Un’esortazione accorata a rifiutare il ruolo di chi reprime e colpisce i ragazzi in corteo contro una vita priva di speranza, a smettere di bastonare i giovani in lotta contro le cause del disastro sociale provocato dagli uomini del Palazzo. Proprio quei corrotti e condannati in giacca e cravatta, ricchi di privilegi intollerabili, che gli agenti in divisa hanno fino a oggi protetto dalla rabbia popolare. Così Beppe Grillo si rivolge ai poliziotti all’indomani degli scontri violenti con i manifestanti scesi in strada contro le politiche di austerità imposte a livello europeo. La lettera aperta, che si chiude con l’invito a scegliere tra la tutela del potere e la comprensione delle ragioni dei cittadini, sta riscuotendo sul blog animato dal comico ligure una valanga di adesioni illuminanti delle tendenze di fondo di una parte rilevante e attiva dell’opinione pubblica. Risposta che non può essere liquidata in modo sommario come l’ennesimo intervento demagogico e distruttivo da parte del leader delle Cinque Stelle. Soprattutto se i fautori della condanna delle sue parole sono gli esponenti di un ceto dirigente che oggi focalizza, ed esaurisce, la propria attenzione sulla data delle elezioni del 2013. Ed emette silenzio sulle tematiche emerse in maniera conflittuale nelle strade di tante città italiane.
A riflettere con il nostro quotidiano sul significato di tale palese e radicale lontananza di mondi e di linguaggi è il politologo dell’Università di Milano Giorgio Galli, tra i più acuti studiosi dell’intreccio tra dinamiche sociali, correnti ideologiche e fenomeni politici nella storia repubblicana.
Come giudica il contenuto della lettera di Grillo al poliziotto in divisa?
Gli appelli lanciati dal comico ligure sono propri del patrimonio storico-culturale della sinistra politica tradizionale che, almeno fino all’inizio delle proteste del 1968, esortava parte dell’apparato repressivo a rifiutarsi di sparare contro la folla dei manifestanti impegnati nelle grandi lotte sociali. Si tratta degli appelli che Pier Paolo Pasolini aveva corretto e arricchito con la sua celebre poesia dedicata ai disordini di Valle Giulia e allo scontro fratricida tra gli studenti figli della borghesia urbana e gli agenti in divisa figli dell’Italia proletaria e contadina del Mezzogiorno. Ma si tratta soprattutto di appelli che ora le forze progressiste, politiche e sindacali, non fanno più. Proprio a partire dall’esplosione dei movimenti del ’68, la sinistra tradizionale scelse di porsi come nobile garante a difesa dell’ordine democratico costituito. E per questo motivo divenne bersaglio polemico privilegiato delle battaglie degli studenti. Una realtà analoga a quella emersa ieri pomeriggio nelle nostre città. Ritengo che Grillo voglia ottenere un consenso significativo nelle aree più radicali e battagliere della sinistra, proprio nel momento in cui le sue campagne politico-mediatiche vengono accusate di favorire con la loro impronta qualunquista le posizioni della destra reazionaria.
Nel testo scritto dal leader delle Cinque Stelle riscontra affinità con i versi dedicati da Pasolini al poliziotto di Valle Giulia?
Su Repubblica alcuni analisti hanno osservato come oltre quarant’anni fa il poeta e regista parlasse a favore degli agenti poveri contro gli studenti ricchi e privilegiati scesi in piazza. Come ebbi modo di scrivere nel mio libro “Pasolini comunista dissidente”, la sua riflessione lirica in realtà non rifletteva un’ostilità verso lo spirito e le ragioni delle proteste avviate nel ‘68, ma esortava a comprendere lo stato sociale in cui era nato e cresciuto il poliziotto che si trovava dal lato opposto della barricata. Non vi era alcuna contraddizione con la sua simpatia per le manifestazioni studentesche. Iniziative che, come evidenziò lo stesso scrittore, “avevano avuto il merito di risvegliare sindacati che dormivano”. Oggi la realtà è ben diversa. Vi sono poliziotti poveri contrapposti a studenti precari in una guerra fra ceti disagiati, nel momento in cui la corruzione dilaga a ogni livello istituzionale e vengono pagate liquidazioni spaventose ai manager delle banche. Grillo riesce a interpretare il malcontento e la rabbia popolare che ne scaturiscono, meglio di tutti gli altri soggetti presenti sulla scena pubblica.
