COLUMBUS (OHIO) – Per gli americani che abitano a New York, Los Angeles o San Francisco, è soltanto uno degli Stati del Midwest. Eppure, ogni quattro anni, nelle convulse ore pre-elettorali, l’Ohio si conquista la scena.
Con il suo mix di agricoltori, operai e impiegati, l’Ohio rappresenta un serbatoio di voti in gran parte fluttuanti, non ideologici, in grado di spostarsi a destra o a sinistra a seconda delle elezioni, e i suoi 18 collegi elettorali fanno spesso la differenza tra chi vince e chi perde. Con gli anni affermarsi qui è divenuto sinonimo di vittoria. Dal 1904 questo Stato vota per il candidato che alla fine risulta vincente. Ha sbagliato solo nel 1944 (scelse Thomas Dewey invece di Franklin Roosevelt) e nel 1960 (si schierò per Richard Nixon e non per John Kennedy).
Assieme alla Florida, è da molti decenni lo Stato incerto più corteggiato da presidenti in carica e aspiranti inquilini della Casa Bianca. Obama e Romney non hanno fatto difetto. Al momento Obama appare leggermente avanti, ma con percentuali all’interno dello scarto dell’errore statistico, stando alla maggior parte dei sondaggi.
Nonostante l’impegnativa gestione del dopo uragano-Sandy, Obama ha mostrato crescente energia durante i suoi più recenti comizi. «Non l’ho mai visto così carico», ha detto il suo storico consigliere politico e deus ex machina della sua elezione nel 2008 David Axelrod. Anche Romney e il suo vice designato Paul Ryan avvertono l’adrenalina. Continuano a ripetere in Ohio, Florida, Iowa, Wisconsin e tutti gli altri Stati incerti che Obama in questi quattro anni non è stato all’altezza della situazione. «È bravo a parole. Ma lo abbiamo visto all’opera» ha detto Romney a migliaia di sostenitori un paio di giorni fa a Etna qui in Ohio. Peraltro, nello Ohio interessato dalla crisi dell’automobile e dalla Chrysler-Fiat salvata da Obama e dai soldi pubblici, potrebbe pesare anche l’attacco frontale mosso da Romney a Marchionne e, di fatto, alle scelte di Obama.
Secondo i sondaggi la gestione dell’emergenza legata al passaggio del micidiale uragano Sandy lungo la costa orientale è stato positivo per Obama, perché ha rinforzato la sua immagine di presidente autorevole. In particolare in chiave elettorale per lui è stato ottimo l’incontro seguito dalle televisioni con il governatore del New Jersey, Chris Christie. Questo repubblicano vicinissimo a Romney, relatore alla convention di Tampa (per lungo tempo se ne era parlato anche come uno dei papabili candidati alla vice presidenza) ha elogiato Obama per aver prontamente verificato di persona gli sconcertanti danni provocati dalla tempesta alla costa del New Jersey. «Il presidente ha collaborato efficacemente con me fin da prima che l’uragano ci colpisse» ha detto Christie in una conferenza stampa.
Anche gli ultimi endorsement importanti sono favorevoli a Obama. Tra le dichiarazioni di voto di peso spiccano quella del sindaco di New York Michael Bloomberg, un indipendente, e quella del magazine Economist, notoriamente pro-mercato. Bloomberg ha rotto gli indugi spiegando che preferisce Obama per il suo impegno a favore dell’ambiente: «Negli ultimi quattro anni» ha detto, «Obama ha compiuto grossi passi avanti per ridurre le emissioni di carbonio. Romney è una persona per bene, e porterebbe l’esperienza di un businessman alla Casa Bianca. Se Romney fosse quello del 1994 o del 2003 lo avrei votato …» (Bloomberg rimprovera a Romney di aver rincorso troppo l’elettorato più estremista del partito repubblicano).
Anche l’Economist, sia pure senza particolare entusiasmo, ha indicato ai suoi lettori che tra i due candidati preferisce Obama. Per il magazine inglese la scelta è tra il meno peggio. «Chi ha un’attività in proprio in America può ritenere che nulla può essere peggiore di altri quattro anni con Obama» scrive il settimanale. «Ma ci permettiamo di dissentire. Il piano economico di Romney non è credibile… Pur con tutta una serie di problemi Obama ha salvato l’economia americana dal precipizio e ha tenuto una posizione solida sulle questioni di politica estera. Insomma, meglio scegliere il diavolo che conosciamo [Obama] piuttosto che quello che non conosciamo [Romney]». Come l’Economist si è schierato al fianco di Obama anche il Financial Times.
A poche ore dal voto, la strategia dei due candidati è la stessa: far sì che i propri elettori e gli indecisi siano abbastanza motivati da andare a votare. La loro è un’azione a tutto campo, alla quale è quasi impossibile sottrarsi. Basta accendere la televisione qui a Columbus per imbattersi in martellanti ondate di pubblicità elettorale. Poi ci sono schiere di volontari che telefonano agli elettori, e dove non arrivano loro ci pensano le “robocall”, le telefonate che propongono messaggi registrati. E quest’anno, molto più di quattro anni fa, ci sono pure le pubblicità su misura online. Le informazioni per tartassare gli elettori con spot mirati vengono raccolte in tre fasi.
Primo, sanguisughe di dati online, i famosi “cookie” estorcono per conto di aziende di marketing informazioni sulla base degli acquisti in internet, dai libri comprati su Amazon ai pacchetti vacanze last-minute. Secondo, le compagnie di marketing raccolgono una serie di dati sugli elettori relativi ai loro acquisti effettuati offline: dalla casa alla macchina passando per gli elettrodomestici. Terzo, vengono spulciate le informazioni elettorali, per vedere ad esempio se un cittadino ha votato alle ultime consultazioni o se e’ iscritto a un partito. Il mix di tutti questi dati – online, offline ed elettorali – costituisce l’algoritmo che orienta la macchina degli spot su misura su internet. Presto vedremo se questa nuova arma elettorale avrà avuto un peso in queste elezioni.