La rabbia di Grillo è quella della piccola borghesia che ha fatto l’Italia

La rabbia di Grillo è quella della piccola borghesia che ha fatto l’Italia

Fin dove può arrivare Beppe Grillo? A questo punto non ha limiti. Grillo parla per la prima volta rivolgendosi ad un altro partito e a un altro protagonista della politica battezzandolo come proprio interlocutore, è il caso di Di Pietro. Ammonisce con sempre maggiore severità i suoi adepti con una nuova forma di centralismo democratico. Ambisce a diventare, ma già lo è, un capo politico. Vede da vicino i suoi cento e passa deputati con i quali vorrà dire la sua per eleggere il Presidente della repubblica e il premier. La sua cavalcata è cominciata da lontano.

Simona Colarizi nella sua Storia della seconda repubblica mette una data. Siamo nel 95 quando con Carlo Ripa di Meana “progettava di presentare una lista prevedendo di raccogliere più del 4% dei voti specie se fosse riuscito a persuadere Benigni e Gianna Nannini a parteciparvi”. Nel 2003 riempì il teatro Sistina e “si scatenava contro il Cavaliere consigliando a Saddam di puntare i suoi missili su Arcore”. Il fenomeno nuovo della politica italiana è frutto di un lungo lavorio e di una solida preparazione. Mentre la politica ufficiale si contorceva nell’alternarsi di blocchi contrapposti che franavano ad ogni refolo, Grillo continuava a battere le piazze con i suoi vaffa e la Rete con la sua capacità di aggregazione. Molti vedono i suoi antenati in Guglielmo Giannini, il fondatore dell’Uomo qualunque che nel dopo guerra fece dannare Togliatti che gli rivolse persino una proposta di dialogo, o in Umberto Bossi che dilagò a ridosso di quella crisi della prima repubblica che la Lega contribuì a far saltare.

Gli antecedenti possono essere numerosi ma quel che appare chiaro è che un fenomeno come quello di Grillo è l’eterno ripresentarsi della critica di massa alla politica che nella storia italiana ha avuto molti padri e che ogni nuovo protagonista ha riverniciato. Oggi Grillo può rompere tutti gli schemi. Il nuovo salto che sta facendo nella politica politicante può essere la sua definitiva consacrazione o l’inizio della sua fine. Un movimento come quello che ha messo in piedi è in grado di scardinare l’assetto politico esistente ma può finire come quelle vespe che pungono facendo molto male ma che dopo aver ferito muoiono.

Tuttavia Grillo deve far riflettere i suoi avversari. Non solo per la prevedibilità della sua iniziativa. Il suo mondo è costituito di scontenti giovani e vecchi, mai coinvolti nella politica o elettori di tutti gli schieramenti. La sua rabbia è quella della piccola borghesia urbana che nella storia italiana ha dato forza sia al fascismo sia alla democrazia cristiana. Il protagonismo del ceto medio declassato trova nelle invettive di Grillo il proprio risarcimento. L’odio verso la politica attrae sia chi ne è rimasto lontano sia chi ne è deluso. Il suo mondo elettorale cerca quella protezione dalla politica nella politica devastante dell’ex comico. È per questo che chi si immaginava Grillo come imbelle attore che avrebbe lasciato fare gli altri accontentandosi di una presenza parlamentare vociante deve oggi fare i conti con la sua voglia di contare nei giochi anche in quelli più esclusivi della politica.

Il Grillo del dopo Sicilia lancia una Opa sull’ ex Idv, vuole inglobare Di Pietro, cerca di svuotare Vendola, attacca i capisaldi della sinistra radical ma soprattutto offre una possibilità ai delusi di Berlusconi e Bossi. È un Grillo a tutto campo che non vuole denominazioni o schieramenti ma che vuole creare denominazioni e schieramenti. In Europa la sua protesta ha assunto spesso il volto ringhioso del radicalismo di destra, qui quello ridanciano ma feroce della critica a tutto i partiti. Difficile dargli una connotazione. Se il suo insediamento elettorale è bipartisan, la sua collocazione politica è di tipo antagonista.

Nella sua cultura c’è più Loretta Napoleoni che Carlo Marx. Ma c’è più liberismo d’antan che vecchia socialdemocrazia. In questo è molto italiano nel senso che finge di non avere debiti culturali perchè rubacchia idee da questo e da quell’altro. Con Grillo è la “ggente” che vuole prendere il potere e che rischia di prenderlo perché gli altri per anni non hanno visto, e hanno sottovalutato quel fiume carsico che sembrava comparire con rare manifestazioni da urlo e poi si inabissava nella Rete e nei piccoli circoli cittadini che continuavano a lavorare nei quartieri mentre la politica ufficiale si annidava negli assessorati.

Ora Grillo ha in testa di fare il premier e di eleggere il presidente della Repubblica. Probabilmente lancerà l’Opa definitiva sul mondo che abbiamo definito giustizialista, sedurrà Di Pietro, attrarrà Ingroia. Nel parlamento sarà “ecceziunale veramente” e nessuno più lo fermerà se tutto continueranno a combatterlo a parole invece di contrastarlo nell’immaginario collettivo. Il suo movimento forse non durerà a lungo ma nel frattempo inciderà profondamente nella vita pubblica. I partiti di sinistra sono di fronte a una sfida più insidiosa di tante altre perchè Grillo è un movimento politico e una protesta sociale. E non c’è niente di più rovinoso del ceto medio quando si incazza.   

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