Dopo la fumata nera, è arrivata quella grigia. Il destino della Grecia rimane appeso alla troika composta Commissione europea, Banca centrale europea e Fondo monetario internazionale. L’Eurogruppo della scorsa notte, dopo oltre 10 ore di riunioni, non è riuscito a trovare alcun accordo su quello che di fatto sarà il terzo bailout di Atene. Ora si pensa a lunedì come prossima data disponibile. E sullo sfondo c’è la riluttanza dei Paesi dell’eurozona ad accettare ciò che è sotto gli occhi di tutti: l’insolvenza della Grecia.
I 340 miliardi di euro che rappresentano il debito pubblico della Grecia sono in mano per il 70% ai creditori internazionali. E sono loro a dover decidere che fare di Atene. L’obiettivo era, è e resterà uno: portare il rapporto fra debito e Pil, che il prossimo anno sarà al 190%, al 120% nel 2020. Speranza vana? Illusione della troika? Dalla Commissione Ue dicono di no. Anzi, rilanciano sulla sostenibilità del debito entro pochi anni. Eppure, tutti i dati delle varie analisi macroeconomiche, ufficiali o prodotte dalle banche d’investimento, sono senza speranza. L’impressione, osservando i conti pubblici ellenici, è che il più realista di tutti sia stato Peer Steinbrück, il candidato del Partito Socialdemocratico tedesco (Spd) alle elezioni 2013.«Difficile che la Grecia possa riguadagnare l’accesso ai mercati in questo decennio», ha affermato senza giri di parole.
Sono cinque le azioni su cui si sta lavorando. La prima, più imponente, è un buyback, ovvero un riacquisto, del debito pubblico. Il target sono i circa 45 miliardi di euro detenuti dalla Bce. Due le possibili soluzioni, in questo caso. Nello scenario migliore, un buyback al 50% del valore nominale dei bond; in quello peggiore, al 25 per cento. Si sta lavorando per limitare i danni, anche dopo l’esperienza, fallimentare, della ristrutturazione del debito detenuto dai creditori privati (Private sector involvement, o Psi), ultimata nello scorso marzo.
C’è poi la moratoria sui prestiti erogati dal fondo salva-Stati temporaneo European financial stability facility (Efsf). «10 anni possono essere utili per ridare una speranza alla Grecia», dice a Linkiesta uno sherpa del Fondo monetario internazionale, il più forte sostenitore di questa via. Ed è infatti su questo punto che si sta negoziando. Di base, l’Eurogruppo è d’accordo, ma alcuni Paesi vogliono più garanzie. Difficile però che non passi questa misura, seppur in una forma più blanda: almeno due anni di proroga sul target del pareggio di bilancio, inizialmente previsto per il 2014.
Andando oltre, l’obiettivo della Germania, ma anche della Finlandia, è che venga introdotto un fondo ad hoc, chiamato escrow account, per la gestione degli aiuti ad Atene. Un vero e proprio commissariamento, quindi, sia dal punto di vista fiscale sia dal punto di vista economico. Troppi gli sprechi, troppa la corruzione, troppa l’evasione.
L’altra misura che si vuole adottare per evitare una bancarotta di Atene e garantire un ritorno del rapporto debito/Pil al 120% entro il 2020 è l’uso dei bond in mano alla Bce per trarre profitto. Tramite il Securities markets programme (Smp), l’istituzione guidata da Mario Draghi ha comprato circa il 13 per cento di obbligazioni elleniche dal mercato secondario. Queste, per scelta, non sono state oggetto della ristrutturazione del debito avvenuta in marzo. E hanno ripreso valore rispetto al momento d’acquisto. «Non è molto, ma è pur sempre qualcosa: di questi tempi, è oro», spiega un analista di Société Générale.
Infine, c’è il taglio al tasso d’interesse sui prestiti. Su questo punto le negoziazioni sono più difficili, perché c’è il rischio che gli altri Paesi che hanno giovato di un bailout sovrano (Irlanda, Portogallo, Spagna per il settore bancario) possano chiedere le stesse condizioni. «La Grecia è però un caso a sé stante, si spera che tutti lo capiscano», dice un diplomatico francese a Linkiesta. È vero, ma è anche vero che la paura della Germania è che, nel caso di salvataggi futuri, altre nazioni possano fare lo stesso.
Per ora solo due elementi sono sicuri. Da un lato che la Grecia ha bisogno di altri soldi. La Commissione Ue non si sbilancia ufficialmente, ma le prospettive sono nefaste. Se fosse come ha spiegato Goldman Sachs la scorsa settimana, ci vorranno altri 80 miliardi di euro supplementari fino al 2020. Una cifra ancora bassa, dato che una proroga di due anni sul programma di consolidamento fiscale, secondo l’ultimo rapporto della troika, potrebbe costare circa 33 miliardi di euro. Soldi a cui bisogna aggiungere i circa 10 miliardi di euro per il buyback e i 44 miliardi per le prossime tre tranche di aiuti (comprese quelle per la ricapitalizzazione degli istituti di credito). E tutto solo per l’intervallo temporale da oggi al 2016.
L’altra certezza è che la battaglia politica fra eurozona e Fondo monetario internazionale è destinata a continuare anche nel prossimo anno. Come spiegano fonti diplomatiche a Linkiesta, fino a quando non ci sarà un accordo sulla partecipazione volontaria dei creditori internazionali (Official sector involvement, o Osi) alla ristrutturazione di parte del debito ellenico, non ci sarà una soluzione. «È una maratona, o meglio, una partita di scacchi, in cui probabilmente vincerà il Fmi», afferma il funzionario diplomatico francese. Del resto, non ci sono altre vie se non quella più dolorosa, il condono del debito. «È l’unica strada percorribile. Anche con nuovi soldi o con più tempo la Grecia è insolvente», dice a Linkiesta un analista della divisione Fixed Income di Ubs. La via è chiara, mettere d’accordo tutti è il problema.