Matteo Renzi non vince al Sud, ma non la spunta neppure al nord. Eppure da queste parti i renziani si definiscono comunque soddisfatti per il risultato che li posiziona in media sopra il 33%. «Avevamo contro tutta la nomenklatura del partito, la Cgil e a Milano perfino il sindaco Giuliano Pisapia con Nichi Vendola», questo il leit motiv delle ultime ore. Stando ai numeri, comunque, il sindaco di Firenze non vince nelle tre regioni settentrionali che la Lega Nord di Roberto Maroni vorrebbe unire in un’unica macroregione padana.
Il segretario del Partito Democratico Pier Luigi Bersani conquista Piemonte, Veneto e Lombardia, perdendo lungo la strada sei provincie: Asti e Cuneo nella prima, Treviso, Verona e Vicenza nella seconda, solo Lecco nella terza. A Bergamo Renzi arriva al 37% e pure a Como la linea di differenza è molto sottile: 40,67% contro il 40,59%. «Per uno che si presentava per la prima volta da queste parti non è andate male», chiosano i renziani, mentre dalle parti di Bersani rimangono irremovibili sulla vittoria. Ma il dato che fa più male a segretario è di sicuro quello del vicentino, dove vicesindaco del capoluogo è Alessandra Moretti, la sua portavoce: qui Renzi ha sbaragliato ogni attesa vincendo. In fin dei conti – come chiosa ironicamente un dirigente democratico lombardo – «possono essere tutti felici, come i partiti della prima repubblica, quando si facevano le misurazioni su dati di vent’anni prima: hanno vinto tutti».
Ma è un risultato che entusiasma solo fino a un certo punto lo staff di Renzi che aveva puntato molto sulle regioni settentrionali, dove l’elettorato di centrodestra deve fare i conti con la crisi del Popolo della Libertà di Silvio Berlusconi e un Carroccio travolto dagli scandali degli ultimi mesi. Anzi c’è chi vuole il riscatto al ballottaggio, a cominciare da Milano. La classe produttiva del lombardo- veneto, però, sembra essersi fidata solo fino a un certo punto del nuovo vento di Renzi, che si attesta alle spalle di Bersani, ma non sfonda come qualcuno già ipotizzava. E come magari sperava lo stesso Giorgio Gori, lo spin doctor nato a Bergamo che sogna di fare il sindaco nel capoluogo orobico.
Marcello Saponaro, renziano di ferro, anche lui della bergamasca, la vede così: «Diciamo che è andata generalmente bene. Da queste parti Renzi ha costruito un’alternativa in appena due mesi contro una classe dirigente del Pd che al 98% si è schierata per Bersani. Abbiamo una settimana per rifarci e Milano sarà decisiva: siamo convinti che il voto di Vendola possa essere recuperato. Dobbiamo soprattutto rendere più semplici le regole per votare: in molti sono stati scoraggiati». Allo stesso modo Roberto Caputo, consigliere provinciale del Pd. «Il risultato di Renzi a Milano è assolutamente importante e positivo perché è sopra il 30 per cento, malgrado il fatto che con Bersani si fossero schierati più del 90 per cento degli amministratori locali, sostanzialmente tutto l’apparato, e ci fosse stato anche un endorsement della Camusso ad urne aperte. Per non parlare
della scelta di Pisapia a favore di Vendola che sicuramente è stata una presa di posizione incisiva. I voti pesano e quindi vanno comunque tenuti presenti».
Renzi aveva puntato molto sul nord. Le ultime tappe del tour «Adesso» avevano portato il sindaco di Firenze nelle valli «padane», a Varese, Sondrio per poi arrivare fino a Milano, al teatro dal Verme. Grande affluenza nei teatri, ma i numeri non sono da capogiro. «Vogliamo conquistare i leghisti delusi», diceva Renzi, ma al momento il suo elettorato non pare sfondare nel centrodestra. In Piemonte Bersani raccoglie quasi 74 mila voti per il 41,7%, mentre il primo cittadino fiorentino si ferma a 38,5%. In Lombardia la distanza è più marcata, con il segretario del Pd al 44% e Renzi al 36,9. Idem in Veneto dove su 620 sezioni, il politico emiliano ha raggiunto il 41,2 % dei consensi, mentre il «rottamatore» arriva al 36,2.
Ma è soprattutto nei grandi centri, come Milano e Torino, che Renzi viene ridimensionato da Bersani. Nel capoluogo lombardo, dove per il sindaco di Firenze si erano spesi banchieri, uomini della finanza, poteri più o meno forti, studenti bocconiani e ciellini, il «rottamatore» viene in parte rottamato dall’ex governatore dell’Emilia Romagna: 33,7 % contro il 40, 3%. Nello staff di Renzi c’è chi si definisce «deluso» dal risultato meneghino e invita a confrontare il risultato con quello delle primarie per il sindaco di del 2010, quando Giuliano Pisapia vinse contro Stefano Boeri: messi insieme Vendola e Bersani danno più o meno il risultato del primo cittadino arancione.
È un ulteriore segno di come il cittadino di Firenze sia rimasto stretto nell’elettorato di centrosinistra? Ora gli occhi sono tutti spostati sul ballottaggio. E in particolare su quei voti che sono andati a Vendola a Milano. Secondo lo staff di Renzi è possibile conquistarli perché rappresentano comunque una forma di cambiamento. Per Maurizio Martina, segretario del Pd: «La partecipazione dei Lombardi alle primarie nazionali è il primo passo per vincere le elezioni regionali».