diffamazione – vista l’impossibilità di identificare l’autore del pezzo (firmato con lo pseudonimo Dreyfus) – la Cassazione il 26 settembre ha confermato la pena di 14 mesi di carcere all’attuale direttore de il Giornale. L’esecuzione della sentenza, scaduta sabato la sospensione, è attesa a momenti («ricevuto ordine di arresto domiciliare» ha detto oggi su Twitter Sallusti).
Per impedire lo scandalo di un giornalista che finisce dietro le sbarre per un articolo, i partiti politici nell’ultimo mese e mezzo hanno tentato di fare una rapida riforma del reato di diffamazione a mezzo stampa, eliminando il carcere.
Già nella sua prima stesura il provvedimento suscita tuttavia più proteste che consensi. Eliminato il carcere – da sei mesi a tre anni – la multa per la diffamazione viene aumentata nel suo massimo da meno di 2.600 euro a 50 mila, e nel suo minimo da 516 a 5 mila. Secondo molti giornalisti questo è nei fatti un bavaglio alle inchieste scomode per i politici. Ma non basta. Il 13 novembre un emendamento della Lega Nord, appoggiato anche dall’Api di Rutelli (due partiti coinvolti dallo “scandalo dei tesorieri”) e passato grazie ai franchi tiratori degli altri partiti, reintroduce la pena detentiva fino a un anno. E qui si capisce che il Re è nudo.
Con la reintroduzione del carcere, il provvedimento, pensato non per la generalità dei cittadini ma per uno in particolare, perde il suo scopo principale: tenere Sallusti fuori dalla galera. Il relatore Filippo Berselli (Pdl), propone un emendamento: si elimini il carcere, ma solo per il reato di “omesso controllo” a carico dei direttori. Nonostante il parere negativo del governo, il 22 novembre la modifica passa. Il sindacato dei giornalisti annuncia uno sciopero per lunedì 26 ma, a seguito delle rassicurazioni del presidente del Senato Schifani, decide di rinviarlo.
L’aspetto tragicomico della vicenda sta nel fatto che, anche se fosse approvata in tempo utile la legge ad direttorem, Sallusti rischierebbe comunque il carcere. Infatti è stato condannato non solo per l’omesso controllo, ma anche per diffamazione: in caso di autore anonimo, l’articolo si attribuisce al direttore. La tardiva confessione di Renato Farina – ex “agente Betulla” al soldi dei servizi segreti per diffondere notizie false e penna di Libero oltre che attuale parlamentare Pdl – di essere lui Dreyfus non è servita a cambiare la situazione.
È in questo contesto di confusione e rancore verso il mondo dell’informazione che sta maturando un provvedimento pericoloso. Con la legge attualmente in vigore si sono avuti solo tre casi, in tutta la storia dell’Italia repubblicana, di condanne al carcere: Guareschi, Jannuzzi e ora Sallusti. Nell’eventualità che venisse varata la riforma, anche eliminando la pena detentiva, si avrebbe un nuovo strumento di ricatto nei confronti dei giornalisti. Sanzioni economiche così elevate sarebbero un deterrente sufficiente in molti casi, specie in un mercato – quello del giornalismo – dove gli assunti, e tutelati anche legalmente, sono sempre meno.
L’idea poi di scindere il destino del giornalista da quello del direttore – carcere, non carcere – è illogica. Il direttore ha la competenza esclusiva e specifica di impartire le direttive politiche e tecnico-professionali del lavoro redazionale. Ha un potere di controllo e coordinamento molto invasivo a cui corrisponde una pesante responsabilità. Eliminarla può creare situazioni paradossali in cui si manda in prigione l’esecutore e non il mandante. E se si tratta non di mandante ma di controllore disattento, spesso è sufficiente una rettifica per evitare il rischio della galera.
Le conclusioni da trarre sono poche. Se questo Parlamento non è in grado di eliminare il carcere per la diffamazione senza scombinare gli equilibri dell’ordinamento, meglio che si astenga e lasci legiferare il prossimo, quando non ci sarà un caso singolo a pendere come una spada di Damocle sui lavori delle Camere. Per salvare Sallusti basta la grazia, non serve affossare l’informazione.