Il caso Aosta, cosa succederebbe se in Italia si votasse sugli inceneritori?

Il caso Aosta, cosa succederebbe se in Italia si votasse sugli inceneritori?

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I commenti a caldo del dopo vittoria da parte degli esponenti del sì. Da Aosta Sera 

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AOSTA – La Valle d’Aosta è la regione più periferica d’Italia, ma qui si sta consumando una battaglia su temi centrali. Salute, libertà, strumenti di democrazia diretta… c’è di tutto in ballo nella tesa campagna elettorale alla vigilia del referendum di domenica 18 novembre. Un referendum nato contro la costruzione di un pirogassificatore per lo smaltimento dei rifiuti aostani, ma che è diventato, ormai, battaglia culturale e politica a tutto campo. Con due spauracchi evocati di continuo dai contendenti: il cancro e Napoli. «Se sarà costruito», dice chi è contrario all’impianto, «aumenteranno a dismisura i casi di tumore». «Falso», rispondono i partiti al governo della Valle, «se lo bloccherete, saremo sommersi di spazzatura, come in Campania».

«On ne pourra gouverner la Vallée d’Aoste, sans l’Union ou contre l’Union». Parole di Sévérin Caveri, storico primo presidente dell’Union Valdôtaine, pronunciate subito dopo la guerra. Ancora oggi, niente scappa a questa logica. E ogni battaglia, su qualunque tema, finisce per trasformarsi in un plebiscito pro o contro il movimento autonomista.

La sede dell’Union è una villetta a mattoncini rossi in avenue des Maquisards (viale dei Partigiani). All’ingresso la pala è pronta per la neve (la prima imbiancata è arrivata il 28 ottobre). Il presidente Ego Perron non ha dubbi: «Questo referendum è totalmente politico. È un voto contro l’Union Valdôtaine e contro la Valle d’Aosta. Per questo, assieme ai nostri alleati (Fédération Autonomiste, Stella Alpina e Pdl) abbiamo chiesto di non andare a votare, perché in democrazia astenersi è un diritto. Tanto è vero che, per le consultazioni referendarie, è previsto un quorum».

Il tipo di referendum utilizzato da chi contesta il pirogassificatore fu approvato, nel 2003 (legge 19, poi modificata nel 2006), proprio mentre lui era presidente del consiglio della Valle (lo è stato dal 2002 al 2008). Frutto dei particolari poteri dell’autonomia, si tratta di un referendum propositivo (è previsto anche nelle province autonome di Bolzano e di Trento), con un quorum del 45% degli aventi diritto (il tetto è dunque fissato a circa 45mila valdostani).

Perron non si dice pentito di aver creduto in quello strumento di democrazia diretta. Ma si lamenta per come è stato utilizzato: «Fin dal 2007 (anche allora chiedemmo il non voto, e alle urne si presentò solo il 27% degli elettori), lo spirito del referendum è stato stravolto e tradito. Lo usano come una clava contro di noi, per mettere in difficoltà il nostro partito, che da sempre amministra questa regione. E, nonostante sia propositivo, lo piegano rendendolo abrogativo, usandolo per cancellare decisioni già prese dalla Giunta e approvate a larghissima maggioranza dal Consiglio».

In questo caso, ad esempio, il progetto di costruzione del pirogassificatore sarebbe stoppato con l’inserimento di un comma nella legge regionale sulla gestione dei rifiuti (la 31 del 2007). Eccolo:

In considerazione delle ridotte dimensioni territoriali della regione e dei limitati quantitativi di rifiuti prodotti, in conformità agli obiettivi di cui all’articolo 10, comma 1, al fine di tutelare la salute e di perseguire criteri di economicità, efficienza ed efficacia, nel ciclo integrato dei rifiuti solidi urbani e dei rifiuti speciali non pericolosi, non si realizzano né si utilizzano sul territorio regionale impianti di trattamento a caldo quali incenerimento, termovalorizzazione, pirolisi o gassificazione.

«Se oggi i valdostani sono nella condizione di votare su simili temi»,  insiste Perron, «lo devono al nostro movimento. Governiamo da sempre questa regione, se noi non lo avessimo voluto, questo strumento democratico non sarebbe diventato legge. Credo che i miei concittadini saranno responsabili e non andranno alle urne, capendo che il referendum è usato in maniera non corretta, con un quesito tendenzioso, da persone che fanno del terrorismo psicologico parlando di cancro, di parti prematuri, di deformazione dei feti… Lo ripeto, noi governiamo questa regione. Abbiamo oltre 1.800 amministratori locali. Abbiamo una grande maggioranza in consiglio e a grande maggioranza abbiamo scelto il pirogassificatore. Siamo pazzi? Siamo criminali? No. Sappiamo – come tutti quelli che sono in buona fede e non spinti da volontà di strumentalizzazione politica – che è una scelta sicura. Che non esiste scientificamente nessuna correlazione né con il cancro né con altre malattie. E che è l’unica scelta possibile. In linea con le migliori tecnologie dei Paesi del Nord. Lo dico con rispetto del Sud, ma siamo andati a vedere come funziona in Norvegia, in Svezia, in Germania, non a Napoli…».

