BRUXELLES – L’escalation di violenza tra Israele e Hamas a Gaza e dintorni ha provocato il consueto, vuoto, comunicato di quello che dovrebbe essere il “ministro degli Esteri” dell’Unione Europea, Catherine Ashton, oltretutto già stabilendo chi sia il “colpevole” della situazione: i palestinesi. «Sono profondamente preoccupata – scrive la britannica – per l’escalation di violenza in Israele e nella Striscia di Gaza, e deploro la perdita di vite civili in entrambe le parti. Il lancio di razzi da parte di Hamas e di altre fazioni (palestinesi, ndr) a Gaza che hanno iniziato l’attuale crisi sono del tutto inaccettabili per qualsiasi governo, e devono cessare. Israele ha diritto di proteggere la sua popolazione da questo tipo di attacchi. Esorto Israele ad assicurare che la sua risposta sia proporzionata». Fine.
Prima di continuare, occorre una concessione: la scarsa rilevanza europea in Medio Oriente non è solo colpa della Ashton, ma anche della divisione degli europei (che però, almeno, hanno trovato unità sulle sanzioni ad Assad), e del resto non è che il presidente Usa Barack Obama si sia fatto sentire un granché in questi mesi e anni. Detto questo, la figura di Cathy Ashton non ha certo aiutato la causa europea. E dire che l’Ue, tra il 1994 e il 2011, ha investito nei Territori occupati 5 miliardi di euro di aiuti, una voce in capitolo dovrebbe avercela. Invece non sembra sia così. A fine ottobre la Ashton ha fatto una missione di cinque giorni in Medio Oriente. Quando però il governo israeliano, proprio durante la visita di Ashton, ha approvato l’ennesima, nuova valanga di alloggi per coloni ebraici nei Territori (per la precisione 1.213 unità abitative nei dintorni di Gerusalemme Est), e la Ashton si è permessa di protestare, è stata liquidata freddamente al ministro degli Esteri israeliano Avigdor Lieberman. «Non capisce la realtà del Medio Oriente, si occupi dei fatti suoi». Per non sbagliarsi, il premier israeliano Benjamin Netanyahu non solo ha confermato la decisione, ma ha aggiunto che continuerà. Gerusalemme è la nostra capitale, costruiamo nuovi quartieri come accade a Mosca, Washington o Londra». La Ashton si è fermata lì.
Il problema, ormai noto da tempo, è che la Baronessa laburista non riesce ad avere un impatto, neppure mediatico. Negli ambienti diplomatici la chiamano con disprezzo Lady Who?. Il quotidiano britannico Daily Telegraph, cita un analista di politica estera basato in Qatar, secondo il quale la Ashton sarebbe «considerata qui (nel mondo arabo, ndr) uno scherzo, nessuno prende sul serio l’Ue come entità diplomatica». La povera baronessa, che fino alla nomina ad Alto rappresentante per la politica estera Ue si occupava di questioni sociali nel suo Paese, è ormai da tempo bersagliata di critiche. Come quando, a marzo scorso, di fronte alla totale irrilevanza dell’Unione nei confronti delle rivoluzioni arabe, i ministri degli Esteri dei Ventisette a Copenaghen dibatterono ufficialmente su come «rendere ancora più efficace» il servizio diplomatico Ue. E l’allora capo della diplomazia francese, Alain Juppé, non esitò a scrivere una lettera in cui esortava a «migliorare il lavoro del servizio di azione esterna e il modo in cui si inserisce negli sforzi diplomatici degli Stati membri».
Il giudizio negativo sulla britannica è decisamente diffuso nell’Ue. Basti dire che, in un sondaggio reso pubblico il 13 novembre da Burson-Masteller ed effettuato tra 811 policy maker Ue, il 43,1% ha assegnato alla Ashton il voto 1, il peggiore in assoluto in una scala da 1 a 10. Un altro 13,9% le ha dato il 2 e il 9,6% il 3. Tradotto: il 62,6% dei policy maker Ue dà un voto cattivo o pessimo alla responsabile della politica estera comune. Non aiutano performance poco lusinghiere, evidenziate dal solito, implacabile Daily Telegraph, il quale ha calcolato che la Baronessa è stata assente da 21 di 32 incontri settimanali della Commissione Europea, di cui è vicepresidente.
E intanto, il malumore, che da tempo serpeggiava tra le file del servizio diplomatico Ue (Seae), è, a quanto si apprende, drasticamente aumentato. Raccontano di appellativi poco gentili espressi ormai ad alta voce nei corridoi nei confronti dell’Alto rappresentante. «Fino a sei mesi fa nessuno osava tanto», si sente dire. Soprattutto, a quanto pare, l’Alto rappresentante ha cominciato a infilare sue conoscenze nei posti chiave del servizio saltando a piè pari procedure, graduatorie, regolamenti. Di questi giorni è una vera e propria rivolta interna contro l’impressionante carriera di un funzionario favorito dalla Ashton, portato al Servizio dal Parlamento europeo che in un solo anno ha saltato cinque gradi di carriera (dal livello 7 al Parlamento all’8 al Servizio e poi, in un colpo solo, al 12, come capo di divisione), tanto da spingere anche un’europarlamentare tedesca popolare, Ingeborg Graessle, ad avanzare una interrogazione scritta alla Commissione (la stessa deputata, peraltro, ha avanzato un’altra interrogazione lamentando le troppe assenze di personale nelle delegazioni Ue nei paesi terzi).
Il mega salto di carriera, in realtà, è consentito solo per motivi o meriti eccezionali, che in questo caso a quanto pare mancano. Il comitato che rappresenta i dipendenti del servizio diplomatico è sul piede di guerra. È di pochi giorni fa una sua lettera di fuoco al direttore generale amministrativo del servizio, David ‘O Sullivan. Beghe interne si dirà. Forse, ma un’icastica rappresentazione del pessimo clima che si respira in quello che sarebbe una delle più importanti innovazioni del Trattato di Lisbona, appunto la creazione di un servizio diplomatico dell’Ue. I maligni sottolineano che la Ashton è britannica. E Londra, si sa, vede come il fumo negli occhi l’idea di una politica estera Ue. Guarda caso.