Quasi 200 miliardi di euro. È questa la cifra su cui ballano le banche di Germania. Si tratta dei non-performing loan, i prestiti non performanti, in costante crescita da 2008 a oggi. E nessuno ha fatto peggio di Berlino nell’eurozona. Le autorità tedesche di vigilanza finanziaria minimizzano e rimarcano che non ci sono problemi. Ma intanto, le società di consulenza PricewaterhouseCoopers ed Ernst & Young mettono in guardia Berlino. E anche il Fondo monetario internazionale fa lo stesso, rimarcando che Deutsche Bank ha bisogno di nuovo capitale.
L’indagine di PricewaterhouseCoopers mette nero su bianco ciò che gli asset manager europei sanno da tempo. Le banche tedesche, dopo il crac di Lehman Brothers avvenuto nel settembre 2008, non hanno fatto ciò tutti gli altri hanno invece iniziato. Al contrario delle compagini internazionali, non hanno ancora iniziato del tutto il deleveraging, cioè il processo di dismissione degli asset. Come sottolinea PwC, le sofferenze bancarie sono in aumento. L’aspettativa è che nel corso del 2013 si superi agevolmente quota 200 miliardi di euro, circa il 5,5% degli asset complessivi. A fine luglio l’asticella si è fermata a 196 miliardi di euro. PwC ricorda poi che negli ultimi tre anni, le principali banche del Paese hanno dismesso solo 4,3 miliardi di euro di asset tossici. Diversa l’opinione di Ernst & Young, altra primaria società di consulenza. I 200 miliardi di euro sono già stati superati nel 2009 e si sta correndo verso quota 250 miliardi, circa il 6% del totale degli asset degli istituti di credito tedeschi. Per fare un paragone con l’Italia, secondo i dati diramati ogni mese dall’Associazione bancaria italiana (Abi), a fine luglio le sofferenze bancarie hanno toccato quota 114 miliardi di euro. Quasi la metà di quelle tedesche.
Non è preoccupata Elke König, presidente della Bundesanstalt für Finanzdienstleistungsaufsicht (BaFin), l’organismo tedesco di vigilanza bancaria. Durante l’ultima riunione dell’Istitute of international finance (Iif), la lobbyn bancaria, la König ha sottolineato che non ci sono e non ci saranno problemi per il sistema bancario tedesco. «I nostri requisiti di capitale sono elevati e non corriamo il rischio di shock di alcun tipo», ha spiegato di fronte una platea di banchieri. Il problema, tuttavia, non sono le banche più grandi. La König ha inoltre rimarcato che asset per 273 miliardi di euro, i titoli tossici di WestLB e Hypo Real Estate, sono già stati dismessi in due diverse bad bank. L’allarme di PwC e Ernst & Young è però chiaro: questo non basta ancora. Eppure, ci sono due situazioni differenti in Germania.
Deutsche Bank ha bisogno di migliorare la propria situazione patrimoniale. È l’unica banca tedesca considerata fra le Global systemically important banks (G-Sib) dal Financial stability board (Fsb), l’organo globale di sorveglianza finanziaria guidata da Mark Carney, governatore della Banca centrale del Canada. Ed è una delle quattro banche che dovranno aumentare del 2,5% il proprio capitale di protezione dagli shock, insieme a Citigroup, HSBC e J.P. Morgan Chase. Secondo il Fsb, se crollasse Deutsche Bank le implicazioni potrebbero essere sistemiche. Ecco perché il Fsb ha chiesto che la banca guidata da Anshu Jain e Jürgen Fitschen, i due co-amministratori delegati, porti al 9,5% la quota di capitale di vigilanza entro i prossimi anni.
C’è poi la situazione più spinosa, quella delle Landesbank, le banche regionali. Secondo l’analisi di PwC, non sono chiare le possibile sofferenze di questo settore. Lo stesso problema ravvisato dal Fondo monetario internazionale (Fmi) alcune settimane fa, durante la presentazione del Global financial stability report. Intanto, nei mesi scorsi Berlino ha riattivato, in via del tutto cautelativa, il SoFFin (Sonderfonds Finanzmarktstabilisierung), il fondo governativo a protezione delle banche tedesche nato dopo il crac di Lehman Brothers. Secondo l’associazione delle banche tedesche, Bundesverband deutscher Banken (Bdb), «i problemi delle Landesbank non sono sistemici e sono ampiamente gestibili».
Le possibili vie sono quattro. La prima è quella di un deleveraging autonomo. Se le banche tedesche iniziassero a dismettere gli asset cattivi e scendessero sul mercato dei capitali per rafforzarsi, il processo potrebbe essere alleviato dalla presenza delle finestre di liquidità date dalla Banca centrale europea (Bce) tramite le due operazioni di rifinanziamento a lungo termine (Long-term refinancing operation, o Ltro). Ma, come spiegano fonti bancarie, è possibile che gli asset tossici siano praticamente non prezzabili, quindi impossibili da cedere. C’è poi l’opzione del SoFFin, che lavorerebbe insieme alle singole banche. Da un lato il SoFFin ricapitalizza, dall’altro gli istituti di credito creano una serie di bad bank per alleggerire il peso degli asset non performanti nei bilanci. In alternativa, nel caso non si voglia attivare il SoFFin, le banche potrebbero raccogliere capitali sul mercato tramite strumenti ibridi, come i Cocos (Contingent convertible capital bond), obbligazioni convertibili in azioni allo scattare di un dato evento. Infine, la soluzione più suggestiva: la ricapitalizzazione diretta da parte del fondo salva-Stati European stability mechanism (Esm). Questa via è stata però esclusa a più riprese dal cancelliere tedesco Angela Merkel, anche durante l’ultimo Consiglio europeo. Non è però detto che, una volta finita la tornata elettorale prevista per l’autunno 2013, non possa cambiare idea. Dipende tutto da quanto sono estese le sofferenze delle banche tedesche.