«Se questo referendum dovesse mai passare si aprirebbe un dramma. Entro due anni, massimo tre, la discarica di Brissogne sarà piena e non sapremo più dove conferire la spazzatura. Saremo totalmente sprovvisti di alternative. Un piano B non c’è e non ci può essere (lo ha ribadito anche il presidente della Regione, Augusto Rollandin, ndr). Finiremo come a Napoli. Non solo. Ormai il processo di aggiudicazione, sia per la costruzione che per la gestione ventennale, è avviato. È una sorta di project financing, e le ditte che hanno presentato i progetti e vinto hanno lavorato duro. Non ci si improvvisa a questi livelli, e non è come chiedere un preventivo a un artigiano. Sicuramente esigeranno dei danni, delle penali salate. L’investimento della Regione è di 225 milioni di euro, tra costruzione, gestione ventennale e chiusura definitiva della discarica di Brissogne».

Perron rifiuta anche la contestazione di merito sul fatto che il pirogassificatore, essendo onnivoro e necessitando di grandi quantità di rifiuti, non andrà certo nella direzione di aumentare la raccolta differenziata e la riduzione dei rifiuti. «Lo ammetto: sulla differenziata, in Valle d’Aosta, siamo indietro. Ma bisogna fare anche i conti con la realtà. Non con gli slogan sui rifiuti zero che tanto piacciono alla sinistra radicale. Non funziona neanche in Svezia! E poi noi abbiamo il problema dei picchi del turismo. Molte località invernali hanno popolazioni di turisti spesso tre volte più numerose dei residenti, in certi momenti dell’anno. E chi è in vacanza ha meno propensione, un po’ rilassato com’è, alla differenziata… Possiamo migliorare, certo, ma non di molto. Il resto è utopia, o cattiva coscienza di chi trova anche in questo un modo per screditarci».

In risposta a quello dei referendari (Valle Virtuosa) è stato creato un comitato pro gassificatore e pro astensione: Valle Responsabile. Spingono sul fatto che «non andare a votare è un diritto» e stanno tappezzando i muri di manifesti in cui un bel campo di calcio diventa una discarica abusiva. Eccolo:

Coordinatore di Valle Responsabile è Luigi Sudano, un medico nato a Tivoli nel 1952, direttore dei servizi attività vaccinali della Ausl Valle d’Aosta. «Basta con le bugie! Questo chiediamo al comitato che ha promosso il referendum», inizia, dopo aver raggiunto Perron nella sede dell’Union Valdôtaine. «Basta cavalcare l’onda di paure basate sull’ignoto e sull’ignoranza! Ho racimolato 86 docenze nel campo della vaccinazione e dell’immunologia in varie università italiane, e non mi faccio raccontare da qualche ragazzino di vent’anni o da qualche adulto spinto da volontà pretestuose che il pirogassificatore fa venire il cancro!».

«Hanno stufato. Portano in Valle Stefano Montanari, uno che si autodefinisce ricercatore e lo trattano come un guru». E tira fuori un foglio dove ha copia-incollato alcune delle frasi del Montanari, dottore in farmacia ora direttore dell’istituto privato Nanodiagnostics, che in passato fu portato alla ribalta da Beppe Grillo per le sue ricerche sulle nanoparticelle inquinanti. «Ecco», prende a leggere Sudano. «Sentite cosa scrive: “Il che significa che è sicuramente, per definizione stessa, patogenico, cioè capace di innescare una malattia”. Patogenico? E che ricercatore è? Si dice patogeno o patogenetico, semmai. Non solo. Sentite questo passaggio: “Non abbiamo una casistica sufficiente ma, a lume di buon senso, si può pensare che una presenza estranea in un punto così delicato di una cellula…”. A lume di buon senso? E da quando in qua la scienza prevede il buon senso?» 

«Montanari è ideologico» attacca ancora Sudano, «le sue sono speculazioni. Io so, da uomo di scienza, che la vera cultura è nelle imprese, che nelle università si fanno solo prove sul campo delle ricerche e delle innovazioni partorite da aziende private. Lui, invece, ha l’approccio di quelli che vedono sempre dietro la lobby, l’interesse privato… Scrive in O i rifiuti o noi: “Molto dipende dall’atteggiamento di chi ci governa e chi ci governa non ha spesso le conoscenze tecniche necessarie per scegliere con serenità e oculatezza. E poi, siamo tutti uomini di mondo e non ci sfugge il fatto che l’uomo politico resta un uomo e l’uomo è preda di tentazioni, tentazioni che, purtroppo, diverse lobby profondono a piene mani”».

