La guerra del Viminale, dalla finanza a Finmeccanica è tutti contro tutti

La guerra del Viminale, dalla finanza a Finmeccanica è tutti contro tutti

La vicenda del corvo del Viminale è di quelle che lasciano stupefatti. Non solo perché se le accuse del corvo dovessero rivelarsi vere sarebbe la prova che il marcio si annida anche nelle stanze di chi dovrebbe presiedere alla legge e all’ordine pubblico. Ma anche perché si tratta dello Stato che lotta contro lo Stato, con tutti i pericoli che questo comporta. Per capire cosa stia accadendo, dobbiamo però prima allargare lo sguardo per vedere come questa sia una delle tante guerre intestine che si stanno svolgendo in questi mesi nei corridoi del potere. 

A partire dalla finanza milanese dove, dalla vicenda Ligresti-Nagel a quella Malacalza-Tronchetti, è da mesi un tutti contro tutti. E questa può essere un’opportunità per fare un po’ di pulizia e ordine. E, mentre la finanza si scanna, le inchieste su Finmeccanica, con le loro possibili clamorose evoluzioni, aleggiano su un sistema di opache cordate di potere che non permette di poter ridurre la vicenda a una mera questione di tangenti. Non solo perché nel settore della vendita d’armi le “stecche” sono una costante (basta ricordare l’inchiesta sulle tangenti pagate dall’ inglese Bae System) ma anche perché dimenticare gli interessi in queste partite degli uomini di Luigi Bisignani, quelli passati nelle pagine di cronaca giudiziaria come la “P4”, e che per alcuni ora sarebbero anche più forti di prima, vorrebbe dire vedere solo una metà della storia.

Veniamo così al Viminale. La storia che vede il corvo scorpechiare una «macroscopica corruzione», come la definisce su Repubblica Carlo Bonini, è un segnale preoccupante, molto preoccupante, perché tocca gangli vitali dello Stato in un momento di vuoto politico molto delicato. In estrema sintesi la possiamo raccontare così: un dossier anonimo di 10 pagine viene inviato al ministro dell’Interno lo scorso luglio. Il corvo denuncia irregolarità in una serie di appalti che sono stati assegnati direttamente senza fare una gara come sarebbe previsto dalle norme. E fa dei nomi. Dice che responsabili di queste irregolarità sarebbero il vicecapo della polizia, Nicola Izzo e Giuseppe Maddalena, responsabile ora in pensione della direzione tecnico-logistica. I due, dice il corvo, avrebbero garantito l’assegnazione degli appalti ad aziende loro vicine. Il Viminale dispone quindi un’inchiesta interna e invia i documenti alla procura. 

Arriviamo così ad oggi con Izzo che rassegna le dimissioni e il ministro Cancellieri che le respinge. Gli addetti ai lavori vengono colpiti dalla tempistica. A livello di “si dice” la storia degli appalti del Viminale girava da parecchio tempo. E si intreccia  con quella di Finmeccanica nel senso che l’inchiesta che inguaia Marina Grossi, che, all’epoca in cui il marito Pier Francesco Guarguaglini guidava il gruppo di Piazza Monte Grappa era a capo della Selex, inizia a Napoli due anni fa proprio da un appalto al Centro elaborazione dati della Polizia di Stato. 

I fili si intrecciano e ora, con un meccanismo tipico negli ambienti dell’intelligence, arriva un corvo che, vedendo il vuoto che c’è attorno ai vertici della Polizia di Stato, ne approfitta per regolare i conti. A entrare in questione sono gli uomini dell’inamovibile Gianni De Gennaro, e quelli dell’attuale capo Antonio Manganelli, non direttamente coinvolto dalle accuse del corvo. Già indeboliti dall’inchiesta sulla Diaz, ora vengono messi in questione da queste ultime pagine di cronaca. Nella polizia c’è una specie di regola non scritta per cui il capo dura un settennato, come il Quirinale. E Manganelli, nominato nel giugno 2007, dovrebbe arrivare a scadenza nel 2014. Ma fra le sue condizioni di salute e le carte del corvo, il ricambio potrebbe essere accelerato. Come pure per Giuseppe Orsi, che ha preso il posto di Guarguaglini a Finmeccanica. Dovrebbe essere il prossimo governo, nella sua piena autorità politica, a fare queste nomine. Ma forse c’è qualcuno che sta cercando di usare il vuoto per pilotare il ricambio.

Non è il primo scontro che vediamo nelle forze dell’ordine. Basta ricordare la vicenda del generale Speciale quando era a capo della Guardia di Finanza. O ancora prima lo scontro fra calipariani e pollariani, che vide coinvolto un altro ex Gdf dai mille tentacoli come Nicolò Pollari, all’epoca dominus della nostra intelligence. La particolarità è che in altri sistemi il ricambio avviene in maniera fisiologica. Nel nostro invece, dove spesso a farla da padrone è il ricatto, avviene attraverso l’esplosione delle patologie. Con tutto il danno che questo significa quando la crisi della politica diventa crisi dello Stato e delle sue istituzioni. 

Twitter: @jacopobarigazzi

X