“Fateci un regalo per Natale: pena di morte per i gay”

“Fateci un regalo per Natale: pena di morte per i gay”

David Kato aveva 43 anni. Insegnante, attivista dello Smug (Sexual Minorities Uganda), è tuttora considerato il padre del movimento per i diritti gay nel suo Paese. Il 26 gennaio 2011, poco dopo le 13, mentre parlava al telefono con Julian Pepe Onziema, anche lui attivista, un uomo è entrato nella sua abitazione a Bukusa e l’ha colpito a martellate. È morto più tardi, in strada, mentre veniva trasferito al Kawolo Hospital, a 40 chilometri di distanza da Kampala, capitale dell’Uganda.

David Kato (in primo piano), attivista dei diritti gay, è stato ucciso in casa a martellate

Pochi mesi prima, nell’ottobre 2010, il tabloid scandalistico locale, Rolling Stone (solo un caso di triste e non gradita omonimia con il giornale americano che ha anche una versione italiana), aveva pubblicato la sua foto insieme a quella di altri novantanove omosessuali o presunti tali, sotto il titolo «Impiccateli». Fu omicidio (ancora senza reali colpevoli). Ma ora la condanna a morte di un omosessuale, per il reato di “omosessualità aggravata”, potrebbe diventare legge.

La vergognosa lista di proscrizione anti-gay con foto, indirizzi e l’invito: «Impiccateli!»

Il parlamentare David Bahati, dopo averla proposta nel 2009 (ecco il testo completo della legge anti-omosessualità), ha ripresentato il testo vergogna. La presidente del Parlamento, Rebecca Kadaga, ha precisato: «I cittadini vogliono la legge come un regalo di Natale. Ce lo chiedono. Noi vogliamo dar loro questo dono entro la fine dell’anno. È davvero grave la minaccia rappresentata dai gay; dobbiamo proteggere i nostri bambini». Il clima è teso, le associazioni Lgbt denunciano da anni linciaggi e in molti sostengono che il cancan sollevato dalla proposta serva anche a coprire gli scandali di corruzione in cui è coinvolto il governo.

Secondo un sondaggio del 2007 del Pew Global Attitudes Project (qua il documento completo), il 96% dei cittadini ugandesi ritiene che l’omosessualità debba essere estirpata dalla società. A soffiare sul fuoco omofobico, oltre alla chiesa evangelica locale (con alcune distinzioni interne), ci sono diversi pastori americani che hanno rinfocolato un già violento sentimento anti-gay. Il più noto è Scott Lively, presidente della Abiding Truth Ministries, organizzazione cristiana ultraconservatrice californiana. Tra le sue teorie, confessate al Daily Show, quella che «i nazisti non solo fossero gay ma si incontrassero in bar gay».

Bahati, l’autore della legge anti-omosessualità, ha ammesso che l’idea di proporla gli è venuta ascoltando proprio un sermone di Lively.
Nelle ultime settimane, a causa delle pressioni straniere e della mobilitazione internazionale, la condanna alla pena di morte sembrerebbe convertita in ergastolo: l’articolo dovrebbe essere stato rimosso in seduta di commissione. Ma le notizie sono contrastanti, il disegno potrebbe, da un momento all’altro, essere riproposto nella forma iniziale. La discussione resta aperta.

David Bahati, porta la sua firma la proposta di legge che prevede la pena di morte  per i gay

Nel testo originale l’omosessualità aggravata si configura nel caso in cui il colpevole «abbia reiterato il crimine» o quando un rapporto con una persona dello stesso sesso venga consumato sotto l’effetto di alcool o stupefacenti, da una persona sieropositiva e la vittima sia un minore o un disabile. Il semplice reato di omosessualità prevede, invece, la pena dell’ergastolo e include qualsiasi atto omosessuale.

Bahati dice, ora, che sarà esclusa la prigione per i familiari che non denunciano gli omosessuali alle autorità, come inizialmente previsto. In caso di approvazione, saranno revocati i permessi alle Ong che appoggiano campagne per i diritti civili e sarà automatica la richiesta di estradizione nei confronti di cittadini ugandesi “colpevoli” di rapporti omosessuali all’estero. Senza la pena di morte, ci sarebbero comunque pene detentive più severe rispetto alle attuali: le relazioni tra persone dello stesso sesso sono oggi punite con il carcere fino a 14 anni.