Sudano tira anche fuori uno studio del Politecnico di Milano, Emissioni di polveri fini e ultrafini da impianti di combustione. «Leggetevi questo», raccomanda, «ci sono dietro gradi nomi, grandi professori. E quali sono le conclusioni? Che a livello di polveri sottili, di cui tanto i referendari si riempiono la bocca, “le concentrazioni rilevate all’emissione dei termovalorizzatori risultano generalmente collocate sugli stessi livelli, quando non addirittura inferiori, a quelli presenti nell’aria ambiente. Per tutti gli impianti indagati le concentrazioni misurate risultano sistematicamente inferiori di almeno due ordini di grandezza rispetto a quelle rilevate per la combustione di legna e gasolio in caldaie civili e di poco superiori a quelle prodotte dalla caldaia a gas naturale”».

«Sa cosa ho fatto, poi? Sono andato, pagando di tasca mia, a Brescia, all’inceneritore. Siamo saliti su con un tecnico per monitorare le emissioni del camino. Il rilevatore non funzionava, diamine! Allora siamo scesi giù – e sono quasi 60 metri di scalini! – a prenderne un’altro. Ancora niente. Il ragazzo che era con me è tornato al camioncino a prenderne un terzo. Io mi sono acceso una sigaretta. Quando è tornato, il rilevatore ha rilevato eccome: ma il mio fumo! Funzionavano anche gli altri, ma l’inquinamento del termovalorizzatore era più basso di quello della mia sigaretta; impercettibile. Tutto questo per dire che ci si può fidare assolutamente di questa tecnologia. E anche i referendari farebbero meglio a fidarsi, e a non lamentarsi troppo della Valle d’Aosta. Chi non conosce altre realtà, è meglio che non giudichi quella in cui vive».

Intendono giudicarla eccome, invece, la realtà, quelli del comitato Valle Virtuosa. Hanno raccolto le firme necessarie (ne servono oltre 5mila; loro ne hanno portate 8mila) e superato più tentativi di bloccare il referendum, dopo che la Commissione regionale preposta lo aveva dichiarato ammissibile (vedi il parere di ammissibilità).

A raccontare il tribolato iter è l’avvocato Lorenza Palma. «Prima ha fatto ricorso contro la decisione della Commissione la Asso-consum onlus, organizzazione di consumatori di Roma. Fino a una settimana prima non avevano neppure una sede da noi, poi ne hanno aperta una in tutta fretta. Presidentessa è Daniela Perrotta, vicina a un ex deputato del Pdl. Non gli è andata bene, e dopo sono spariti. Ma a quel punto è entrata in scena l’Anida, l’Associazione nazionale imprese difesa ambiente, organizzazione di categoria che raggruppa anche alcune delle ditte che dovrebbero costruire il pirogassificatore. Hanno chiesto pure loro la sospensione e poi di entrare nel merito. Il Tar si è dichiarato incompetente a favore del Foro di Aosta. Il Tribunale, il 30 ottobre, ci ha dato ragione nel merito. Loro sostenevano che il referendum fosse inammissibile perché riguarda materie ambientali, escluse dalla legge referendaria. Il giudice ha confermato invece la nostra linea: qui non si tratta di ambiente, ma di tutela della salute».

In Valle Virtuosa ci sono una ventina di medici. Uno è Sauro Salvatorelli. È nato a Roma nel 1952 ma vive in Valle d’Aosta (a Quart, dove è anche consigliere comunale) da ormai trent’anni. È un anti pirogassificatore della prima ora. «Un impianto del genere sarebbe una rovina. Col suo camino di 60 metri sputerebbe metalli pesanti, diossina e nanoparticelle. Anche ammettendo che vengano emesse entro i limiti di legge, qui si creerebbe sicuramente un pericoloso effetto cumulo, a causa del particolare microclima della regione, con il fenomeno dell’inversione termica presente per oltre cento giorni all’anno, e la conseguente mancanza di ricambio d’aria. Rimanendo in circolo, a causa del ristagno, tutti quegli inquinanti precipiterebbero al suolo con la prima pioggia, e tramite i foraggi e gli ortaggi, entrerebbero nella catena alimentare. Secondo tutti gli studi scientifici, sia le diossine che le nanopolveri che gli idrocarburi policiclici sono fortemente cancerogeni. La scienza è dalla nostra parte, date un’occhiata qui ai documenti che abbiamo messo assieme per quanto riguarda i danni alla salute. Non ci stiamo a farci dare degli allarmisti o degli ecoterroristi, né tanto meno accettiamo che dicano che siamo spinti da un movente politico».