Leggendo i commenti e gli interventi pubblicati sul blog del comico ligure in calce alla sua lettera-appello colpisce l’enorme quantità di valutazioni favorevoli ed entusiastiche. Riscontra una possibile similitudine con le iniziali manifestazioni di simpatia che accompagnarono le prime azioni dimostrative delle Brigate Rosse?
Non credo sia possibile e corretto stabilire un paragone del genere. Il clima politico-sociale era molto diverso e le iniziative delle Br, che facevano trovare incatenati ai cancelli delle fabbriche i dirigenti e i quadri di azienda, si inserivano in un alveo culturale e ideologico pienamente marxista leninista. A cui era improntata l’intera strategia e metodo di lotta dei gruppi armati. Le manifestazioni popolari da cui trae spunto anche il documento di Grillo sono ribellioni spontanee provocate da condizioni materiali intollerabili, fatte di licenziamenti, precariato, problematiche e disagi legati al mondo scolastico.
Rispetto alle implicazioni politico-sociali di respiro sovranazionale emerse nelle proteste e negli scontri di piazza in numerose città europee, la politica ufficiale italiana oggi si arrovella attorno al dilemma dell’election day. È possibile che le formazioni partitiche tradizionali regalino al comico ligure il monopolio mediatico sui temi che contano davvero?
Nella gran parte del ceto politico nazionale più avveduto prevale la convinzione che elezioni costituiranno una soluzione valida ed efficace ai problemi economico-sociali più gravi, e che il voto della prossima primavera produrrà un governo stabile, forte e legittimato dalla volontà popolare in grado di affrontare in profondità le ragioni della crisi in corso. Una consapevolezza ragionevole e giustificata, anche se sarà necessario tenere conto della legge elettorale che sarà approvata. Rilevo tuttavia che lo scollamento tra le dinamiche di Palazzo e la drammaticità delle condizioni reali di vita è impressionante, e che l’assenza di attenzione e sensibilità verso il mondo non privilegiato più colpito dalla crisi può condurre a sbocchi preoccupanti.
Anche il Partito democratico sembra scontare un ritardo su questo versante.
Il gruppo dirigente del Pd si è formato alla scuola e nell’esperienza storica del Partito comunista italiano di Enrico Berlinguer. Forza che, dopo un atteggiamento ostile verso i movimenti di protesta a cavallo fra gli anni Sessanta e Settanta, definiti superficialmente “piccolo-borghesi”, capì che essi esprimevano un disagio reale e che la loro iniziativa avrebbe potuto rivelarsi utile alla propria causa. Sinceramente non so se gli uomini del Nazareno seguiranno lo stesso percorso dei loro padri politici. Certo, le dichiarazioni di Piero Fassino, che in merito agli incidenti avvenuti ieri a Torino parla di “azioni squadriste da parte dei manifestanti contro le forze dell’ordine”, vanno in direzione opposta. Ritengo comunque che nella sinistra esistano le sensibilità adeguate per dare risposta politica a tali espressioni di rabbia e protesta.
Ma le Cinque Stelle sono in grado di canalizzare una simile spinta emotiva in una proposta politica positiva?
È uno dei grandi interrogativi della stagione elettorale che si sta aprendo. Concerne un punto cruciale, e tocca ciò che non ha realizzato il movimento del 1968. Perché quel fenomeno, dotato di un’indubbia capacità di mobilitazione popolare e di selezione di quadri dirigenziali validi, non è riuscito a trasformare la protesta in un progetto. E pertanto ha subito una paurosa involuzione nel velleitarismo o nella spirale della violenza. Non sono però in grado oggi di fare previsioni sul Movimento Cinque Stelle. Non lo conosco, soprattutto a causa dei canali informatici sui quali avviene il reclutamento del suo ceto politico. Il tipo di rappresentante grillino che in diverse occasioni vedo e ascolto mi appare seriamente intenzionato ad agire in maniera costruttiva. Se ciò costituisca la cifra distintiva dell’intero gruppo dirigente è altro discorso.