Il testo è stato definito lo scorso anno “odioso” dal presidente americano Barack Obama, che si disse «profondamente rattristato dopo l’omicidio di Kato, coraggioso testimone di valori di uguaglianza e libertà». All’epoca, il ministro per l’Etica e l’integrità, l’ex sacerdote cattolico Simon Lokodo, aveva avvertito i cittadini omosessuali: «Scordatevi i diritti umani. Soffrite in casa della vostra malattia».

La proposta anti-gay ha scatenato una serie di proteste da parte di leader mondiali, che hanno minacciato di sospendere gli aiuti in favore di Kampala. Il disegno di legge, oltre che dal governo americano, è stato condannato, tra gli altri, dai governi britannico, francese, svedese, tedesco e canadese. Proprio con questo ultimo i rapporti hanno rischiato di saltare del tutto. Ancora una volta protagonista la combattiva Kadaga, in un battibecco con il ministro degli esteri John Baird: «Se l’omosessualità è un valore per il popolo del Canada, questo non dovrebbe forzare l’Uganda ad abbracciarlo. Non siamo una colonia o un protettorato del Canada».

Ma i donatori internazionali sono importanti per la struttura economico-politica del Paese: gli Stati Uniti hanno fornito allo Stato africano oltre 500 milioni di dollari dal 2008 a oggi. Ecco il perché della posizione più cauta del presidente dell’Uganda, Yoweri Museveni (in carica dal 1986), omofobo ma in difficoltà a conciliare le pressioni della Chiesa evangelica, da un lato, con gli aiuti internazionali (qualcuno già sospeso).

In passato, Museveni aveva bloccato la legge. Nell’ultimo periodo, però, il pasdaran Bahati ha rincarato la dose, attaccando “l’imperialismo” responsabile dell’omosessualità in Africa: «Non ci faremo ricattare per pochi dollari». Il parlamentare spera in un’approvazione da parte del Parlamento entro il 15 dicembre e precisa: «La legge non danneggerà la gente, proteggerà i bambini ugandesi».

Aumenta, intanto, di ora in ora, la pressione su internet contro la proposta. Nelle ultime ore migliaia di persone in tutto il mondo stanno sottoscrivendo la petizione online dal titolo «È tornata, abbiamo solo poche ore per fermare l’orribile legge anti-gay in Uganda», promossa dalla web community Avaaz (qui il contatore delle firme). Sono quasi un milione le persone in tutto il mondo ad aver aderito.

«Chiediamo ai leader dell’Uganda e ai suoi maggiori Paesi partner di unirsi a noi nel condannare ogni persecuzione e di difendere i valori della giustizia e della tolleranza», si legge nel testo della petizione. «Questo disegno di legge non ci fermerà», ha detto Frank Mugisha, erede di Kato, direttore esecutivo dello Smug. «Continueremo a lottare fino a quando non saremo liberi. L’oppressione non ci sarà per sempre». Gli attivisti internazionali, da tempo, fanno rete con quelli ugandesi, il documentario Call Me Kuchu, presentato al festival di Berlino, per sostenere i diritti nella “Perla d’Africa”, si inserisce in questa campagna.

L’omosessualità è tuttora illegale in 37 Paesi del continente africano. L’ex Presidente del Sudafrica, Thabo Mbeki, a proposito della legge ugandese ha detto: «Quello che due adulti consenzienti fanno, non è una questione legale». Fa, infine, scalpore il caso di un produttore teatrale inglese, David Cecil, che rischia due anni per aver portato in scena a Kampala un’opera a tematica gay The River and The Mountain. Il processo è stato aggiornato al 2 gennaio. La speranza è che il dono di Natale di cui parla Kadaga non arrivi mai. 

David Cecil, produttore inglese, in carcere per aver portato in scena a Kampala uno spettacolo gay

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