Salvatorelli e gli altri del comitato stanno girando tutta la Valle ed entro la fine della campagna elettorale avranno tenuto incontri in ognuno dei 74 Comuni valdostani. «Siamo stati persino a Chamois», racconta, «in Valtournenche, unico Comune dell’Italia continentale non raggiungibile in automobile, ma solo a piedi o in funivia. Sono venuti in cinque ad ascoltarci. A La Magdeleine solo in due, una coppia di fidanzati. Ma a volte vengono anche 20 o 30 persone. Noi spieghiamo come dal punto di vista della legge il pirogassificatore è equiparato a tutti gli effetti a un inceneritore come “industria insalubre di prima categoria”. Diciamo che è un inceneritore che funzione in due stadi: prima i rifiuti vengono riscaldati per produrre del gas (syngas) che poi viene bruciato. Non esistono informazioni scientifiche su una minore tossicità delle emissioni generate da impianti di combustione di questo tipo. Il processo di pirogassificazione ha tutte le criticità del trattamento di materiali non omogenei, quali sono i rifiuti solidi urbani. In Italia non esiste un solo pirogassificatore dedicato all’incenerimento dei rifiuti solidi urbani. Quello in progetto per Aosta sarà pertanto un impianto sperimentale. Con tutti i rischi che questo comporta».

Le sezioni valdostane di Slow food, Arci, Legambiente e molte altre organizzazioni ecologiste sono per il sì al referendum. Il comitato gode anche dell’appoggio del Movimento 5 Stelle e dei partiti di sinistra: gli ex Union Valdôtaine dell’Alpe, il Pd (che nelle regioni dove governa appoggia la costruzione dei termovalorizzatori), l’Idv, che sui manifesti mette una maschera a gas e definisce il pirogassificatore addirittura «letale».

Altro volto simbolo del no al pirogassificatore è quello di Fabrizio Roscio. Fisico, ha lavorato all’Arpa, e ora insegna fisica ai ragionieri di Aosta. «Qui abbiamo il privilegio di poter decidere», dice. «Sessanta chilometri più a Sud, in Piemonte, se lo dovrebbero beccare e basta l’inceneritore, perché non hanno il referendum. Speriamo che le persone ragionino con la loro testa e non seguano i diktat dell’Union. Purtroppo le pressioni ai seggi saranno forti. Piazzeranno i sindaci fuori, controlleranno chi va. E la gente ha paura, perché un giorno potrebbe avere bisogno di un favore, di un aiuto. Il potere dell’Union è capillare.
Qui è molto peggio che al Sud. Ci vorrebbe l’Onu ai seggi. Eppure siamo ancora in tempo a non fare l’errore: non dovremmo nemmeno pagare penali perché l’aggiudicazione è solo provvisoria».

Roscio insiste sugli scenari alternativi. Sulla diminuzione dei rifiuti, l’aumento della differenziata, la lavorazione a freddo. Sostiene che il piano da lui messo in piedi darebbe, senza nessun bisogno di bruciare la spazzatura, circa cento anni, o almeno 70, di autosufficienza alla regione. «Ora produciamo circa 47mila tonnellate l’anno di rifiuti indifferenziati. Dovremmo puntare a ridurli a 20mila. Invece così ne mancano 13mila per portare il pirogassificatore a pieno regime e finirà che dovremo importare spazzatura, invece di diminuire la nostra come ci chiede la Ue».

«Io non ci sto», si accalora, «a pensare che i valdostani siano tarati geneticamente, e incapaci di fare la raccolta differenziata. Qui da noi abbiamo raggiunto il 44% nel 2011 (era il 41,6 l’anno prima e il 39,8% nel 2008), ma il 65% che la Ue vorrebbe entro il prossimo 31 dicembre resta lontanissimo. Perché a Ponte nelle Alpi (Belluno) hanno raggiunto l’87,7% del totale? Perché a Treviso funziona benissimo, perché ci sono cento Comuni italiani, con capofila Capànnori, che credono nel programma rifiuti zero? Invece loro ci vogliono far passare da ingenui. Ci dicono, come ha fatto un assessore, “voi avete dichiarato guerra al mondo in cui vivete”. Noi siamo stufi di questa teoria del danno inevitabile. Di questo modo di porre le cose, per cui il mondo è questo, le soluzioni queste e obbligate, e bisogna prendere il pacchetto completo, oppure si è degli “isterici facilmente impressionabili”. Lo dicevano anche a chi lanciò l’allarme amianto o a chi denunciava i problemi all’Ilva di Taranto. Poi il 18 vedremo, se si può davvero cambiare qualcosa, almeno noi che abbiamo la fortuna di avere il referendum propositivo».

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