«È soltanto fumo negli occhi». Piercamillo Davigo è tranchant sulla legge anticorruzione che entra in vigore domani. Ex membro del pool di Mani Pulite con Di Pietro e Gherardo Colombo, Davigo attualmente è consigliere della Corte di Cassazione. Tra le varie mancanze della normativa, tra cui il falso in bilancio e l’autoriciclaggio, c’è un altro aspetto verso cui il magistrato è critico: l’art. 51, che si riferisce alla tutela del dipendente pubblico che commette illeciti. Il testo, infatti, prevede che:
51. Dopo l’articolo 54 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.165, e’ inserito il seguente: «Art. 54-bis. – (Tutela del dipendente pubblico che segnala illeciti). – 1. Fuori dei casi di responsabilita’ a titolo di calunnia o diffamazione, ovvero per lo stesso titolo ai sensi dell’articolo 2043 del codice civile, il pubblico dipendente che denuncia all’autorita’ giudiziaria o alla Corte dei conti, ovvero riferisce al proprio superiore gerarchico condotte illecite di cui sia venuto a conoscenza in ragione del rapporto di lavoro, non puo’ essere sanzionato, licenziato o sottoposto ad una misura discriminatoria, diretta o indiretta, avente effetti sulle condizioni di lavoro per motivi collegati direttamente o indirettamente alla denuncia».
Teoricamente, la misura – ben nascosta all’interno della legge – dispone la protezione del dipendente pubblico che denuncia illeciti o episodi di corruzione. Non solo. Il secondo comma, infatti, prevede che:
2. Nell’ambito del procedimento disciplinare, l’identita’ del segnalante non puo’ essere rivelata, senza il suo consenso, sempre che la contestazione dell’addebito disciplinare sia fondata su accertamenti distinti e ulteriori rispetto alla segnalazione. Qualora la contestazione sia fondata, in tutto o in parte, sulla segnalazione, l’identita’ puo’ essere rivelata ove la sua conoscenza sia assolutamente indispensabile per la difesa dell’incolpato.
«I pubblici dipendenti hanno già l’obbligo del rapporto all’autorità giudiziaria di eventuali violazioni e abusi da parte della Pa nell’esercizio delle loro funzioni», spiega Davigo a Linkiesta, osservando: «Se un dipendente pubblico non denuncia, commette un reato. Nessuno però sarà mai così stupido da licenziarlo esplicitamente perché ha sporto denuncia per abuso d’ufficio o favoreggiamento, per questo motivo ritengo sia una norma inutile».
C’è poi la questione dell’anonimato del denunciante, che per Davigo non regge quando la denuncia riguarda fattispecie di rilevanza penale, come la corruzione. E sicuramente nei processi la difesa del dipendente pubblico imputato chiederà nome e cognome di chi lo ha messo nei pasticci. Insomma: «I dipendenti pubblici sanno bene che se non denunciano finiscono sotto processo per omessa denuncia», dice il magistrato. Che fare allora per estirpare la corruzione, che secondo i calcoli della Banca mondiale, citati dal ministro Paola Severino, ci costano tra il 2 e il 4% del Pil ogni anno? «Sono necessarie operazioni di polizia sotto copertura come quelle per la lotta alla droga, alla pedopornografia o al traffico d’armi, tutto il resto è inutile», nota ancora Davigo. Operazioni che necessitano di uomini e soprattutto di una dotazione finanziaria che le forze dell’ordine non hanno.