La tensione crescente della corsa alla leadership nazionale ha, di certo, oscurato la confusione e lo stallo che il Pd sta vivendo nella Capitale. A Roma, per il rinnovo del Campidoglio, si gioca la partita politica più difficile, ancora tutta a carte coperte. L’assenza di certezze e di una convergenza ufficiale su un candidato autorevole lasciano lo spazio ad un lento ed estenuante lavoro sotterraneo di diplomazia, che va avanti da mesi.
A prendere le redini di un partito, che a livello locale da tempo appare fuori controllo e senza guida, è tornato, dopo il lungo esilio volontario in Oriente, Goffredo Bettini, già coordinatore del Partito Democratico e vicesindaco con la giunta Veltroni. Deus ex machina della sinistra capitolina, “mente ecumenica” in grado di tenere coesi poteri eterogenei, da Franco Caltagirone a Renzo Piano, passando per Gianni Letta, è lui il vero stratega della battaglia decisiva, incaricato di fendere veti incrociati e superare antiche ritrosie di casacca, per portare il partito di nuovo alla vittoria.
Dopo aver convinto Nicola Zingaretti, sua creatura politica ed “eterno astro nascente” del partito, a ufficializzare la candidatura alle regionali del Lazio, Bettini è impegnato, in questi giorni, in una serrata opera di persuasione dell’altro fedelissimo e rampante Enrico Gasbarra. Lo vuole in corsa per il Campidoglio a tutti i costi, sebbene siano già state indette primarie aperte.
Pare che il senatore ed ex Presidente della Provincia abbia, qualche giorno fa, confidato ai suoi più stretti collaboratori di non voler cedere alla tenace pressione del partito, palesando la sua intenzione di non correre a sindaco. Anche se un annuncio in senso contrario lo si aspetta da settimane. Del resto, Gasbarra, ai suoi capi, non ha perdonato l’affronto delle precedenti elezioni comunali, quando la sua investitura contro lo sfidante Alemanno fu ribaltata in una notte a favore di Rutelli. Mossa rivelatasi fallimentare.
Eppure già l’incontro notturno a porte chiuse del 30 ottobre scorso, fra Bettini, Veltroni e Gasbarra, sembrava che avesse dato il via alle grandi manovre. La fumata nera, invece, ha sparigliato di nuovo le carte, lasciando così aperto uno scenario fluido e in continua evoluzione.
La questione rimane comunque complessa e i nodi ancora tutti da sciogliere. L’unica cosa certa è che dalla scena capitolina si stanno defilando tutti, rendendo sempre più difficile trovare un nome autorevole su cui accordarsi. Rimangono, infatti solo comprimari, nella rosa dei candidabili, e nessuno veramente in grado di convincere.
Non dipende, peraltro, tutto dal Partito Democratico e questo Bettini, artiere navigato, lo sa bene. Appare certo il contrario: la vera partita si gioca fuori casa. L’obiettivo irrinunciabile è, infatti, quello di trovare ad ogni costo un candidato su cui possa convergere, se non al primo, almeno al secondo turno, anche l’Udc di Casini. Che a Roma si legge Caltagirone. L’optimum, cui Bettini anela, sarebbe quello di riuscire a ricreare la composita, ma efficace, maggioranza che Zingaretti era riuscito a dar vita e mantenere in Provincia: da Sel all’Udc. Un delicato equilibrio di pesi e contrappesi, da bilanciare in un accordo politico da chiudere al più presto.
Nelle scorse ore, in un intervento pubblicato su Europa, arriva l’endorsement, che ha il tono della ufficialità: «Per riconquistare il Campidoglio occorre percorrere la strada di un “accordo innovativo” con il centro, innestato sull’utilizzo delle primarie. Sembrerebbe ragionevole – continua l’ex coordinatore del Pd- tentare un’intesa tra le forze progressiste e democratiche e quelle di un centro alla ricerca di nuove strade, in grado di offrire una credibile, ampia, plurale prospettiva di governo; con due chiare discriminanti: la destra di Alemanno e della Polverini e l’antipolitica. In forme diverse, i due nemici da battere».
