La risorsa dell’Italia sono le sue banche e i suoi cittadini. Almeno per ora. Il 2012 sarà ricordato come quello del consolidamento della fuga degli investitori esteri dal debito italiano. La quota di debito pubblico detenuto dagli esteri è crollata al 35 per cento nell’arco di poco più di un anno. Sono gli italiani che comprano i bond italiani, come succede in Giappone da diversi anni. Ma questo è uno scenario tanto pericoloso quanto significativo della profondità della crisi che sta vivendo l’eurozona.
L’ultimo anno per le banche italiane è stato all’insegna della difficoltà. Con il congelamento del mercato interbancario, le elevate esigenze di rifinanziamento, il blocco del mercato dei repurchase agreement (pronti contro termine, o repo), il continuo deterioramento degli asset in portafoglio e la fuga degli investitori esteri, gli istituti di credito italiani si sono ritrovati a dover fare gli straordinari.
L’Italia sta andando verso uno scenario giapponese, in cui la maggior parte del debito ha una detenzione interna. In altre parole, i giapponesi hanno il proprio debito. Lo stesso potrebbe succedere per l’Italia, e per certi versi si è già presa questa strada. Come ha spiegato Maria Cannata, direttore generale del Debito pubblico del Tesoro, la quota di debito pubblico detenuta dagli investitori esteri è crollata dal 51% al 35% nell’arco di un anno. Da quando è scoppiata la crisi italiana nella sua forma più virulenta, giugno 2011, la fuga è stata significativa. Nonostante l’arrivo di Mario Monti a Palazzo Chigi.
L’Italia, per sopperire a questa mancanza, ha fatto di tutto. La Banca centrale europea, che ha lanciato le due operazioni di rifinanziamento a lungo termine (Long-term refinancing operation, o Ltro) a dicembre 2011 e febbraio 2012, ha dato una mano alle banche italiane. Infatti, tramite parte di quei 1.030 miliardi di euro immessi nell’eurozona, gli istituti di credito hanno potuto sostenere il Tesoro nelle aste di titoli di Stato nei primi tre mesi dell’anno. E non solo. Data la carenza di domanda estera, segnalata anche dalla Cannata, lo hanno fatto per tutto il resto del 2012.
A sostenere l’Italia è stata anche la Cassa depositi e prestiti (Cdp), che tra luglio a dicembre 2011 ha acquistato almeno 11,227 miliardi di euro di obbligazioni del Tesoro. Il tutto per un incremento del 214,7% degli asset contenuti nel suo portafoglio di bond governativi. Lo stesso ha fatto la Banca europea per gli investimenti (Bei), che ha comprato, fra l’inizio del 2011 e la prima metà del 2012, circa 2,5 miliardi di euro di bond italiani di varia scadenza.
Una fetta considerevole di debito pubblico è stata poi collocata tramite le emissioni rivolte alla clientela retail. In particolare, l’ultima uscita del Btp Italia, il primo bond del Tesoro indicizzato all’inflazione, ha registrato un successo senza precedenti, con oltre 18 miliardi di euro collocati. Riservato agli investitori retail, ha sostenuto l’Italia e l’ha aiutata «a ridurre le emissioni di Bot a fine anno e a iniziare il 2013 con più riserve», ha spiegato oggi la Cannata.
Le paure per il futuro sono molte. Solo nel 2013 l’Italia avrà emissioni lorde di debito pubblico per 401 miliardi di euro e una redemption di 355 miliardi, secondo i calcoli di Morgan Stanley. Cifre in linea con quelle del Tesoro. Dato che le tensioni sui mercati finanziari sono ancora elevate, è probabile che la frammentazione dei mercati obbligazionari continui. Come ha spiegato Cannata, una delle incertezze maggiori riguarda il funzionamento del fondo salva-Stati European stability mechanism (Esm). Fino a che non entrerà in azione non sarà chiaro come gestire lo status di creditore privilegiato, attualmente in vigore. Alla luce di questa fonte di preoccupazione, unita alla particolare situazione politica italiana, il desiderio estero di avere debito pubblico tricolore è andato via via scemando.
La presenza così massiccia del debito pubblico italiano in mano agli italiani può però essere un arma a doppio taglio. Per ora i rendimenti dei bond italiani sul mercato obbligazionario secondario sono stati calmierati dall’introduzione delle Outright monetary transaction (Omt), il meccanismo di acquisto titoli dietro sottoscrizione di memorandum d’impegni, da parte della Bce di Mario Draghi. Ma è presto per dire che il pericolo è finito. La recessione morde ancora, le riforme introdotte dal governo Monti hanno bisogno di tempo per dare i loro frutti e il contagio della crisi dell’eurozona è più che mai virulento. Cosa succederà quando finirà la droga della Bce, per ora rimasta solo sulla carta? Nel caso peggiore gli investitori, che hanno già ridotto la loro capacità di risparmio, subiranno l’erosione dei titoli di Stato che hanno nel proprio portafoglio.
Le opzioni le ha spiegate alcuni mesi fa un’analisi di Mitu Gulati, professore della Duke University, e Lee Buchheit, avvocato d’affari di Cleary Gottlieb Steen & Hamilton. «Un’estensione delle maturity è più plausibile piuttosto che uno scenario di hard default», disse Gulati. In altre parole, un allungamento delle scadenze dei bond. Una soluzione presa dall’Uruguay fra il 2002 e il 2003. Come spiegato da Gulati, una soluzione del genere funziona nel caso si effettui in un Paese che ha registrato un repentino e generalizzato incremento dei tassi d’interesse, salvo poi successiva stabilizzazione a un livello superiore a quello precedente l’impennata. Proprio quello dell’Italia. A conti fatti, non sarebbe difficile farlo nemmeno ora. Secondo il Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di debito pubblico (decreto del Presidente della Repubblica 30 dicembre 2003, n. 398) si può effettuare un riscadenzamento del debito con la sola volontà del ministero dell’Economia in quel momento storico. Infatti, il decreto, all’articolo 3, spiega che «nel limite annualmente stabilito dalla legge di approvazione del bilancio di previsione dello Stato, il Ministro è autorizzato, in ogni anno finanziario, ad emanare decreti cornice che consentano al Tesoro (…) di procedere, ai fini della ristrutturazione del debito pubblico interno ed estero, al rimborso anticipato dei titoli, a trasformazioni di scadenze, ad operazioni di scambio nonché a sostituzione tra diverse tipologie di titoli o altri strumenti previsti dalla prassi dei mercati finanziari internazionali». Resta però il problema degli investitori, che potrebbero rivalersi.
Eppure, si sta effettuando un riscadenzamento. Come spiegato oggi dal direttore generale del Debito pubblico del Tesoro, l’Italia «già da adesso vuole allungare le scadenze del debito». Parole dette anche a giugno, quando uscì l’analisi di Gulati. L’obiettivo, spiegano fonti bancarie a Linkiesta, è quello di migliorare la gestione dei rimborsi. Un meccanismo simile a quello di una ristrutturazione indotta. Si sta cercando, da inizio anno, di sostituire il debito e breve con quello a medio-lungo termine, con la speranza che le tensioni nell’eurozona passino.
Nel caso non funzionasse, c’è sempre la via forzosa permessa dall’articolo 3 del Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di debito pubblico. E non si può nemmeno escludere un haircut, ovvero una svalutazione del valore nominale dei bond detenuti in portafoglio dagli investitori. In quel caso, data l’autarchia utilizzata dall’Italia negli ultimi dodici mesi, i primi a patirne sarebbero i cittadini. Ma anche per le banche sarebbe uno scenario rovinoso.