Emilio Fede, ex direttore del Tg4, a ottant’anni suonati non ha ancora perso il fiuto da cronista. E appena salito sul palco del Teatro Nuovo a Milano, per presentare il movimento «Vogliamo Vivere», lo dice subito: «La notizia è che Fede ha fatto flop». Non c’è nessuno a sentirlo. Nel vero senso della parola. «Io non ho pagato i pullman con i pensionati per venire qui come fanno altri», prova a difendersi Emilio, che comunque decide di parlare, vincendo talvolta l’emozione e le lacrime che gli arrivano agli occhi. La scena è tra il grottesco e il malinconico. «Una delle cose più tristi a cui ho assistito in vita mia», dicono due vecchietti che hanno preferito Fede alla Messa.
Del resto, si contano davvero più giornalisti che partecipanti. Tra i 30 seduti uno è presente perché vuole contestarlo come «cittadino» («Questo qui si è preso i soldi da Berlusconi», urla), degli altri 27 solo tre ammettono di essere qui per vederlo («Viva Emilio», dice un ragazzo con una sciarpa a righe), mentre solo Ombretta Colli e Tiziana Maiolo lo ascoltano quasi in adorazione. «Sono le ultime amiche che gli sono rimaste», ricorda una cronista in platea.
Non fa più il tg («Io che ho fondato l’informazione televisiva»), non sente quasi più Silvio Berlusconi («Ma io sono stato berlusconiano», ricorda) e ammette che a fargli capire che le cose andavano male è stato un passaggio di fronte a una mensa della Caritas una mattina di settembre. «Perché ho visto anche gente come noi, non solo immigrati, ma famiglie che facevano la fila per andare a mangiare». Secondo Fede, qui «non parla più nessuno della povertà, della gente che non ce la fa ad arrivare a fine mese, mentre sono tutti indaffarati a capire se vincerà Pier Luigi Bersani o Matteo Renzi». Non applaude nessuno. Parla solo lui in questa mattinata surreale, ennesimo esempio del crollo dell’impero berlusconiano. «Io non ho chiesto soldi a nessuno, mi sono pagato tutto da me», tiene a precisare l’ex direttore del Tg4.
È la «malinconia» la parola più citata da Fede. C’è una tristezza nei ricordi e nelle affermazioni. C’è quasi un chiedere «scusa» per gli errori commessi in questi anni. A un certo punto cerca di redimersi come «giornalista». Perché – spiega – «a me al Tg1 mi volle Enzo Biagi, non Berlusconi, io sono nato giornalista e morirò giornalista». Lo ripete più volte leggendo il grande manifesto dietro a lui. «La dignità è un diritto». Cerca la dignità Fede dopo gli scandali del Bunga Bunga che gli sono caduti addosso. Ricorda i suoi anni da inviato di guerra. Ricorda quando faceva il Tg1.
Ricorda il suo tg, il suo ufficio che non c’è più a Segrate. Ma non c’è più nessuno ad ascoltarlo. Solo i giornalisti. «C’è anche Santoro eh….», ricorda, mentre alla fine, dopo anni passati a mitragliare le trasmissioni che si scagliavano contro Berlusconi, riabilita perfino Milena Gabanelli di Report. «Fa giornalismo, forse schierato o di parte, ma è giornalismo». Alla fine se ne va: «Non finisce qui». Vista l’affluenza, non è neppure cominciato.