Innovazione nel solco della tradizione centrista, che è quanto mai oggi irrinunciabile. Uniti contro Alemanno e protesi a far dimenticare la brutta esperienza della Polverini, dove l’Udc è sempre rimasto determinante in maggioranza.
Scartato il senatore Marino, che non piace ai centristi, sul proscenio di primarie già segnate rimangono solo figure minori. Il nome del Ministro Riccardi, circolato nelle scorse settimane, non ha davvero mai entusiasmato, al pari di David Sassoli, che non ha ancora trovato l’appoggio dei big del partito.
Resta in sospeso la decisione di Paolo Gentiloni, che aspetta l’esito del voto di domenica, alle primarie nazionali, per sciogliere la riserva. Se vince Renzi, parteciperà anche lui. Anche gli industriali, tra cui Andrea Mondello, Luigi Abete, Claudio Toti sono in fermento. Chiedono un homo novus, un Ambrosoli romano.
Il nodo fondamentale, intanto, è sempre e comunque l’Udc. Nessuno, nel Partito Democratico, nutre dubbio alcuno che l’alleanza, a livello nazionale e ancor più in Comune, vada cercata tra le file del centro, senza il quale non si vince. I voti del genero di Caltagirone contano. E parecchio. Per ora i due partiti ballano da soli, ma intensa è l’opera di avvicinamento che Bettini ha da tempo avviato, cosciente della necessità di trovare un candidato appetibile e che possa essere appoggiato dai moderati. A Sant’Andrea delle Fratte vogliono, sopra tutto, scongiurare l’esito infausto del ballottaggio, che temono più di ogni altra cosa.
Per ora le voci che girano in città – come ricorda Marco Sarti – vorrebbero candidato sindaco in pectore di Casini, quell’Alfio Marchini, che piace molto alla famiglia Caltagirone. Ma non solo. Fonti vicine all’Udc, ritengono che sia molto probabile l’impegno ufficiale di Alessandro Onorato, trentenne capogruppo in Campidoglio. Non si sa ancora se, correndo in solitaria, i centristi sfodereranno la coppia Onorato–Marchini nè tantomeno in che ordine. Il primo, come Manfredi Palmeri alle comunali di Milano, rappresenterebbe per il leader centrista la prova di aver avviato un profondo rinnovamento della classe dirigente; il secondo l’emblema dell’impegno della società civile. E della “Roma bene”.
Di sicuro c’è solo che sono pronti a convergere sull’asse del Partito Democratico, in cambio magari di una poltrona di vicesindaco o di alcuni assessorati importanti, come quello dei trasporti o dei servizi pubblici, e soprattutto della garanzia di essere ancora decisivi nelle commissioni, questa volta regionali, Ambiente e Urbanistica, rispettivamente presiedute da Roberto Carlino, noto costruttore edile, e Roberto Buonasorte, titolare dell’impresa di costruzioni Dimore&Dintorni. Senza dimenticare che proprio Luciano Ciocchetti, uomo forte dell’Udc nel Lazio ha diretto negli ultimi due anni proprio l’assessorato all’Urbanistica. Materia cara per i centristi, insomma, quella legata allo sviluppo del territorio del Lazio, resa ancor di più strategica dalla necessità di mantenere una continuità politica e amministrativa.
Le acque rimangono mosse e incerte, sebbene nelle stanze della diplomazia si goda di una calma non apparente, segno che forse i giochi sono già stati chiusi. La partita corre sul filo esile dell’accordo politico, che Bettini sta con cura e dedizione annodando da settimane. La regia di quest’ultimo vuole portare il Pd dove tutti hanno sempre fallito: alla consacrazione dell’alleanza con gli uomini di Casini. Fino ad ottenerne l’appoggio nei 4 teatri politici più caldi: Lombardia, Lazio, Roma e Molise. Per consolidare definitivamente il progetto politico nazionale, avviato poche settimane fa in Sicilia.